Il sigillo poietico di Peppe Sigillò negli occhi della prole di Perseo

L’incontro con il poeta risale a vent’anni fa e si contrassegna di coincidenze e Corrispondenze liriche nella notte di San Lorenzo con la Musa di Giuseppe Sigillò (edita da Adhoc Edizioni, Vibo Valentia, 10 agosto 2023, [email protected]). L’opera, stampata in 34 copie, come le 34 liriche selezionate e i XXXIV canti dell’Inferno, si ispira all’immagine del famoso verso che schiude le porte del Purgatorio, E quindi uscimmo a riveder le stelle. Ogni copia della silloge poematica avrà un imprimatur originale e inaugura un progetto culturale sperimentale intitolato “Il filo di Arianna – Profezia, Poesia, Eresia”. Il percorso prevede  l’apporto dei diversi linguaggi artistici tra cui la recitazione, la musica, il disegno, la pittura e la danza per liberare l’humanitas  rinchiusa nei nuovi labirinti e condannata a non “riveder le stelle”. Lo sciame meteorico delle Perseidi, “le lacrime di San Lorenzo”, quest’anno è previsto tra l’11 e il 13.  

 

La vita è l’arte dell’incontro

L’alchimia degli incontri rientra nel gioco che l’ignoto riserva alla storia biografica ed esistenziale di ognuno. Ed è attraverso l’incontro tra Giuseppe Ungaretti e il poeta e cantautore brasiliano Vinicius Markus de Moraes in Brasile avvenuto nel 1937 che si genera un intreccio di incontri tra diversi personaggi come Sergio Endrigo e Toquinho. Insieme nel 1969 danno vita ad un album rimasto nella storia della musica leggera intitolato non a caso, “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Sono le dinamiche casuali o dettate dalla necessità che fanno incontrare le persone. Ma gli incontri più importanti, che segnano in profondità la biografia, sono un mistero, come la nostra nascita, la nascita di una storia d’amore, la nascita di una creatura o quella di un pensiero, di una poesia, di una canzone. L’incontro scandisce le nostre relazioni ma anche la nostra vita psichica e tutto l’enigma che ci portiamo dentro come l’inconscio e il suo oscuro universo.

Il nodo da sciogliere e che interroga l’esistere è nella seguente domanda: quanto grado di libertà abbiamo nel decidere il nostro destino? La risposta è in stretta relazione all’altra questione: se siamo noi a decidere chi incontrare, come ad esempio i nostri genitori. La nostra “destinazione” è in relazione agli incontri che facciamo.

Dentro questa riflessione vi possiamo scorgere una “antropologia o filosofia dell’incontro” (richiamando il libro “La filosofia dell’incontro”, edito nel 2022, del filosofo francese Charles Pèpin). Ma anche in un testo inaspettato, come quello di Lucrezio, De rerum natura (da rileggere per diverse ragioni), si scopre il gioco casuale degli atomi che si incontrano, definito clinamen, inclinazione o declinazione. Siamo sempre su un piano inclinato e l’inclinazione ci racconta non solo quella astronomica dell’asse terrestre, di 23 gradi e 27 primi che forma con il piano dell’eclittica, perché l’inclinazione definisce la disposizione naturale a una determinata arte o passione, come quella poetica, nel nostro caso. Da dove nasce la poesia? È un fenomeno che possiamo analizzare con rigore scientifico o entriamo in un caso in cui il linguaggio della scienza si deve inclinare e inchinare? Forse la fisica quantistica nella sua correlazione quantica, cioè l’intreccio tra due particelle che si trovano a distanza siderale, ci può dare delle risposte: ad esempio tra un verso e una stella, che vanno a costituire un “astroverso”.

Allora forse dobbiamo dedurre che la nostra inclinazione all’infinito dipenda da tutto il sistema astronomico che orbita intorno al sole e questo, a sua volta, da tutti i fenomeni celesti che si verificano nello spazio.

La philia con gli astri: la prole di Perseo e Andromeda

Noi siamo figli delle stelle. E chi avrebbe immaginato una simile ipotesi! Neanche Charles Darwin l’aveva prevista ne L’origine della specie, ma Albert Einstein con il suo intuito l’ha captata riflettendo sulla relatività della conoscenza. In un’intervista del 1929 al Saturday Evening Post, gli venne chiesto se si fidasse di più della sua immaginazione o della sua conoscenza. Così rispose:  “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata. L’immaginazione circonda il mondo”. E affidandomi ai fili dell’immaginazione nei limiti degli orizzonti che la visione riesce ad abbracciare, si incontrano le creature della terra, del mare e del cielo, i paesaggi con le ombre, la luce, i silenzi, le voci, i poeti e la poesia.

L’incontro di cui vorrei dare testimonianza è stato scandito dal rapporto di “philìa” che gli uomini creano con gli astri, in particolare con la notte di San Lorenzo. Nell’immaginario collettivo, questa ricorrenza, corrisponde alla caduta delle stelle, ovvero “lo sciame meteorico delle Perseidi” (la mitologica prole di Perseo e Andromeda), con l’auspicato riflesso con il quale Perseo ha potuto tagliare la testa alla Medusa, che in questi tempi digitali, si è trasmutata nei social media. Quest’anno lo sciame è previsto tra l’11 e il 13 di agosto. Giovanni Pascoli ci ha lasciato la sua tragica esperienza nella lirica  “X agosto” (il 10 agosto del 1867 viene ucciso il padre) con l’immagine simbolica delle lacrime di San Lorenzo.

San Lorenzo, io lo so perché tanto

Di stelle per l’aria tranquilla

Arde e cade, perché sì gran pianto

Nel concavo cielo sfavilla… 

E tu Cielo, dall’alto dei mondi

Sereni, infinito, immortale,

oh! D’un pianto di stelle lo inondi

quest’atomo opaco del Male!      

Dopo l’excursus scaturito  con “l’elogio dell’incontro”, riavvolgo il filo del tempo. Sono passati vent’anni da quel dì, il 9 agosto, in cui mi sono incontrato nella sua Tritanti con il poeta Giuseppe Sigillò. E allora, sotto l’effetto astronomico dei versi, è sorta una “corrispondenza lirica con le stelle”. Non possiamo non “rimenbrare” che il giovane Leopardi a 15 anni ha scritto una “Storia dell’astronomia” (1813) e poi attraverso “L’infinito”, ci ha donato i Canti sublimi delle sue liriche corrispondenze.

“Sincronicità” o “coincidenze significative” le ha definite Carl Jung nel 1950,  come “un principio di nessi acausali”. Ed infatti è successo che il 10 agosto di quest’anno (ieri), quelle corrispondenze da inedite sono diventate edite. Ed è stato un fatto casuale (o acasuale), se ho sentito il bisogno di ritessere “il filo dell’ispirazione”, apportando sostanziali modifiche alla struttura e alla forma originaria. Così è nato un “ricamo poetico” dal titolo evocativo, Corrispondenze liriche nella notte di San Lorenzo con la Musa di Giuseppe Sigillò. Ne è sorta una “composizione a due voci” in cui ho incastonato 34 liriche tratte dalle diverse raccolte, con testi che hanno la funzione di “cucire e ricamare” i componimenti e generare una tensione emotiva con il mondo poetico di Sigillò, ma anche creare una estensione sonora e una risonanza sentimentale e intellettiva. Le liriche di Sigillò vengono rifuse nel “commento poetico” con una operazione di ri-contestualizzazione e ri-codificazione del linguaggio e del messaggio per creare una nuova alchimia simbolica ed estetica dei contenuti e dei valori espressivi. Altro segno casuale, il numero delle liriche selezionate, in sintonia con l’ultimo verso del XXXIV canto “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Per questo motivo anche le copie della silloge saranno 34, con un imprimatur originale, che scoprirà chi riceverà in dono l’opera.

La silloge può essere letta anche come un “coro” che si rivolge non solo al poeta Sigillò per testimoniare la tempra poetico-esistenziale dei suoi versi in questi tempi attraversati da profonde inquietudini; non solo all’uomo Sigillò che combatte la sua battaglia per la vita come un vecchio leone… ma anche alle costellazioni. Lo sguardo è rivolto alla volta celeste in corrispondenza con il sentimento che si origina nell’immaginario collettivo il giorno di San Lorenzo. E di fronte al mistero dell’universo, alla meraviglia che suscita il firmamento, si contrappone l’angusto microcosmo mondano con la diuturna lotta contro le ingiustizie e le sofferenze che riserva la vita alla creatura umana, fin dalla nascita. Sullo sfondo anche il destino che ognuno di noi è chiamato ad affrontare, in stretto rapporto al nostro compagno di sempre, l’enigmatico tempo. In questo travaglio si genera l’esperienza “augusta” e sublime della Poesia come atto poietico, maieutico, estetico, ontologico ed escatologico per uscire dall’oscurità e contemplare la luce.

L’esistenza trova il suo significato quando l’essere umano con il suo pensiero, con la sua inquieta e tormentata erranza, con la sua tensione spirituale, riesce a trasformare la sofferenza in gioia, il male in bene, il pianto in canto. È una esperienza di travaglio che accomuna la donna nel parto e il “sacrificio” che compie il contadino: dal duro ventre della terra genera il pane. Per cui la scrittura, l’arte, la vera cultura (non certo la “spazzatura” che continuamente producono i media con la propaganda, la mistificazione, la falsificazione e l’inganno a partire dalla continua manipolazione del valore e del significato delle parole) sono parto e porta: hanno il potere di mettere in rapporto la terra con il cielo e di elevare la conoscenza nella sfera della coscienza. Se il Filo d’Amore di Arianna ha fatto uscire Teseo dal labirinto, così il filo poetico ci libera dai tanti labirinti creati per renderci schiavi e per divorarci, ieri come oggi.

Un testimone delle apocalissi culturali  

L’esperienza di Giuseppe Sigillò – nato a Tritanti, frazione di Maropati (RC), dove tuttora vive, attraversando la seconda guerra mondiale e poi i mutamenti repentini tra gli anni ’60 con la scomparsa delle lucciole (Pier Paolo Pasolini, L’articolo delle lucciole, 1 febbraio 1975) e della millenaria civiltà contadini, a causa della feroce industrializzazione e approdando al terzo millennio con l’irruzione inarrestabile delle società interconnessa delle agorà virtuali, dei non luoghi (teorizzati da Marc Augé, scomparso di recente, 24 luglio, in un libro del 1992, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della sumodernità) , ma disconnessa dal mondo interiore e dal rapporto vivo, sensibile con l’alterità con la quale ognuno costruisce la propria identità, è emblematica per le chiavi interpretative con cui possiamo interrogare la sua poesia, ma anche per i temi e i contenuti che emergono. In particolare viene fuori una visione tragica della vita: il pathos nella titanica lotta contro le avversità (troviamo una corrispondenza con l’esperienza di Giacomo Leopardi). La sua poesia si carica di messaggi esistenziali importanti alla luce della crisi profonda dell’uomo nella società dei “post” vampirizzata dal modello del neocapitalismo finanziario e della globalizzazione: è in atto già da circa mezzo secolo (ma si tratta di un processo che è stato denunciato a partire dalla seconda rivoluzione industriale già da Charles Baudelaire ne I fiori del male, 1857) la desertificazione dei sentimenti, delle emozioni, dei valori etici e politici, prodotta dal consumismo e dalla reificazione feticista con cui viene sedotta la società dalle sirene dell’edonismo con l’accelerazione improvvisa e incontrollabile della fitta trama della “tela del ragno” digitale. Un declino a cui l’umanità sembra predestinata, se applichiamo le categorie antropologiche, culturali, filosofiche, estetiche e spirituali con le quali abbiamo definito l’umanità e la civiltà fino a ieri. In questo frangente epocale sono chiari i segni del mutamento: il processo “evolutivo-involutivo” sta selezionando un’altra specie di homo, “il transumano” frutto del dominio imperante della tecnica e della tecnologia cibernetica, trasferendo l’esperienza sensibile (estetica) dal regno naturale a quello artificiale (anestetica). Quali saranno le conseguenze e gli effetti di questi processi lo possiamo già constatare nel corso dei decenni con le profonde disuguaglianze che si sono generate, soprattutto con l’immane dominio da parte di una ristretta oligarchia plutocratica che ha nella mani il potere di porre sotto il loro controllo i governi e le istituzioni mondiali.  Questo nuovo ordine si è imposto applicando il totalitarismo tecnocratico che ha espropriato i cittadini dei fondamentali diritti orientando i comportamenti attraverso la manipolazione sistematica dei mezzi di informazione (propaganda) e la creazione di continue emergenze, con crisi finanziarie e guerre dichiarate o mascherate. Per cui i principi sanciti nella Costituzione sono continuamente rinnegati e traditi in particolare da chi ha giurato su di essa. La democrazia e la sovranità popolare sono soltanto un lontano miraggio carico di demagogia, retorica e ipocrisia che servono a far gonfiare la sacca vocale delle raganelle istituzionali. Solo chi ha deciso di chiudere gli occhi non vede il disegno che è alla luce del sole.

L’altro aspetto inquietante è dato dall’impossibilità per ognuno di noi di controllare chi ci controlla e di poter verificare l’attendibilità di tutte le informazioni che condizionano le relazioni umane, la vita politica e sociale. La mutazione antropologica, l’omologazione e il genocidio culturale (Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975 e Lettere luterane, 1976) sono stati attuati con l’inconsapevolezza etica dei nostri comportamenti determinando uno sradicamento dei sentimenti estetici e del linguaggio intuitivo: non passerà molto e le conoscenze – insieme alle esperienze – verranno dominate radicalmente dagli ambienti virtuali grazie alla cosiddetta intelligenza artificiale che renderà deficiente l’essere umano. Il delirio di onnipotenza che si genera dentro i labirinti cibernetici – ahinoi! – sta portando al mostruoso disegno, grazie all’artificio dei cyberdaedali, di volerci rinchiudere in compagnia del minotauro e di ridurci a umanoidi, robottini, pupazzetti o soldatini.

Ristabilire quindi il contatto con il mistero che circonda la creazione e il creato per risvegliare questa corrispondenza simbolica con la meraviglia del cosmo, è fondamentale. Solo così si può corrispondere con il linguaggio e il messaggio ancestrale che la natura suscita attraverso la dimensione della bellezza e del mistero. Aristotele e Einstein hanno creato un accordo armonico: “La meraviglia è il principio della conoscenza” (Aristotele, Metafisica, IV secolo a.C.); “La cosa più lontana dalla nostra esperienza è ciò che è misterioso. È l’emozione fondamentale accanto alla culla della vera arte e della vera scienza. Chi non lo conosce e non è più in grado di meravigliarsi, e non prova più stupore, è come morto, una candela spenta da un soffio” (Albert Einstein,. Come io vedo il mondo, 1934). Per cui possiamo recitare con Dante che “Trasumanar significar per verba/
non si poria; però l’essemplo basti/ a cui esperïenza grazia serba”. (Paradiso, Canto I).

L’esperienza poetica e in genere il linguaggio dell’arte, sono i canali per risvegliare questo “sacro alfabeto” in cui vi è la sorgente arcana (che illumina e salva) mettendo in comunicazione il divino con l’umano, il cielo con la terra, il passato remoto con il futuro. L’essenza della poesia come atto ispirativo e intuitivo per coltivare e far affiorare le memorie arcane impresse nel nostro DNA, è una delle vie privilegiate per risvegliare la coscienza – o intelligenza cosmica – come hanno fatto i popoli antichi con la mitopoiesi. La scienza senza coscienza e senza amore partorisce il mostro. Lo insegna il mito del labirinto, lo insegnano i fatti se si ha il coraggio di guardare nello specchio la nostra nuda identità: basta semplicemente affiancare al mithos e al logos la logica e collegare gli avvenimenti e i fenomeni per svelare il disegno che nasconde il mosaico della verità (intesa nell’accezione etimologica greca di aletheia, far venire alla luce ciò che è nascosto, rivelazione di ciò che è oscuro).

Se l’homo sapiens non riesce a comprendere i meccanismi perversi che ci sono dietro le nuove tecnologie, come spiega il filosofo Gunther Anders in Noi figli di Eichmann (1964), l’umanità resterà un “relitto dell’altro ieri”: “L’ingenua speranza ottimistica del XIX secolo, quella secondo cui la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la chiarezza dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in tale speranza, non solo è un semplice relitto dell’altro ieri, ma è anche una vittima degli attuali gruppi di potere; cioè vittima di quegli oscuri uomini dell’era della tecnica che hanno tutto l’interesse a mantenerci all’oscuro sulla realtà dell’oscuramento del nostro mondo, producendo ininterrottamente quest’oscurità”.

La visione etica ci è stata espropriata proprio perché non conosciamo gli strumenti che usiamo (non li sappiamo più costruire, né aggiustare né conosciamo i processi che innescano). Non vale più la classica affermazione che dipende dall’uso, perché siamo noi ad essere usati come bambini inconsapevoli e inesperti, senza più esperienza (basta solo pensare all’effetto distruttivo di una bomba atomica rispetto ad una primitiva freccia, che può essere sganciata con un clic a distanza di migliaia di chilometri senza guardare in faccia le persone che si massacrano); e quindi non abbiamo più la consapevolezza del loro funzionamento e ogni potere di controllo viene occultato (il sociologo Marshall McLuhan aveva coniato l’equazione “il medium è il messaggio”, ne Gli strumenti del comunicare, 1964). Questi meccanismi nefasti e deliranti li possiamo già toccare con mano dall’antropologia che si è generata negli “utenti amanti” dei social media in cui si è sviluppato un narcotico narcisismo del “mi piace”, naturalemnte autoreferenziale in quanto sottindente “mi compiace”.

Sarà molto, ma molto difficile porre un argine all’oltrepassamento delle “Colonne d’Ercole” (Inferno, Canto XXVI) per cui intuitivamente non è difficile prevedere che quello che un tempo veniva considerato un “essere umano” verrà ridotto ad umanoide, a OGM, a clone, ad app, ad algoritmo, ad una banale funzione del sistema, con la felicità demoniaca dei nostri “tiranni-benefattori”. La fondamentale differenza con il passato è che non sapremo mai chi sono i nostri carnefici perché nascosti nella loro viltà cibernetica, e saremo noi a dare il consenso a chi ci domina, ben contenti di essere dominati e controllati (lo aveva prefigurato Italo Svevo nella conclusione de La coscienza di Zeno, un secolo fa). Per cui l’assunto fondamentale che la dignità dell’uomo si misura con il grado di libertà, crolla inesorabilmente, lasciando a terra soltanto macerie e relitti.

Un tempo veniva definita “civiltà” il livello di sensibilità estetica, il rispetto dei diritti umani, la libertà di espressione, la coniugazione dei principi e dei valori etici nella scelta libera e consapevole associati con la filantropia greca e l’humanitas latina. Con la nuova antropologia transumana l’attuale società sarà connotata invece dalla “viltà” senza la “C” di “cultura”, e la “I” di “intelligenza” e “identità”: tutto viene deciso in modo occulto senza poter conoscere l’identità di chi ci opprime e il mondo sarà sempre più una fiction, un reality show, una sceneggiata, una caricatura, una rappresentazione virtuale di maschere e mascherine, di comparse e scomparse, con dei registi-hacker ben addestrati e ingegnosamente occultati dietro le quinte della rete oscura invece della “selva” (anche sotto questo profilo possiamo leggere e interpretare il viaggio di Dante nei tre regni come chiave simbolica attraverso la categoria esegetica della prefigurazione). Le cosiddette piattaforme digitali servono a questo, già dal nome: rendere piatta qualsiasi forma di vita. Non si ha più un rapporto con un essere umano ma con uno schermo, con un monitor, con un sistema già programmato per annientarci sotto il profilo umano, etico ed estetico.

Il linguaggio della poesia e dell’arte ci fa uscire da questi nuovi e subdoli dedali: hanno il valore simbolico del mitico “filo di Arianna” anche come specchio con cui lo sguardo scopre e contempla se stesso, richiamando il profetico Oracolo di Delfi:

Ti avverto, chiunque tu sia.
Oh tu che desideri sondare gli Arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi
non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
Come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
Oh! Uomo conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei

La scrittura è tessitura, filo che si intreccia per dare vita al textus (intreccio). Il “Verso dell’universo” si contrappone al “perverso metaverso”.

All’essere umano non rimane altro, per potersi salvare, che “abitare poeticamente la terra”, come ha intuito il grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin nella lirica Poeticamente abita l’uomo la terra:

Può un uomo, quando la sua vita non è che pena
guardare il cielo e dire: così
Anch’io voglio essere. Si. Fino a che l’amicizia,
l’Amicizia schietta ancora dura nel cuore
non fa male l’uomo a misurarsi
con la divinità. Dio è sconosciuto?
E’ egli manifesto e aperto come il cielo? Questo
piuttosto io credo. Questa è la misura dell’uomo.
Pieno di merito, ma poeticamente abita
l’uomo su questa terra. Ma l’ombra
della notte con le stelle non è,
se così posso osar di parlare, più pura
dell’uomo che si chiama immagine della divinità.
C’è sulla terra una misura? No.
Non c’è ne alcuno.

Ed è quello che ha cercato di fare con tutte le sue forze Giuseppe (per gli amici Peppe) Sigillò, vivendo questa esperienza titanica del vivere e prefigurando il declino delle “magnifiche sorti e progressive” (Giacomo Leopardi, La ginestra, 1836) a cui si sta avviando una società senza humanitas.

Dal Clinamen di Lucrezio alla profetica eresia della poesia

Questa prima edizione di  Corrispondenze liriche nella notte di San Lorenzo con la Musa di Giuseppe Sigillò stampata in 34 copie (in corrispondenza con le 34 liriche selezionate), fa parte di un progetto culturale sperimentale intitolato “Il filo di Arianna – Profezia, Poesia, Eresia” con l’apporto dei diversi linguaggi artistici tra cui la recitazione, la musica, il disegno, la pittura e la danza. L’intenzione è quello di coinvolgere attori e altri artisti in questa esperienza per creare una “corrispondenza” tra i linguaggi artistici e unità dei saperi per ritessere il filo con il quale uscire dai labirinti dopo aver trasformato il mostro che è dentro e fuori di noi. L’arte e la letteratura hanno un potere profetico ed eretico (il mito lo insegna): senza eresia non ci può essere libertà nel suo significato etimologico di scelta consapevole, di visione etica-estetica del mondo e di coraggio per ribellarsi ai tanti minotauri che si insinuano nei gangli del potere e nelle nostre dimore (psichiche, intellettive, fisiche e simboliche). L’eresia è anche parrasia, responsabilità delle proprie parole, come spiega don Luigi Ciotti nel prezioso volume “L’eresia della verità” (Edizioni Gruppo Abele, 2017): “Ma che cos’è una parola responsabile? È quella parola che non si ferma al giudizio perché cerca la comprensione, la parola che non scaccia via i dubbi ma li accoglie come parte essenziale della propria ricerca, che non ha paura del diverso e dell’ignoto e che nel silenzio, nella riflessione e nello studio, trova modo di rigenerarsi e rimettersi in cammino”.

E più avanti, sempre nella parte introduttiva, la riflessione che illumina con il cortocircuito dell’ossimoro “verità-eresia”:

“Da sempre la verità è eretica (e dunque errante) perché non si accontenta del riscontro delle parole, dei testi, delle leggi, ma vuole anche quello delle vite, delle scelte, dei comportamenti,. Da sempre eretica perché mossa da un desiderio di sapere che agita e cambia le nostre vite, rendendole proprio così degne di essere vissute. Eretica perché impegna la nostra coscienza non meno della nostra intelligenza, intrecciando la ricerca del vero e la costruzione del giusto come facce di una medesima medaglia”.

Questa luce che scaturisce dalle parole di don Luigi Ciotti è ancora più pregna in un messaggio ai giovani del fondatore del Gruppo Abele e di Libera, nel 2014 al Congresso Nazionale di Slow Food:

“Vi auguro di essere eretici. Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso, è colui che più della verità ama la ricerca della verità. E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi. Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza. Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione. Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio”.

E in corrispondenza con “l’eresia della verità” della poesia, si può scoprire l’incipit della silloge poematica.

 

Il mondo è compreso

in una sola parola:

Poesia