La lezione di Primo Levi ne “I sommersi e i salvati” da non dimenticare

la lezione di primo levi

Diverse le iniziative nelle scuole per la ricorrenza della Giornata della Memoria in attesa del Giorno del Ricordo del 10 febbraio. Anche gli studenti dell’Ipseoa “E. Gagliardi” sono stati protagonisti con diverse iniziative che si sono svolte il 26 gennaio. Ma con quale spirito viverle nell’attualità affinché queste ricorrenze non diventino retoriche celebrazioni e quindi svuotarle del loro autentico valore? Ne  I sommersi e i salvati di Primo Levi la risposta.

Il Giorno del ricordo (10 febbraio), possiamo definirlo il figlio minore della Giornata della memoria, ricorrenze istituite per non dimenticare le atrocità compiute. E’ fondamentale avere memoria storica, in una visione culturale ed etica, che possa illuminare i fatti che accadono nel presente e comprenderne gli effetti. Il ricordo, nel suo valore semantico, ha a che fare con una sfera più privata, in relazione all’esperienza personale (nel significato etimologico significa “richiamare il cuore”) che va a nutrire la memoria. Nella ricorrenza del 10 febbraio si ricorda il massacro avvenuto alla fine della seconda guerra mondiale. Si tratta di circa 20 mila italiani torturati, uccisi e gettati nelle foibe dalle milizie della Jugoslavia di Tito e molti italiani sono stati costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

L’obiettivo principale di queste celebrazioni è quello di rinnovare la memoria storica sui massacri e sulle sofferenze che hanno patito milioni di esseri umani per far maturare un sentimento di rifiuto verso ogni forma di violenza e di ricatto che tende a sopprimere la dignità degli altri sia fisicamente che psicologicamente, sia culturalmente che spiritualmente.

Con questa finalità il 26 gennaio, insieme ad altri studenti delle altre scuole, nel corso del convegno “Vibo forum della memoria” gli studenti dell’Ipseoa “E. Gagliardi” hanno presentato il cortometraggio “Io ti salverò” sulla Shoah nel quale hanno riscritto il finale di quattro film famosi (Il diario di Anna Frank, La chiave di Sara, Il bambino dal pigiama a righe e La vita è bella), modificando il finale e salvando i protagonisti. Tra gli ospiti Giada Pileio, regista e Domenico Stagno, uno degli interpreti.

Ma la “Giornata della Memoria” del Gagliardi è stata contrassegnata da un ricco programma che si è svolto all’interno dell’istituto che ha visto protagonisti gli studenti nel realizzare uno slogan sull’Olocausto e uno contro la violenza in tutte le sue forme. Quelli selezionati poi sono stati letti durante la conferenza sul tema “La memoria non serve solo per ricordare ma anche per cambiare”; poi la classe vincente con lo slogan “Meglio amare e non odiare, ricordando e non dimenticando”, ha partecipato al pranzo della tradizione ebraica. Altro momento significativo la visione del cortometraggio dal titolo “Un sogno per cambiare”. Infine è stata svolta la cerimonia di installazione della “pietra d’inciampo” all’ingresso dell’istituto. Sono stati presenti accanto alla DS Eleonora Rombolà, il presidente della Provincia Corrado L’Andolina, l’assessore Michele Falduto (Amministrazione comunale di Vibo) e Ivana Pezzoli (Comunità ebraica della Calabria). Ospiti gli alunni degli istituti comprensivi “Bruzzano”, “Garibaldi” e “Buccarelli”. Referente del progetto la docente Antonella Ireneo.

 

L’impegno per rinnovare la memoria deve impregnare l’esperienza interiore, non quella artificiale a cui sono continuamente esposti i giovani e i meno giovani, credendo che la tecnologia, il progresso, possa apportare soltanto benefici e non mettono sulla bilancia gli effetti che ogni nuovo strumento può generare, come ha spiegato oltre 2 millenni addietro Platone nel Fedro quando rievoca il mito dell’invenzione della nuova tecnica della scrittura. Oggi abbiamo oltrepassato ogni limite: basta un tasto per distruggere l’umanità. Questo è il dato inquietante e la mano di qualsiasi psicopatico (che adesso si può occultare, la tecnologia ha prodotto questa virtù) come i potenti alla Hitler. Qual è il risultato di tutto questo? Tanto lavoro per salvare una vita ma basta un ordigno costruito da super esperti, scienziati e ingegneri, per annientare l’umanità, senza che ci si possa più difendere. Ecco perché sarebbe importante leggere e analizzare un libro fondamentale, “Noi figli di Eichmann” di Gunther Anders, oltre alla “Banalità del male” di Hannah Arendt e a “I sommersi e i salvati” di Primo Levi, per comprendere i meccanismi perversi che sono in atto nell’attuale mondo occidentale: stiamo coltivando il mostro e siamo contenti di farlo.

Si comprende che si tratta di un esercizio non semplice, in cui si mette in gioco il significato delle parole, i comportamenti, le azioni, le relazioni, i sentimenti. Tutto questo si traduce fondamentalmente nel coraggio di smontare le sovrastrutture di un modello sociale basato sulla competizione, sull’egoismo, sul materialismo, sull’annientamento dell’altro come soddisfazione personale. È quello che ha cercato di spiegare Primo Levi, in particolare nel suo ultimo libro, I sommersi e i salvati (1986), prima che decidesse di uscire di scena nel 1987.

In un passaggio Levi riesce ad andare alla radice, a scavare nella profondità dei meccanismi psicologici e sociali che generano la devastazione umana, come la storia che racconta di un personaggio, un ebreo piccolo industriale fallito che diventa aguzzino al servizio del regime nazista nel momento in cui gli viene assegnato una carica. E ci interroga alla luce di quello che succede sotto i nostri indifferenti occhi, incapaci di scorgervi la mostruosità di un sistema che uccide la nostra identità e la nostra umanità, per il raggiungimento del cosiddetto “prestigio sociale” che ci viene conferito da una autorità, dal compiacere il potere dominante:

 

“… Ma tutto questo non basta a spiegare il senso di urgenza e di minaccia che emana da questa storia. Forse il suo significato è più vasto: in Runkowski ci rispecchiamo tutti, la sua ambiguità è la nostra, connaturata, di ibridi impastati di argilla e di spirito; la sua febbre è la nostra, quella della nostra civiltà occidentale che “scende all’inferno con trombe e tamburi” e i suoi orpelli miserabili sono l’immagine distorta dei nostri simboli di prestigio sociale. La sua follia è quella dell’Uomo presuntuoso e mortale quale lo descrive Isabella in Misura per misura, l’uomo che,

… ammantato d’autorità precaria,

di ciò ignaro di cui si crede certo,

  • Della sua essenza, ch’è di vetro -, quale

una scimmia arrabbiata, gioca tali

insulse buffonate sotto il cielo

da far piangere gli angeli. [1]

Come Runkowski, anche noi siamo così abbagliati dal potere e dal prestigio da dimenticare la nostra fragilità essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no, dimenticando che nel ghetto siamo tutti, che il ghetto è cintato, che fuori dal recinto stanno i signori della morte, e che poco lontano aspetto il treno”. (pp. 46-52).

Parole che scolpiscono la complicità nel creare altri orrori. Se non si comprendono i meccanismi psicologici, istituzionali, con il quale il potere genera la “zona grigia” con cui ognuno di noi viene a patti, tutte le ricorrenze che cercano di sensibilizzare i giovani sulle atrocità di cui è stato artefice il nazifascismo e tutti coloro che sono stati complici più o meno consapevoli, restano in superficie. Se non si carica di questi significati la ricorrenza della “Giornata della memoria” o quella del “ricordo”, le varie manifestazioni e tutto l’impegno che la Scuola mette in campo, restano solo una vuota ricorrenza. Fare memoria non significa rievocare fatti passati per non dimenticare l’orrore dei lager o i massacri delle foibe, ma è anche comprendere i meccanismi psicologici e tecno-giuridici che hanno permesso il male assoluto. È un lavoro molto impegnativo che comporta ricerca a largo raggio: sociale, culturale, politico.

 

[1] W. Shakespeare, Misura per misura,