L’anno horribilis del pipistrello ci lascia sospesi tra le ignote mani del nuovo messia

“Non mettere in movimento l’anima senza il corpo, né il corpo senza l’anima, affinché, reciprocamente difendendosi, ciascuno dei due divenga equilibrato e sano” (Platone, Timeo)

Non ho voglia/ di tuffarmi /in un gomitolo/ di strade

Ho tanta/stanchezza/ sulle spalle

Lasciatemi così/ come una cosa/ posata/ in un angolo/ e dimenticata

Qui non si sente/ altro/ che il caldo buono

Sto/ con le quattro/ capriole/ di fumo/ del focolare

Giuseppe Ungaretti, Natale

Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va

Si esce poco la sera, compreso quando è festa…

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando

Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno…

Lucio Dalla, L’anno che verrà

Il nuovo Messia è arrivato in assetto da grande parata militare e la luce fu.  Correva l’anno domini 2020 del  27 dicembre, quando c’è stato il battesimo del “Vax-day” con l’epifania del Cominarty. Ma è stato il COronaVIrus Disease 19 il signore che ha ipnotizzato gli occhi del mondo come novella Medusa. Tanti gli enigmi e i misteri che si porta dentro il suo codice genetico questo virus a corona autore di un funesto salto di specie.

La tela del ragno: il ritorno del mito  

Penelope, come Aracne, continua a tessere con la sua spola una nuova ragnatela per attirare la preda, in attesa che Ulisse con il suo arco, si vendichi dei proci. Ma prima di essere riconosciuto attraverso la prova del talamo, come ben sappiamo dal racconto di Omero, l’eroe torna ad Itaca dopo aver messo a segno una serie di inganni, aiutato dalla multiforme Atena.

La storia mitica di Ulisse-Penelope, per analogia, ci svela il segreto racconto del Cominarty.  Il mito narra la nostra storia segreta, profonda, misteriosa. Rivela la verità dell’uomo nel tempo e nello spazio, e fa emergere l’aletheia, la verità nascosta. I grandi miti raccontano la nascita del creato e dell’uomo, il passaggio dalla natura alla cultura, l’origine del bene e del male: aprono le porte del mondo attraverso un linguaggio simbolico e analogico e comunicano segretamente i misteri della vita.

La letteratura sul mito è sconfinata e in ogni tempo e luogo ritorna a parlarci, perché dialoga con le nostre radici e con il rapporto che si genera di fronte al mondo. Ne sanno qualcosa Omero, Esiodo, Euripide, Sofocle, Eschilo, Platone, Aristotele, Virgilio, Ovidio e tanti altri, come Giambattista Vico e, in tempi recenti,  Karoly Kerenyi, Roland Barthes, e i nostri Furio Jesi e Umberto Galimberti. Ma in fondo ogni parola, ogni pensiero, ogni gesto, potrebbero essere ricondotti al teatro messo in scena dal mito, da quella incredibile fantasia che si perde nella notte dei tempi, come ha raccontato, ad es. in una straordinaria pagina, il premio Nobel per la Letteratura (2010) Mario Vargas Lliosa:

“Mi ha sempre affascinato immaginare quella curiosa circostanza in cui i nostri antenati, poco più che diversi dagli animali, grazie a un linguaggio appena nato che permetteva loro di comunicare, iniziarono, nelle caverne, intorno al fuoco, durante notti pieni di pericoli – fulmini, tuoni, fiere ringhianti – a inventare storie e a raccontarsele. Quello fu un momento cruciale del nostro destino, in quanto, in quella cerchia di esseri primitivi meravigliati della voce e della fantasia di chi stava loro raccontando, ebbe inizio la civiltà, quel lungo percorso che ci avrebbe reso umani e ci avrebbe portati a inventare la scienza, le arti, il diritto, la libertà, a indagare i misteri della natura, del corpo umano, dello spazio e a viaggiare verso le stelle”.

(M. Vargas Lliosa, Elogio della lettura e della finzione, 2011)

 L’unica accortezza è quello di saper interrogare il mito. E non solo: “L’arte di interrogare non è facile come si pensa. È più arte da maestri che da discepoli. Bisogna già aver imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa” (J.J. Rousseau, Nuova Eloisa, 1761). Ma di fronte a determinate domande non c’è risposta. Possiamo solo immaginare la sfida ai nostri limiti, come ha fatto l’Ulisse-Prometeo di Dante (XXVI canto dell’Inferno) che ha osato oltrepassare le colonne d’Ercole. È  la sfida dell’uomo che varca la soglia dell’arroganza, della prepotenza e della smisuratezza, quella che la tradizione greca ci consegna nel concetto della hybris. Ed è quello che accade sotto i nostri occhi miopi, incapaci di leggere i geroglifici con cui è scritto il grande libro del mondo, perché molto spesso vediamo ciò che ci portiamo dentro il cuore, spiegava Goethe. In fondo leggiamo con gli occhiali che indossiamo. Cambiando lenti cambia anche l’immagine e il colore del mondo. L’ars interrogandi è più difficile dell’ars respondendi.  L’uomo si istituisce e si definisce come tale nel momento in cui interroga: se stesso e il mondo che lo circonda.

Che cosa sta accadendo in questi tempi che hanno avuto il potere di disorientarci, di sospendere il tempo, di confinarci e di farci scacco matto?

Con un filo di tragica o grottesca ironia possiamo affermare che il mondo in cui viviamo è diventato matto. Lo aveva intuito Platone raccontando il mito della caverna. La relazione tra razionale e irrazionale è sempre più stretta, più sottile e confusa, fin dai tempi in cui ha vissuto Erasmo da Rotterdam, quando ha scritto un famoso elogio alla follia.

E’ razionale costruire armi per distruggere l’essere umano? È razionale che scienziati si mettano al servizio dei poteri di dubbia natura politica e degli appartati industriali per costruire ordigni che potrebbero annientare il mondo in un attimo? È razionale che l’attuale economia si regga sullo sfruttamento, sulle enormi disuguaglianze, sulla violenza, sull’inquinamento e sull’ingiustizia? È razionale che poche persone (plutocrati) abbiano in mano un potere incontrollato e decidano il destino dell’intera umanità? Avremmo dovuto impararlo già da qualche secolo che “il sonno della ragione genera mostri!” (Francisco Goya)

Ci possiamo fidare di governi che si definiscono democratici (senza disturbare i governi autoritari, autocratici, plutocratici, oligarchici o oclocratici), che perpetrano le intollerabili ingiustizie e praticano l’oppressione dei diritti umani, quelli che l’età dei lumi aveva proclamato inviolabili e intangibili, in modo legale? Basta solo citare l’art. 3 della nostra Costituzione per comprendere come la dignità e la salute di tante persone che vivono nel nostro Paese vengano calpestate nell’indifferenza di chi ha governato e tuttora governa. L’esempio eclatante è la cronica patologia della malasanità in Calabria.

In questo quadro in cui la disumanità e le disuguaglianze sono imperanti, per fortuna l’uomo ha il potere di illuminare il proprio destino e di sconfiggere l’invisibile mostro che continua a sterminare migliaia di esseri umani senza difese immunitarie. Il super dei super commissari, il calabrese Domenico Arcuri, proclama nel giorno del Vax-day , con quella facoltà che solo i veri vati hanno, tranne quelli che vivono in patria (nemo profeta in patria),  che una nuova luce sta illuminando il futuro della perduta gente:

“Sono arrivate le prime dosi simboliche dei vaccini. Intravediamo il primo spiraglio di luce dopo una lunga notte. La strada sarà ancora lunga perché possa arrivare il giorno, però è importante iniziare con questa vaccinazione simbolica che domani tutti i cittadini europei inizieranno”.

La vana attesa di un vaccino transgenico per debellare l’anglodemia

Nell’attesa della luce, fiat lux, nel nostro DNA culturale, estetico ed epidermico, si opera un continuo oltraggio da parte degli autorevoli esponenti governativi, degli scienziati e dei media, attraverso l’ibridazione genica dell’italiano con l’inglese, un Ogm linguistico e liturgico che siamo costretti ad ingerire in ogni momento sull’altare della mistificazione, meglio definita come sindrome o pandemia da anglodemia. Ad avere il primato assoluto è lock down  che ormai ci perseguita urbi et orbi (è arrivato sui giornali e in TV esattamente il 17 marzo 2020, prima si parlava di bloccoisolamento, confinamento, serrata,  zona rossachiusura). L’infezione  anglofona è stata incontenibile in questo arco temporale di emergenza: espressioni come smart workingtask force, screening, cluster, voucher, recovery fund, recovery plan, droplet, cashback e altri incredibili ircocervi hanno sfigurato e sfregiato la nostra madre lingua. Ancor più intollerabile nell’anno della ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante, padre della bella favella nel Paese “dove ‘l sì suona” (Inferno, XXXIII canto). La più profonda colonizzazione e mistificazione passa attraverso la mutazione transgenica della lingua e quindi della cultura. Un imponente contagio di massa, mai subito nella storia, reso ancora più profondo dal nuovo pharmakon:

“Ma anche la verità va tenuta in gran conto. Se infatti abbiamo detto giusto poco fa e la menzogna infatti è inutile agli dei e utile agli uomini solo come pharmakon , è chiaro che esso va assegnato ai medici e i profani non devono mettervi mano” (Platone, La Repubblica, III libro) .

Stiamo entrati in un labirinto senza uscita o abbiamo il filo di Arianna che ci libera? Di fronte a questo nuovo farmaco genico che utilizza la tecnica mRna mai utilizzata per produrre vaccini in breve tempo, che fine ha fatto il principio di precauzione? Quali saranno gli effetti tra uno, due, tre, quattro, cinque… 10 anni? Tanti i punti interrogativi e i dubbi che affiorano. Intanto la sperimentazione si fa sul corpo sociale in emergenza, metodo applicato in questo frangente storico per imporre tutto ciò che nella normalità nessun potere democratico si sarebbe sognato di fare.

Cominarty: il nuovo messia, figlio della genetica, restituirà la luce al mondo?

Non è stato concepito dallo Spirito Santo, ma è frutto della scienza genetica e della tecnologia, basata sull’impiego dell’mRna messaggero e funziona nell’indurre la risposta immunitaria. Quindi è una creatura creata dall’uomo con il preciso mandato di sprigionare gli anticorpi contro il Covid. C’è molto di più: la scienza umana è già pronta per sconfiggere il Minotauro dentro il labirinto. La scelta del nome infatti, anche se non si ispira all’eroe Teseo che libera Atene dal suo tragico tributo a Minosse uccidendo il mostro del labirinto, non ha propriamente i caratteri della mitologia, anche se la tecnica è identica, come ci svela, un articolo, intitolato “Perché il vaccino di Pfizer e BioNTech si chiama Comirnaty?” :  “Il brand, così si dice nel linguaggio tecnico, mescola insieme i concetti di comunità, immunità, mRNA e COVID, praticamente tutto ciò che ha a che vedere con la sua essenza e il suo utilizzo… – Il nome è coniato dall’immunità Covid-19, e poi incorpora al centro il concetto di mRNA, che è la tecnologia della piattaforma, e nel complesso vuole evocare anche la parola comunità – ha detto Scott Piergrossi, capo della comunicazione del Brand Institute. L’obiettivo nel dare un nome ai farmaci è quello di sovrapporre idee e stratificare il significato in un nome. In questo caso, i concetti ad alta priorità con cui i team dell’agenzia hanno iniziato a lavorare sono stati l’immunizzazione COVID e la tecnologia mRNA. I clienti stessi hanno puntato l’accento sulla parola comunità come immagine e associazione che volevano suscitare.C’è molta creatività nel cercare di generare un nome che non solo soddisfi i requisiti della Fda, ma che abbia anche un appeal emozionale o addirittura razionale per l’utente finale” – spiega Mike Pile, presidente e direttore creativo di Uppercase Branding, un’azienda la cui clientela comprende molte aziende farmaceutiche.  – Si cerca di rendere il nome il più amichevoli possibile. Dovete fare tutto il possibile per evitare di mettere un punto interrogativo tra voi e il vostro consumatore. Non c’è motivo per cui non si possa infilare l’ago e trovare un nome che sia al tempo stesso favorevole al consumatore e che spinga i confini della scienza e della tecnologia. Questa è la ricerca del Santo Graal, ed è per questo che esistono aziende di branding come la mia”. (https://www.pharmastar.it/news/business/perch-il-vaccino-di-pfizer-e-biontech-si-chiama-comirnaty-34235).

Il sacro calice della conoscenza

La ricerca del Sacro Graal, il calice dove bevve Gesù nell’ultima cena e che venne usata da Giuseppe di Arimatea per raccogliere il sangue di Cristo dopo la crocifissione, rappresenta simbolicamente l’accesso all’inconoscibile segreto tramite una conoscenza iniziatica, ma soltanto con l’azione della Grazia divina. Anche questo vaccino quindi si impregna di questi poteri miracolosi attraverso la sacralità del nome, che riproduce simbolicamente l’atto originario della creazione.  Ma in questi tempi in cui la mistificazione fa parte del nostro pane quotidiano, siamo attraversati dall’enigma amletico se essere o non essere vaccinati, se vaccinarci subito oppure aspettare. A parte i negazionisti, lo scetticismo accompagna lo sguardo errabondo di fronte allo “show” mediatico come forma estrema di spettacolarizzazione che ci spinge però, a elaborare dei sani interrogativi e attivare le difese immunitarie intellettive. Lo spettacolo sfoggiato con modalità enfatiche e iperboliche, nasconde da una parte, la propaganda, la retorica demagogica, che genera a sua volta il sospetto che si voglia imporre “democraticamente” il libero “dogma” del nuovo fondamentalismo tecnocratico; e dall’altra, la demonizzazione di chi esprime una posizione critica, delle perplessità, che hanno una radice culturale nel cartesiano dubbio metodico: il metodo del dubbio e la certezza del Cogito.

Come poter avere piena fiducia di fronte ad un apparato di potere (governo, media, comitati tecnico-scientifici), e quindi di conseguenza l’opinione, doxa, che orienta il consenso in un circolo vizioso, non certo virtuoso, ostentando delle performance mediatiche a dir poco irrituali? Come, ad esempio, fare degli annunci attraverso canali social e ad ore inconcepibili per chi ha una carica così “carica” di responsabilità. Assistiamo a tanti paradossi senza poter dipanare il filo della verità, ma solo quello della post verità. Lo aveva già denunciato molti secoli fa lo scrittore gereco-romano Epitteto (II sec. d.C.) nel suo celebre “Manuale”: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti”.

In questo scenario surreale constatiamo che un esserino invisibile, microscopico,  ha avuto il potere di stravolgere i rapporti, le relazioni, l’economia, i comportamenti: la cosiddetta normalità della vita in cui ormai da decenni la società del consumismo, liberista e liberticida era rassegnata a vivere e a coesistere. Gli scienziati ci informano e ci rassicurano, ma sono tanti i buchi neri nell’universo della nostra limitata conoscenza e della nostra esperienza. Specialmente nei microcosmi di una popolazione inerme, che fa fatica a farsi domande su ciò che accade, su ciò che dice, su cosa dice, come lo dice e perché lo dice. Allora sarebbe necessario partire dalla storia passata e recente per cercare di comporre le tante tessere del mosaico. Un lavoro decisamente titanico.

Il ruolo dell’intellettuale, come ci aveva avvisato Norberto Bobbio, è quello di seminare dubbi più che dare certezze. Lo afferma in questo illuminante passo che fotografa e mette in cortocircuito sia questo incauto logos che si dipana nelle parole del nostro umile verbo, sia quello che sta accadendo sulla scena mediatica pubblica:

“Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccoglier certezze. Di certezze – rivestite della festosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma –  sono piene, rigurgitanti, le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva” (Norberto Bobbio, Politica e cultura, 1955)

L’uomo è misura. Lo aveva profetizzato Protagora: “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono.”

Nella sua storia evolutiva, l’essere umano è andato sempre in cerca di soluzioni per sentirsi meno insicuro svelando tanti enigmi, inventando linguaggi e costruendo strumenti sempre più sofisticati per controllare sia i fenomeni naturali che quelli sociali e umani per difendersi dalle svariate minacce. Ha costruito congegni, imposto regole, leggi, codici, fin dalla nascita dell’immaginazione come è successo con la creazione mitica e si è spinto oltre le colonne d’Ercole, mai pago di se stesso e assetato di potere. Già Bacone nel 1627 aveva profetizzato quello che oggi viene identificato come il transumano creando la corrente scientifica e filosofica del Transumanesimo o Postumanesimo, a partire dagli anni ’50:

“Prolungare la vita: ritardare la vecchiaia: guarire le malattie considerate incurabili: lenire il dolore: trasformare il temperamento, la statura, le caratteristiche fisiche: rafforzare ed esaltare le capacità intellettuali: trasformare un corpo in un altro: fabbricare nuove specie: effettuare trapianti da una specie all’altra: creare nuovi alimenti ricorrendo a sostanze oggi non usate” (Bacone, Nuova Atlantide, 1627).

La conoscenza scientifica applica la stessa logica del mito, nel tentativo di dipanare il groviglio del mistero e dare ordine al disordine, al fine di poter controllare il mondo che lo circonda attraverso le facoltà razionali e intuitive. È vero che la scienza, come metodo di ricerca e di sperimentazione deve essere aliena da condizionamenti di sorta e persegue, fin dai tempi del padre del metodo sperimentale, Galileo Galilei, la ricerca della conoscenza oggettiva e dell’indagine dei fenomeni naturali. Non più come l’intuizione privilegiata di un sapiente o astronomo illuminato, né il commento a qualche antico filosofo come Aristotele ritenuto depositario della verità. La scienza cessa di presentarsi come un discorso su un mondo racchiuso nei libri, per divenire osservazione e scoperta delle leggi della natura: non più il che cosa e il perché, ma il come i fenomeni accadono. Si tratta di un mutamento epistemologico: cambiano il metodo e i principi stessi della conoscenza scientifica ed è stato proprio Galilei a definire con chiarezza il nuovo metodo sperimentale e a dare alla scienza una autonomia, grazie a teorie fondate su ripetute e rigorose osservazioni e verificate attraverso esperimenti. Nasce così il meccanicismo, che si contrappone al finalismo (l’azione provvidenziale di un Dio creatore), e la natura viene considerata una macchina governata da leggi e principi geometrico-matematici, come la espose il filosofo Cartesio, inaugurando il dubbio metodico. Così formula  il famoso cogito ergo sum (“Discorso sul metodo”) in netto contrasto con il cogito di Amleto, “Essere o non essere, questo il dilemma”, entrambi escogitati nel ‘600, il secolo speculare alla nostra contemporaneità. Parafrasando Cartesio, il novo cogito del post pensiero che recita “Io penso, dunque non sono” o “Io non penso, dunque sono”, coglie l’essenza nell’età dei social media. Anche Agostino ne “La Città di Dio” aveva esclamato Si fallur sum!, “se sbaglio esisto!”, espressione che facciamo nostra. Ma è stato Charles Darwin ad osservare che l’evoluzione, legata ai meccanismi che agiscono nell’ambiente (adattamento e selezione), è il frutto dell’imprevedibilità e quindi del caso:

“Se un architetto innalzasse un edificio bello e comodo senza usar pietra tagliata ma impiegando per le varie arcate parti cadute dalla volta di una caverna, pietre allungate per le architrave e pietre piatte per il tetto, noi dovremmo ammirare la sua abilità e lo considereremmo come una potenza superiore. Ebbene, i vari pezzi di pietra indispensabili ad un simile architetto stanno all’edificio da lui costruito nella stessa relazione in cui fluttuanti variazioni degli esseri organici stanno alle varie mirabili strutture che alla fine presentano i loro discendenti modificatisi” (C. Darwin, Le variazioni di animali e piante sotto la domesticazione, 1896)

 Questo meccanismo è ripensato da Jaques Monod nel libro “Il caso e la necessità”, in cui spiega che l’evoluzione (le modifiche del nostro DNA) interviene in modo accidentale nel nostro testo genetico, attraverso una libertà assoluta e cieca: il  puro caso, il solo caso agisce alla radice del prodigioso edificio dell’evoluzione. Lo sbaglio di natura, come Eugenio Montale lo definisce ne I limoni:

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.

Ma non è il caso di supporre che dietro il “caso” si possa nascondere il disegno intelligente di Madre Natura, di cui l’homo Sapiens, con tutta la sua sapienza non è in grado di intelligere?

Il Meccanicismo, dopo la teoria evoluzionistica di Darwin si trasforma in Determinismo: tanto la vita fisica quanto quella culturale rispondono alla stessa legge evolutiva:

“Con i suoi sentimenti, le sue inclinazioni, le sue idee, i suoi pensieri e le sue creazioni artistiche l’uomo non spezzerebbe mai tale magico cerchio, non vi sfuggirebbe mai. Si potrebbe considerare l’uomo come un animale di una specie superiore, un animale che crea filosofie e poemi così come il baco da seta produce il suo bozzolo e l’ape costruisce gli alveoli” (Ernst Cassirer, Saggio sull’uomo, 1944).

 Solo che il baco e l’ape rispondono alla legge di natura, e nessun topo, come spiega Einstein in un noto paradosso, si sognerebbe di costruire la propria trappola (la bomba atomica) per distruggere l’ambiente naturale. Molte delle ricerche scientifiche sono nelle mani di società private e dipendono sempre da finanziamenti e dalle scelte politiche – quindi di carattere ideologico – delle autorità o dei poteri non sempre alla luce del sole. È il caso, ad esempio, delle aziende che hanno prodotto il vaccino anti-Covid che perseguono, come finalità, non certo il bene dell’umanità, ma il profitto. Di fronte ad una drammatica emergenza umanitaria come la pandemia, perché i governi europei hanno lasciato che a trovare una soluzione del problema fossero delle aziende private? Che fine faranno questi enormi profitti? Utopicamente amiamo supporre che verranno investiti per favorire la fratellanza umana universale o per prevenire tutte quelle patologie tumorali causate dall’inquinamento la cui fonte, nella maggior parte dei casi, è imputabile alle industrie chimiche e farmaceutiche. Se la ricerca e la produzione dell’antidoto fosse stato affidato ad un equipe di scienziati che operavano nelle università o in istituti di ricerca statali, avrebbe avuto un alto valore simbolico e democratico, non solo scientifico. Sono queste scelte che non sono comprensibili sotto il profilo razionale, politico, sociale ed etico. Qui entra in gioco quella che il citato filosofo e biologo Jacques Monod (Premio Nobel per la Medicina 1965) pone come una questione etica che investe il campo scientifico e della conoscenza in generale:

“Il problema è se la scienza può offrire un sostituto ai vari sistemi fideistici, sui quali erano tradizionalmente fondati i valori e le strutture sociali. A prima vista potrebbe sembrare impossibile perché essendo i valori essenzialmente  non obiettivi, non possono logicamente venir derivati da conoscenze obiettive. Né la scienza potrebbe proporre qualche fede su cui i valori potrebbero trovare un nuovo fondamento. La scienza non solo ignora, ma rifiuta ogni assimilazione tra “fede” e conoscenza … La scienza è vero non può creare, dedurre o proporre dei valori, però il perseguimento della conoscenza  obiettiva è di per sé un atteggiamento etico, fondato su una scelta iniziale di un sistema di valori che io chiamerò “l’etica della conoscenza”. .. Storicamente, l’etica della conoscenza, basata sul mero postulato che la natura stessa sia oggettiva, e non finalistica (come nel sistema aristotelico) si rifà precisamente ai fondatori della scienza moderna: Galileo, Cartesio, Bacone. La costruzione per opera della scienza del mondo moderno, e la distruzione , operata ancora dalla scienza, dei fondamenti del sistema fideistico tradizionale, dipendono in definitiva da questa scelta tradizionale” (J. Monod, Sulla relazione logica tra conoscenza e valori, 1975).

“Oggi è poco prudente per un uomo di scienza inserire il termine ‘filosofia’, sia pur ‘naturale’, nel titolo o nel sottotitolo di un’opera: è il miglior modo per farla accogliere con diffidenza dagli scienziati, e, per bene che vada, con condiscendenza dai filosofi. Ho un’unica scusante, che però ritengo legittima, ed è il dovere che si impone agli uomini di scienza, oggi più che mai, di pensare la propria disciplina nel quadro generale della cultura moderna, per arricchirlo non solo di nozioni importanti dal punto di vista tecnico, ma anche di quelle idee, provenienti dal loro particolar campo d’indagine, che essi ritengano significative dal punto di vista umano. Il candore di uno sguardo nuovo (quello della scienza lo è sempre) può talvolta illuminare di luce nuova antichi problemi.” (Il caso e la necessità, 1970).

Ma qualche decennio prima era stato lo stesso Albert Einstein a porre il problema etico-morale in relazione alle sempre più invasive applicazioni scientifiche, tecniche e tecnologiche nella vita dell’uomo:

“D’altra parte la tecnologia, o scienza applicata, ha posto l’uomo di fronte a problemi di estrema gravità. La sopravvivenza stessa dell’umanità dipende da una soddisfacente soluzione di tali problemi. Si tratta di creare un tipo di istituzioni e di tradizioni sociali senza le quali i nuovi strumenti porteranno inevitabilmente a un disastro della peggior specie”.

Più avanti, sempre nella stessa opera, il premio Nobel per la Fisica (1921) ci pone di fronte a questa riflessione: 

“E’ privilegio del genio morale dell’uomo, impersonato da individui ispirati, suggerire degli assiomi etici così generali e ben fondati che gli uomini li accettino in quanto ancorati alla grande massa delle loro esperienze emotive individuali. Gli assiomi etici vengono scoperti e verificati in modo non molto diverso dagli assiomi della scienza. La verità è ciò che resiste alla prova dell’esperienza”.  (A. Einstein, Pensieri degli anni difficili, 1950)

“La verità è ciò che resiste alla prova dell’esperienza”: questa deduzione lo porta a concepire una sorta di testamento spirituale, pochi mesi prima della sua morte, dal titolo Come io vedo il mondo, che verrà pubblicato dal filosofo Bertrand Russel, a cui Einstein aveva affidato il suo ultimo messaggio, sottoscritto da altri sette studiosi di fama internazionale, tra essi lo stesso Russel. Il libro contiene Il messaggio contro la guerra atomica che si chiude con questo appello:

“Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo paradiso, altrimenti davanti a voi il rischio della morte universale.”

Lo attesta il filosofo Dario Antiseri che la scienza è oggettiva “ma l’uso che di essa si fa, attraverso gli svariati canali della tecnologia, non è oggettivo, ma ideologico. Come è ideologica la scelta dei problemi da indagare scientificamente; e, come altrettanto ideologico è il finanziamento di certi progetti invece che di altri”. Il filosofo conclude affermando che la scienza non è “indifferente né socialmente, né spiritualmente, né filosoficamente (in quanto influenza la nostra immagine dell’uomo, della natura e della società)”. (nel testo “Leggere la realtà,  in  “Scienza, tecnologia e società”, 1981)

Questo legame lo esplica in modo efficace con una sorta di aforisma sillogistico il premio Nobel per la Fisica (1954) Max Born: “La connessione tra fisica e politica è la tecnica.  La politica si basa sulla potenza, la potenza sulle armi, e le armi sulla tecnica”. (M. Born, Il potere della fisica, 1962).    

 Nel percorso evolutivo della scienza come ricerca e applicazione tecnica, in particolare con la rivoluzione scientifica della Teoria della relatività di Einstein e poi della fisica dei Quanti,  abbiamo appurato che i risultati scientifici sono in relazione al “principio di indeterminazione” formulato dal fisico W. K. Heisenberg, un concetto cardine della meccanica quantistica. L’impressione però è che siamo ancora ancorati alla meccanica classica in cui l’osservatore immaginava di essere soltanto un semplice spettatore. Per cui, per deduzione logica, si pone un’altra questione: l’intuizione rientra in quel mondo che si definisce razionale? Ascoltiamo ancora Einstein:

“La cosa più lontana dalla nostra esperienza è ciò che è misterioso. È l’emozione fondamentale accanto alla culla della vera arte e della vera scienza. Chi non lo conosce e non è più in grado di meravigliarsi, e non prova più stupore, è come morto, una candela spenta da un soffio. Fu l’esperienza del mistero – seppure mista alla paura – che generò la religione. Sapere dell’esistenza di qualcosa che non possiamo penetrare, sapere della manifestazione della ragione più profonda e della più radiosa bellezza, accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più elementari – questo sapere e questa emozione costituiscono la vera attitudine religiosa; in questo senso, e solo in questo, sono un uomo profondamente religioso”.  (Come io vedo il mondo; citato anche in Pensieri di un uomo curioso).

“Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e speranze personali, quando l’affrontiamo come uomini liberi, osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel regno dell’arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in una ricerca scientifica. Se lo comunichiamo attraverso forme le cui connessioni non sono accessibili al pensiero cosciente, ma vengono percepite mediante l’intuito e l’ingegno, allora entriamo nel campo dell’arte. Elemento comune alle due esperienze è quella appassionante dedizione a ciò che trascende la volontà e gli interessi personali.” (Pubblicato in una rivista d’arte tedesca nel 1921, inserita nel testo postumo, Il lato umano, 1972).  

In queste citazioni ricorrono concetti e categorie come mistero, meraviglia, stupore. Sono tutte espressioni che hanno a che fare con l’irrazionale e il simbolico. Ed è attraverso la meraviglia che l’uomo ha iniziato l’avventura della scoperta, dell’arte, della stessa scienza, ma soprattutto della coscienza di fronte all’incoscienza. Ed è alla coscienza che noi ci dobbiamo appellare. Il contagio più allarmante e più inquietante che sta devastando l’umanità, è la perdita della coscienza di ciò che accade, l’insensibilità e la disumanità che stanno annientando la vita di tanta parte di esseri umani, cioè l’incapacità di vestire i panni dell’altro e di immaginare il futuro, di avere uno sguardo non solo capace di provare pietas  ma di una visione contemplativa, lungimirante, sensibile umanamente, esteticamente ed eticamente. Il paradosso sta nel fatto che l’umanità più cerca di affidarsi alla tecnica per sentirsi onnipotente e per tentare di avere il controllo sui svariati fronti e fenomeni e maggiore è la sua incapacità di poterli controllare; questa ambizione si traduce spesso in fragilità e aggressività, come possiamo osservare per quanto riguarda la condizione esistenziale dell’attuale società di fronte all’incertezza e alla paura dettate dalla pandemia:

“Fatemi capire con la forza della ragione su che cosa l’uomo ha fondato i grandi privilegi che egli crede di avere a differenza di ogni altra creatura. Chi gli ha fatto credere che questo mirabile movimento della volta celeste, la luce eterna degli astri che ruotano sopra la sua testa, il prodigioso e temibile moto di questo oceano infinito siano stati stabiliti e continueremo ad esistere nei tempi solamente al suo servizio e per il suo comodo? Si può immaginare qualcosa di più ridicolo del fatto che questo essere miserabile e sciagurato, che non è nemmeno signore di se stesso e che è esposta ai colpi di tutte le cose, afferma di essere il padrone e il sovrano di un mondo di cui è incapace di conoscere anche una minima parte, figuriamoci dominarlo” (M. de Montaigne, Saggi, 1580-1588).

Il senso dell’umiltà si smarrisce nelle pieghe oscure della presunzione e del pregiudizio che si trasforma nelle piaghe maligne del delirio di onnipotenza che ormai è diventato l’imperativo categorico di questo modello sociale in cui domina la tecnocrazia attraverso il potere dei tecnocrati. Ma per dare senso alla storia umana e sociale di ogni essere pensante che sa usare il logos e il ben dell’intelletto (“Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto/ che tu vedrai le genti dolorose/ c’hanno perduto il ben de l’intelletto”, Inferno, Canto III, vv. 16-18), sarebbe utile ascoltare la testimonianza di Sofocle nell’Edipo Re, “L’opera umana più bella è quella di essere utile al prossimo”, oppure quella di Publio Terenzio Afro, Homo sum, nihil umani a me alienum puto, “Sono un uomo e nulla che sia umano mi è estraneo” (Il punitore di se stesso, 165 a. C.), tradotte in senso antropologico ed escatologico, non solo ontologico, nel messaggio evangelico. Questa tensione etica, poetica e spirituale potrebbe apparire pura utopia, ma senza sogni e senza utopie nessuna forma espressiva e poetica sarebbe possibile, e non avremmo nessuna delle opere che hanno fatto evolvere, donando luce e lustro, le civiltà umane: non avremmo né l’antico né il nuovo testamento, né la poesia di Dante e nemmeno la rivoluzione copernicana e il metodo scientifico sperimentale di Galileo Galilei. A farci da guida maestra in questi nostri inquieti e vaghi pensieri, verso la “rotta” via, già indicata da Dante (a compimento dei 700 anni dalla sua scomparsa), anche le illuminanti parole di Oscar Wilde:

“Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela. Il progresso altro non è che il farsi storia delle utopie…”

 Nel corso della storia del Novecento, la follia umana ha creato l’immane catastrofe sia della prima che della seconda guerra mondiale, e a tanti altri disastrosi e mostruosi conflitti. In questi due decenni del nuovo millennio tante le guerre a pezzi (Papa Francesco) che non sono dichiarate e che provocano povertà, migrazioni, disperazione, profonde disuguaglianze. La regia occulta di questa empietà ed enormità, è da ricercare nell’attuale modello produttivo fondato sulla mercificazione dell’essere umano, sulla ideologia dei consumi, spacciata per progresso, sull’inquinamento di Madre Terra, che ha come risultato la distruzione della biodiversità e l’annientamento di tante creature inermi, senza che vengano conteggiate nel Pil (in Italia si calcola che le persone che muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico, oltre a quelle causate dall’avvelenamento delle falde acquifere e dei terreni,  siano circa 80 mila l’anno; ma questo numero non sembra destare alcun allarme). E quanto accade viene considerato normale, un effetto collaterale della magnifiche sorti e progressive (G.Leopardi, La ginestra). Tranne qualche voce dissonante, gli scienziati non sono protagonisti sui media nel denunciare la disumanità e la strage quotidiana di esseri innocenti compiuta dalla produzione industriale, perché molti di essi non sono liberi e la loro attività dipende dai fondi che le società, spesso multinazionali, investono (il nostro Paese è sempre tra gli ultimi posti in Europa per fondi destinati alla ricerca e all’istruzione). Adesso che sulla scena è apparso questo ormai celebre protagonista, il Covid 19, la contabilità delle morti è un rosario quotidiano, sotto la supervisione della “tanatocrazia sociale” delle cosiddette autorità scientifiche e governative, che hanno preso la scena.

Ci hanno continuamente ripetuto come un mantra che siamo in guerra. E in effetti il terrore ci ghermisce nei suoi artigli attraverso i dettagli. E con una straordinaria parata militare ci è stato presentato la nuova arma intelligente, il Comirnaty, che riesce a identificare il nemico invisibile e a debellarlo, ma nel frattempo è già mutato. Qui va in scena la connessione tra la politica e la scienza, attraverso il corpo armato, come aveva lucidamente intuito il fisico Max Born.

Il tempo del pipistrello, appeso e sospeso

E’ questa la narrazione. Abbiamo trovato un altro capro espiatorio per obliare i crimini contro l’umanità che si compivano, ma di cui nessuno teneva la contabilità. Da quando siamo entrati in un tempo straordinario, quello del pipistrello, nell’anno che verrà, preconizzato da Lucio Dalla, “sarà tre volte Natale”. Non più il racconto evangelico del bambinello povero nato a Betlemme, nascosto in una grotta, riscaldato dal bue e dall’asino, ma quello di un macabro mammifero, anche lui nascosto in una grotta, che usa i bio-sonar per  predare durante le ore notturne. Poi è andato a finire in un mercato di Wuhan in Cina; dopo è entrato dentro un laboratorio dove lavorano i magi-scienziati internazionali, super segreto. E guarda caso, in tutto questo misterioso ambiente,  si origina il contagio. In verità, per cercare la verità è necessario interrogare l’indovino Tiresia. Il paradosso della scienza, ci verrebbe da dire. “E’ il ritorno del mito” il responso del nostro oracolo:

“L’uomo non può più sottrarsi alle condizioni di esistenza che lui stesso si è creato; deve conformarvisi. Non vive più in un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Il linguaggio, il mito, l’arte e la religione fanno parte di questo universo, sono i fili che costituiscono il tessuto simbolico, l’aggrovigliata trama della umana esperienza. Ogni progresso nel campo del pensiero e dell’esperienza rafforza questa rete. L’uomo non si trova più direttamente di fronte alla realtà; per così dire, egli non può più vederla faccia a faccia. La realtà fisica sembra retrocedere viva via che l’attività simbolica dell’uomo avanza. Invece di avere a che fare con le cose stesse, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se medesimo. Si è circondato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal segno da non poter vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione”. (E. Cassirer, Saggio sull’uomo, 1944

La tradizione non tradisce

È la stessa misteriosa storia delle armi di distruzione di massa che aveva tra le mani Saddam Hussein, mai trovate; o dei famigerati “pizzini” del presunto capo mafia Bernardo Provenzano, in grado di dare ordini alla mafia siciliana e di tenere sotto scacco gli apparati investigativi dello Stato. Ci pensate, i tradizionali pizzini hanno fatto scacco matto per oltre 40 anni alle super tecnologia di cui dispongono le forze dell’ordine dello Stato. La tradizione non tradisce! In un tempo in cui tutti siamo sorvegliati speciali, guarda caso accadono strani fenomeni come degli ufo-pizzini.

Una banale e ingenua riflessione: o si prendono gioco della nostra intelligenza (meschina!), cioè quella proprietà o facoltà di intelligere, di leggere dentro, e intuire attraverso la nostra capacità logica, vale a dire collegare i fatti tra di loro e comprendere il disegno attraverso una illuminazione epifanica; oppure vuol dire che quella che osiamo chiamare intelligenza (in questo caso molto fallace del sottoscritto, si fallur sum ) di fronte alle alte doti di questi eminenti e illustri menti, è solo una pallida parvenza, perché non siamo in grado di comprendere gli occulti e provvidenziali disegni che si nascondono. Classificati nella categoria dei minorati psichici da una élite di luminari, è giusto che ci trattino come burattini senza fili, citando la nota canzone di Eduardo Bennato.  O per recitare il passo della commedia “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello, siamo come “pupi pazzi”:

 “Pupi siamo, caro Signor Fifì. Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. Nossignori ! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pu­po che può essere o che si crede d’essere. E allora cominciano le liti! Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori.”

Già dal ‘600, secolo in cui nasce la scienza moderna con Galilei e inaugurato da Amleto, il teatro e la teatralità diventano gli autentici protagonisti: “Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite come le loro entrate e nella vita ognuno recita molte parti”. (William Shakespeare, Come vi piace). 

Intanto affido ai lettori alcune tessere del misterioso mosaico, tutto da scoprire, tutto da ricomporre o da scomporre, che si porta dentro il codice genetico, questo assoluto protagonista sulla scena del teatro mondiale, sua maestà Covid 19, che sembra riproporre il monologo del principe di Danimarca nel castello di Elsinore (Kronborg):

Essere o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine.

Cina 17 novembre, un anno fa il primo contagio. Ma è ancora mistero sulle origini del Covid-19

Di Filippo Santelli

Le indagini sulla diffusione del virus devono ancora partire: l’Oms chiede un’inchiesta indipendente, ma Pechino fa ostruzionismo

17 novembre 2020 

NANCHINO – Un anno. La prima persona infetta dal virus che in seguito avremmo battezzato Sars-Cov-2 risale al 17 novembre 2019, esattamente un anno fa. Un signore di 55 anni dello Hubei, la regione di Wuhan. I medici che lo curarono, ovviamente, non potevano capire di avere di fronte un nuovo e pericolosissimo patogeno, i sintomi erano comuni a tante altre malattie. A riavvolgere il nastro fino a quel paziente, a quel 17 novembre, sono state le successive ricerche delle autorità cinesi, almeno stando a un documento interno rivelato dal quotidiano South China Morning Post. Neppure quella data però è un punto fermo. Non può esserlo, perché le indagini sull’origine di un virus sono complicatissime e perché quelle sugli inizi di Sars-Cov-2 di fatto devono ancora partire. Né è detto partano davvero, visto il valore politico di cui sono caricate. 
Da una parte gli Stati Uniti, che hanno cercato in ogni modo di attribuire alla Cina la responsabilità dal contagio, anche puntando il dito, senza prove, contro il laboratorio di Wuhan. Dall’altra Pechino, che di quella responsabilità cerca in ogni modo di liberarsi. In mezzo l’Oms, incaricata da maggio di una “indagine indipendente” sulle origini del virus che dopo diversi mesi ancora deve muovere i primi passi. La Cina, come sempre quando si tratta di ispezioni straniere sul proprio territorio, fa ostruzionismo. Non è ancora chiaro quando la squadra di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità potrà sbarcare nel Paese. Ma è già chiaro, secondo quanto rivelato dal New York Times, che non saranno loro a occuparsi delle indagini a Wuhan, primo focolaio conosciuto del virus. Di quella delicatissima parte si occuperanno gli esperti cinesi.
Nel frattempo la Cina, che al suo interno ha contenuto il contagio, continua la sua campagna di propaganda, molto poco scientifica, sul virus “importato”. Siccome Sars-Cov-2 è stato rilevato su una serie di prodotti surgelati in arrivo dall’estero, i media di regime hanno avanzato l’ipotesi che anche a Wuhan il patogeno possa essere arrivato da fuori, magari da oltre confine. Scienziati che fiutano il vento politico si prestano ad accreditare la tesi, colleghi anche autorevolissimi come il luminare Zhong Nanshan dicono mezze verità utili alla causa: “Non è detto che il virus sia nato in Cina”. Infine, ricerche tutte da verificare come quella appena pubblicata dell’Istituto tumori di Milano, secondo cui il virus circolava in Italia già a settembre, vengono citate dai media cinesi come prove che è nato altrove.  

La politica si infila nei vuoti, fisiologici, lasciati dalla ricerca scientifica. Ma, quel che peggio, le impedisce di colmarli. Eppure quei vuoti non sono assoluti, qualcosa sappiamo. Per esempio che il mercato di Wuhan, il luogo a cui all’inizio tutti avevamo guardato, con tutta probabilità non è quello dove il virus è passato all’uomo. Che la stessa città di Wuhan probabilmente non è il luogo del primo contagio, ma solo della sua emersione. Uno studio inglese sulle mutazioni di Sars-Cov-2 sostiene in maniera convincente che il virus sia passato all’uomo tra l’inizio di ottobre e l’inizio di dicembre, con grande probabilità in Cina. Quel che sarebbe accaduto dopo è storia nota.  

(https://www.repubblica.it/esteri/2020/11/17/news/cina_un_anno_fa_primo_contagio_wuhan-274732996/).

Per un approfondimento: “Coronavirus, i segreti di Wuhan e quei 65 giorni che hanno cambiato il mondo” (Carlo Bonini,  Filippo Santelli,  Federico Rampini,  Anais Ginori, Tonia Mastrobuoni,  Antonello Guerrera,  Cosimo Cito –  13 Maggio 2020)

Moderna e Pfizer, tutti i dubbi e i misteri sui due vaccini americani anti-Covid

 

Daniela Amenta, 30 novembre 2020)

C’è un ampio dibattito sulla stampa, e non solo, a proposito degli antidoti delle due aziende americane che utilizzano sequenze di materiale genetico prodotte in laboratorio. Ma in che modo?

Premessa: in questo articolo parliamo di vaccini anti Covid e delle perplessità esposte da scienziati e giornali tra i più autorevoli sugli antidoti di Moderna e Pfizer. Ricordando – come scrive il Corriere della Sera “che nel caso in cui non fossero garantite efficacia e sicurezza, nessuna agenzia del farmaco (dalla FDA all’AIFA) autorizzerà la loro somministrazione”.


Partiamo proprio dal Corriere della Sera che con un articolo interessantissimo, a firma di Sandro Modeo, qualche giorno fa ci ha raccontato la storia delle due aziende americane “con sedi a pochi chilometri l’una dall’altra”, ha tracciato l’identikit degli scienziati che ci lavorano (soprattutto scienziate) e, quel che è più importante, è entrato nel dettaglio della tecnologia utilizzata, la medesima sia per Moderna che per Pfizer, mai usata nella storia. Ponendo una domanda fondamentale: “quali dubbi restano, dopo gli annunci?”.

Quando Moderna è entrata al termine della sperimentazione di fase I, The Independent ha descritto il vaccino in questo modo: “Utilizza una sequenza di materiale genetico di RNA (l’mRNA) prodotto in un laboratorio che, quando iniettato nell’organismo umano deve invadere le cellule”. Questa ‘invasione’ è fondamentale per attivare il meccanismo di produzione delle proteine ​​delle cellule chiamato ribosomi che successivamente addestreranno il sistema immunitario a combattere il virus . In questo caso, l’ mRNA-1273 di Moderna è programmato per far produrre alle cellule la famigerata proteina spike del coronavirus”, ha scritto The Independent.
Sull’onda dell’inchiesta di The Independent – su cui ritorneremo – è intervenuto anche il Jerusalem Post (ricordiamo che Israele ha prenotato milioni di dosi del vaccino di Moderna) interpellando Tal Brosh, capo dell’unità per le malattie infettive dell’ospedale Samson Assuta Ashdod. Brosh ha spiegato che il procedimento utilizzato da Moderna “non cambia il codice genetico delle persone”. Piuttosto lo ha definito “simile a un dispositivo USB (l’mRNA) che viene inserito in un computer (il tuo corpo). Non influisce sul disco rigido del computer ma esegue un determinato programma”.
Lo studioso israeliano ha però riconosciuto che ci sono rischi unici e sconosciuti per i vaccini a RNA messaggero, comprese le risposte infiammatorie locali e sistemiche che potrebbero portare a condizioni autoimmuni. L’articolo si conclude: “Per ricevere l’approvazione della Food and Drug Administration, le due aziende dovranno dimostrare che non ci sono effetti negativi sulla salute immediati o a breve termine derivanti dall’assunzione di questi antidoti. Ma quando il mondo inizierà a inocularsi questi vaccini completamente nuovi e rivoluzionari, non saprà praticamente nulla dei loro effetti a lungo termine”.

https://www.globalist.it/ricerca/2020/11/30/moderna-e-pfizer-tutti-i-dubbi-e-i-misteri-sui-due-vaccini-americani-anti-covid-2069200.html

Coronavirus, il mistero sulle origini: le tre teorie

16/04/2020

L’origine del contagio resta un mistero. Nel mondo sono più di due milioni i casi di Covid-19, quasi la metà in Europa. La scienza si concentra sulla ricerca per porre fine alla pandemia. Sullo sfondo, ma non troppo, non si ferma il dibattito sulle origini del virus, che si è inizialmente manifestato in Cina. Il Washington Post dedica un articolo a tre teorie: “una chiaramente falsa, una possibile ma non supportata da prove note e una sostanzialmente vera”. Intanto la Cnn rivela che gli Stati Uniti indagano sulla possibilità che il coronavirus sia ‘nato’ in un laboratorio di Wuhan e che si sia diffuso per un incidente e la Cina torna a smentire.

Secondo la prima ipotesi l’epidemia è collegata alla ricerca sulle armi biologiche. A gennaio, quando iniziava il lockdown nella provincia cinese di Hubei, il Washington Times, espressione del mondo conservatore, rilanciava una ricerca dell’ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, Dany Shoham, per sostenere che il “coronavirus potrebbe essere nato in un laboratorio collegato al programma di armi biologiche della Cina” a Wuhan, suggerendo – scrive il Post – che “il Laboratorio nazionale per la biosicurezza e l’Istituto di virologia di Wuhan lavorassero al programma”. I laboratori esistono, ma non ci sono prove.

“In base al genoma e alle proprietà del virus non vi sono indicazioni che si tratti di un virus costruito” in laboratorio, ha detto al Post un professore di biochimica della Rutgers University, Richard Ebright. “Ha troppe caratteristiche distinte, alcune delle quali controintuitive”, ha commentato con Science News il virologo Robert Garry della Tulane University di New Orleans. Nonostante tutto, scrive il Post, un sondaggio del Pew Research Center diffuso la scorsa settimana rivela che quasi tre americani su dieci sono convinti che il virus possa essere nato in laboratorio.

Secondo la seconda teoria il coronavirus si è diffuso da un laboratorio a causa di un incidente. Alternativa “più plausibile” rispetto alla prima teoria, secondo le parole del Post. Un virus di origine naturale che potrebbe essersi diffuso per un incidente dai laboratori di Wuhan. Il professor Ebright ha detto al Post di ritenerlo “almeno altrettanto probabile” quanto un incidente fuori da un laboratorio. Altri scienziati non sono d’accordo. Ma “ci sono prove circostanziate”, scrive il Post che fa riferimento alle ricerche sui coronavirus dei pipistrelli di ricercatori della sede di Wuhan del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Due giorni fa il Washington Post scriveva di cablogrammi diplomatici che nel 2018 avevano già nero su bianco i timori per le misure di sicurezza e la gestione dell’Istituto di virologia di Wuhan. Ma, sottolinea il giornale, questo non dimostra che il nuovo coronavirus sia mai stato studiato a Wuhan. “Non ci sono prove si sia diffuso da un laboratorio”, ha rimarcato il microbiologo Andrew Rambaut dell’Università di Edimburgo.

Per la terza teoria “il governo cinese ha ingannato il mondo sul coronavirus”, scrive il Post, ricordando di aver scritto a inizio febbraio dell'”offuscamento delle informazioni” da parte della Cina. Pechino è stata lenta nella condivisione dei dati, anche con gli esperti dell’Oms, scrive il giornale citando l’inchiesta di ieri dell’Associated Press secondo cui il gigante asiatico non avrebbe dato l’allarme per sei giorni, cruciali per la diffusione del virus.

Il Post cita anche articoli di giornalisti cinesi con i dubbi sul tasso di letalità a Wuhan (i dati ufficiali confermati stamani da Pechino parlano di un totale di 3.342 morti con coronavirus in tutto il gigante asiatico) e scrive del ritiro di ricerche scientifiche che ipotizzavano nella Cina l’origine dell’epidemia. Il giornale ricorda poi le “teorie infondate” di un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, sulla possibile origine del virus negli Usa.

(https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2020/04/16/coronavirus-mistero-sulle-origini-tre-teorie_DzRHEKgFZyxxpKeiGLqBrK.html)

Le origini del Coronavirus: gli ultimi sviluppi della controversa indagine dell’OMS

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta affrontando le fasi finali della ricerca sulle origini del coronavirus.

Da larry Mullin – 16 novembre 2020

“Di conseguenza, non è ancora stato chiarito se il mercato sia stato una fonte di contaminazione, un amplificatore per la trasmissione da uomo a uomo oppure una combinazione di entrambi i fattori”, scrivono gli autori del rapporto che, tra l’altro, segnala una indagine condotta in primavera secondo cui il 14 percento dei gatti domestici e randagi di Wuhan sono risultati positivi al virus. Nei Paesi Bassi il coronavirus ha colpito gli allevamenti di visoni, e questi mammiferi da pelliccia vengono allevati ampiamente anche in Cina. 

Perché i campioni ambientali sono risultati positivi mentre gli animali sono risultati negativi? A gennaio, Lipkin della Columbia University si è recato in Cina per offrire la propria esperienza, compreso un incontro con George Gao, responsabile del CDC cinese. Gao all’epoca ha affermato che il mercato ittico di Huanan era stato pulito e gli animali rimossi prima della raccolta dei campioni, come ricorda Lipkin in una comunicazione via e-mail con il National Geographic.

“Ciò impedisce la raccolta di sangue che potrebbe essere usato per il test degli anticorpi, che permangono anche quando il virus non è più presente”, prosegue Lipkin. “Il vantaggio dei test sugli anticorpi è che sono in grado di rilevare le prove di esposizione indipendentemente dal fatto che il virus sia stato eliminato o meno”.

Lo scienziato aggiunge anche che sebbene Wuhan possa essere il punto di inizio della ricerca, è molto probabile che questa si estenderà a tutta la provincia di Hubei e che “non sarebbe sorpreso di scoprire che [il virus] era presente nell’uomo prima dell’epidemia individuata a Wuhan nel 2019”.

Wang si pone innanzitutto un altro obiettivo: a suo parere è essenziale che scienziati e funzionari cinesi dialoghino in modo aperto con il team dell’OMS. Inoltre, aggiunge che le indagini sulle origini del virus sono così politicizzate che, al momento, qualunque discussione relativa alle missioni “è simbolica fino a quando le questioni politiche non saranno risolte”.

La mossa ideale, conclude Wang, sarebbe “discutere delle origini in un ambiente assolutamente apolitico e tenendo la mente aperta, riconoscendo che i virus correlati al SARS-CoV-2 con ogni probabilità esistono nei pipistrelli al di fuori della Cina”.

(https://www.nationalgeographic.it/scienza/2020/11/le-origini-del-coronavirus-gli-ultimi-sviluppi-della-controversa-indagine-delloms).