Ecco chi rimane a casa fra i portuali di Gioia Tauro

I primi ad essere messi in cassa integrazione saranno quelli con “inabilità totale e parziale dai mezzi di piazzale e di banchina”, poi sarà la volta degli operai che hanno “una minor resa (performance) su gru e carrello” e non ultimi i lavoratori con “maggior numero di provvedimenti disciplinari”. Alla fine saranno 465 i dipendenti del porto di Gioia Tauro che per un anno andranno in riposo forzato. Il 45% della forza lavoro di uno degli approdi più importanti del Mediterraneo. Durante una riunione al Ministero delle Infrastrutture per discutere degli esuberi della Mct (la società che gestisce il Terminal) i sindacati e la Regione Calabria, con la casa integrazione, hanno strappato una boccata d’ossigeno. Non risolutiva, certo, ma sufficiente a congelare il rischio licenziamenti in attesa di una ripresa dei mercati e degli investimenti da più parti annunciati. Mct dopo la trattativa romana ha fatto girare una nota a firma dell’amministratore delegato Domenico Bagalà, nella quale stabilisce i criteri di selezione del personale da mandare in Cigs. E tra anzianità e figli a carico ha menzionato lo stato di salute e il rapporto tra ore lavoro e produzione. Condizioni definite dai sindacati “discriminanti” ed “inaccettabili”. La trattativa è ancora in corso su questo aspetto e le sigle sperano di ottenere ancora una cassa integrazione a rotazione tra tutto il personale del porto. Argomento sul quale il Sul (Sindacato Unitario Lavoratori), il più rappresentativo tra i dipendenti della Mct, è netto.  Antonio Pronestì, della segreteria nazionale afferma: “Non è discutibile un accordo avviato sul principio che i lavoratori non siano tutti uguali”. Aggiungendo: “Se è vero, come sostiene l’azienda, che ci sono dipendenti che hanno perso l’abilità a svolgere alcune mansioni, è altrettanto vero che ciò è avvenuto dopo anni di lavoro su gru a 50 metri d’altezza dal suolo e con turni estenuanti nel caldo asfissiante in estate e all’addiaccio in inverno”. Pronestì ricorda anche una vertenza storica del settore: “il lavoro portuale non è considerato tra quelli usuranti, ma paradossalmente si vuol fare leva su questo per decidere che mandare gli operatori in cassa integrazione, mi pare una contraddizione in termini, oltre che una discriminazione offensiva”. Sullo stesso fronte anche Nino Calogero della Cgil della Piana: “Quando si dice che sarà penalizzato chi è meno produttivo si vuole attaccare la dignità dei lavoratori. Gioia Tauro ha standard di produttività assolutamente al di sopra della media dei porti europei. Non si capisce dunque cosa si voglia chiedere di più a questa gente”. I sindacati non hanno difficoltà ad ammettere che “la crisi esiste ed è notevole, i volumi di traffico di container è notevolmente calato”, tuttavia va gestita “in maniera coerente”.