La missione pastorale di don Peppino: sessant’anni di fedeltà a Cristo

Solenne celebrazione per mons. Giuseppe Fiorillo, al secolo don Peppino, per i 60 anni dall’ordinazione Presbiterale (29 giugno 1963 – 29 giugno 2023). Un impegno pastorale, umano e culturale contrassegnato da una intensa attività sociale e civile per dare risposte agli ultimi, ai bisognosi ma anche nella lotta contro le organizzazioni criminali con l’associazione “Libera” nel Vibonese, artefice della sua nascita e referente per 11 anni, dal 2006 al 2017. 

Riuscire ad immaginare e raccontare quello che ha rappresentato un uomo come mons. Giuseppe Fiorillo, per tutti don Peppino, nelle tante comunità dove ha svolto il suo ministero di parroco, dopo la consacrazione del 29 giugno 1963 nella Cattedrale di Mileto, è un’opera improba. Si può soltanto evocare, alla luce delle sue stesse parole pronunciate il pomeriggio del 29 giugno 60 anni dopo, nella “Chiesa Cuore immacolato di Maria Rifugio delle Anime” a Paravati con solenne celebrazione presieduta da mons. Attilio Nostro (vescovo Diocesi Mileto-Nicotera-Tropea) per celebrare non solo i sessant’anni di don Peppino ma quelli anche di don Pasquale Barone, compagni di studi e di sacerdozio.  Il giorno successivo (30 giugno) invece la messa è stata celebrata nella Chiesa di San Michele nella sua Piscopio, di fronte alla comunità, ai tanti familiari e amici.

 

Dalla nascita del sogno nei primi anni Sessanta, alla perdita dell’innocenza nell’era dei social 

Don Peppino ha risposto alla chiamata attraversando e compiendo un “pellegrinaggio” in un periodo storico epocale in cui si sono chiusi e aperti più mondi. E affiorano nella memoria carichi di un lontano passato con i segni profondi della millenaria tradizione del mondo contadino da cui proviene la sua famiglia. All’epoca erano ancora vivi quei segni, poi in un batter d’occhio la civiltà contadina è stata fatta sparire dalle potente scosse antropologiche e ideologiche prodotte dal consumismo, dal materialismo e dall’individualismo. E adesso, in un lasso di tempo brevissimo, la nuova era  della realtà virtuale con i social e le tante emergenze che raccontano la crisi profonda che vive la società dopo aver abbandonato quei valori che hanno costruito e costituito l’essenza dell’umanità e le tante comunità umane.

Dalla nascita del sogno nei primi anni Sessanta, alla perdita dell’innocenza: si può  sintetizzare con questa immagine il periodo che va dal 29 giugno del 1963 al 29 giugno del 2023. Adesso i sogni vengono bruciati non appena sbocciano. Non ci sono più attese. Le esperienze si consumano nella nuova mitologia della velocità e anche il tempo sembra impaziente e insofferente, vorace come una bestia feroce che sbrana senza pietà se stesso. Si ha la sensazione che anche il mondo interiore non viva più quella fanciullezza scandita dal ritmo delle stagioni. E le nuove generazioni sono trascinate nel vortice tecnologico la cui spirale risucchia anima, spirito, sentimenti, come una furia. L’umanità è stata catapultata in un ritmo disumano, che non sa più fermare lo sguardo per contemplare la bellezza del creato e camminare lentamente per cogliere i tagli, i ritagli e i dettagli della vita. Gli individui sembrano presi nel delirante desiderio di essere sempre in scena a tal punto che la rete irretisce come la tela del ragno che avvolge le preda. Non a caso è stata chiamata “world wide web” (www): “ragnatela intorno al mondo”.  Si vive talmente in superficie, sempre più veloci –  per rincorrere cosa, non si capisce – che sfuggono le orbite dei pensieri dal centro magnetico della terra: e si perdono di vista l’origine e il principio che soggiacciono come verità nascoste da scoprire, da scavare, da dissotterrare. Non si coglie più il disegno nelle tante tessere del mosaico.

E’ in questo contesto storico e sociale fragile che è andato in frantumi che la missione pastorale, umana, morale e spirituale del sacerdote matura, restando  “fedele a Cristo”: “Il nostro compito di sacerdoti è dire eccomi e mantenere fede alla chiamata e alla promessa”.

Sono parole scolpite con la propria vita sulla dura pietra della storia e sul fragile specchio del tempo. La verità si misura con l’esempio e la testimonianza: con l’andare incontro agli ultimi, con l’abbracciare il destino dei più poveri, di coloro che vivono un disagio materiale e spirituale a causa delle ingiustizie ma anche delle fragilità esistenziali. E non voltarsi dall’altra parte ma guardare in faccia chi ha bisogno, dare risposte di umanità, di compassione.  E ci sono tanti modi per testimoniare la fede alla propria promessa. Sono gli occhi e lo sguardo che lo rivelano: quando il volto non tradisce ma risponde nell’urlo tacito della luce. La verità si mostra con le sembianze di un velo che lascia trasparire il tempo e diventa coscienza del proprio destino: aver vissuto compiutamente un viaggio con un altro cammino da compiere nel tempo e fuori dal tempo.

In questa parabola ha vissuto la propria missione sacerdotale don Peppino: incontrando la profezia della semplicità rimanendo spoglio di fronte ai passaggi che attendono ogni creatura umana. Ed è nella semplicità che pone la residenza la verità, come la spontanea grazia di una zolla di terra da cui fiorisce la vita nel dialogo con il cielo. “La verità vi farà liberi” si legge nel vangelo di Giovanni (8,32), che si approfondisce in “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6).

Dieci anni fa la “Messa sul Monte” nel suo giubileo sacerdotale

Certamente vivere nella semplice umiltà e umanità è il dono più grande che un uomo può sperimentare sulla terra, da cui scaturisce, come una sorgente pura, il coraggio, la passione, l’amore incondizionato, il sacrificio, l’impegno, l’altruismo. È la luce dell’anima che illumina l’incerto passo e rende meno grave il peso con il quale si trascina l’esistere nei momenti di travaglio che mettono a dura prova se stessi. Ma quando si ha fede, le incertezze vengono dissolte e la vita ritorna a scorrere come il soffio del vento, con la spontaneità con cui nasce il giorno. Non a caso lo stesso don Peppino nei due momenti che hanno contrassegnato la l’anniversario dei sessant’anni del suo sacerdozio, ha sottolineato la fedeltà alla chiamata e alla promessa, consustanziati dalla fermezza con cui ha affrontato questa missione di fronte alle difficili prove del mondo.

E’ stato lo stesso sacerdote ad evocare l’itinerario sacerdotale, a 50anni dalla sua ordinazione, con una simbolica “Messa sul Monte”. Come ispirazione l’intenzione fiorita il 28 giugno del 2013 “di celebrare  una veglia, quale preparazione al 29 giugno, giorno del mio giubileo sacerdotale, e voglio una veglia quale lode a Dio, attraverso un lungo esercizio della memoria, fatto di persone, cose, avvenimenti che hanno dato senso ai cinquant’anni di vita sacerdotale.”

La sua è una storia che attraversa il Novecento a partire dall’anno della nascita, 1937 e poi la sua infanzia a Piscopio con l’immagine idilliaca dei “tanti ragazzi a vivere felici di giochi e di affetti familiari” e poi la tragica guerra con le bombe che cadevano su Vibo Valentia. Così allora, i genitori, Michele e Maria Grazia, insieme alle due sorelle gemelle, Anna e Caterina, si trasferiscono nella casa di campagna, nella “Valle del Patamò”, finché una sera il padre Michele e altri papà partono richiamati alla guerra: “Quanti pianti, e quante lacrime sul viso di mia madre e delle altre madri della vallata, quella notte tutti uniti, perché oggi, lo capisco di più, il dolore unisce. La vita pur senza i papà è continuata felice per noi ragazzi, scorrazzando per le campagne a raccogliere frutti sugli alberi, lucertole e nidi di uccelli per i campi e ranocchi ed anguille nel fiume (cosa orribile oggi alla luce della mia presa di coscienza per l’amore di ogni forma di vita!). Le mamme invece erano assai tristi (quante volte, nell’angolo della casa, ho visto mia madre piangere); tuttavia riuscivano a mitigare la mancanza dei papà nel realizzare una vita comunitaria nel cucinare assieme, mangiare assieme e lavorare assieme e, a sera, tutti per la recita del santo Rosario con la richiesta alla Madonna di far ritornare i papà e far finire la guerra (…) I papà non tutti sono tornati, il mio invece fortunatamente è ritornato: mentre stava per partire da Trieste per la Russia su una tradotta, un generale dell’esercito grida nel vagone con una carta in mano: – Fiorillo, ti è nato il quarto figlio, puoi ritornare a casa – A casa mio padre è arrivato con mezzi di fortuna circa tre mesi dopo, ma è arrivato! Altri purtroppo sono stati ingoiati dalla steppa russa.” E così la nascita di Rosario è stata provvidenziale, una benedizione per la famiglia, e il “nido” familiare poi si allarga, con la nascita della sorella Maria, poi dell’altro fratello Nazareno ed infine Immacolata.  Oltre agli studi teologici don Peppino si è laureato anche in Pedagogia e Lettere Moderne all’Università di Messina ed è stato docente di Religione per tante generazioni, in particolare al Liceo scientifico “Giuseppe Berto” di Vibo Valentia.

Nell’omelia don Pietro Carnovale (parroco della comunità di Piscopio) nella chiesa di San Michele Arcangelo, ha messo in relazione le letture bibliche con il percorso pastorale del sacerdote con cui si è consustanziata la sua fede: rispondendo alla chiamata con la consacrazione a Dio ma anche con coraggio. Ed è stato luce nelle tante comunità dove ha svolto il suo apostolato, come l’immagine della parabola evangelica della lampada: “Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c’è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla cdi segreto che non debba essere messo in luce” (Marco, 4,21-22). Ma a questa sorta di “santificazione”, con il suo umile stile e il suo illuminante sorriso, ha risposto ricordando la condanna in Cassazione che ha avuto già all’età di 30 anni quando era parroco a Sant’Angelo, insieme ad altri fedeli di quella comunità, ma con una motivazione che lo inorgoglisce: “Hanno trasgredito la legge ma lo hanno fatto per motivi sociali, per il bene della comunità”.  L’episodio era stato ricordato ne “La Messa sul Monte” nel 2013: “A Sant’Angelo l’Esodo è stata coscienza critica, sia nel campo religioso come in quello civile. Nel campo religioso, col proclamare il primato di Dio sulle realtà mondane, la comunità lascia alle spalle tutte le forme di devozionismo, con l’aiuto anche dei documenti conciliari, iscritti in quegli anni di grazia abbandonati. Nel campo sociale, la meditazione dell’Esodo con l’integrazione della lettura della Costituzione italiana, spinge le persone a chiedere alle istituzioni, con mezzi pacifici e attraverso la forza morale di assemblee, interventi sui giornali, incontro con le autorità, il diritto di avere rete fognaria, rete idrica, strade nelle campagne, scuole medie, ufficio postale, ufficio anagrafe, guardia civica ecc. Questa presa di coscienza (miracolo per quei formidabili anni ’70) ci porta a subire un processo civile durato 5 anni dalla Pretura di Soriano alla Cassazione di Roma. Il processo era denominato “processo dei trenta più uno”. Quell’uno ero io quale presidente del comitato di animazione cristiano-sociale”.

Questa sua esperienza, in quei primi anni di sacerdozio, richiama l’esemplare figura di un altro prete “trasgressore” che ha subito una condanna post-mortem, don Lorenzo Milani, Nel suo magistrale testo, scritto come memoria difensiva contro l’accusa di “apologia di reato e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile”, per aver preso le difese di 31 ragazzi che avevano fatto obiezione di coscienza alla leva nella “Lettera ai cappellani militari”. Fa parte ormai della storia la citazione “L’obbedienza non è più una virtù” per invocare l’obiezione di coscienza di fronte alle ingiustizie delle leggi e l’impegno per cambiarle. Don Peppino aveva incontrato il priore di Barbiana prima che della sua morte (26 giugno 1967) e certamente le sue battaglie e il suo esempio avevano trovato terreno fertile nel suo cuore di giovane sacerdote che unisce il messaggio cristiano con quello della Costituzione, come aveva fatto don Lorenzo a Barbiana nella sua scuola.

Le diverse anime della sua missione: umana, spirituale, sociale   

Voleva fare il missionario in Africa appena ordinato sacerdote e il vescovo, mons. Vincenzo De Chiara, appena dieci giorni dalla sua richiesta, lo ha accontentato inviandolo “in missione” ad Arena per sostituire don Francesco Fusca, e poi, dopo qualche mese,  gli viene assegnata la parrocchia di Sant’Angelo che comprendeva anche le altre frazioni di Ciano e Ariola nel comune di Gerocarne (don Pietro Carnovale, originario di Ciano, ha ricevuto il battesimo da don Peppino). Nonostante le tante difficoltà logistiche, per mancanza di strade, lui non era mai solo, accompagnato da uno stuolo di bambini in questo suo viaggio pastorale tra i pastori e i contadini di quelle località fuori dal mondo, e quando entravano nelle case i ragazzi guardavano i salumi che pendevano dal soffitto e puntualmente venivano offerti agli ospiti. A quel periodo inoltre risale l’incontro (marzo 1964) con lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini ad Ariola. Stava girando il film “Il vangelo secondo Matteo” e aveva saputo di questa comunità isolata con l’intenzione di girare la scena della Natività in quelle località sperduta. Rimane tre giorni ospite. E don Peppino con i suoi ragazzi vanno ad incontrare Pasolini, attratto dal mondo contadino e da una comunità erede di una civiltà millenaria ancora non contaminata dall’ideologia del consumismo, contro cui si scaglia a partire dai primi anni ‘70 ne “Gli scritti corsari” e in “Lettere luterane” fino alla tragica scomparsa (2 novembre 1973). Ma le difficoltà logistiche (senza strade e senza elettricità) non consentono di poter portare sul posto le macchine e gli strumenti necessari per le riprese. Ma Pasolini non si dimentica di questa comunità donando una somma di denaro che verrà utilizzato per la costruzione di un ponte.

Storie di vita di un altro tempo e di un altro mondo in cui la povertà rima con carità, con solidarietà. Alla fine del suo breve intervento, dentro la chiesa dove è maturata la sua vocazione, nel ringraziare tutti i presenti, in particolare i suoi familiari, che gli sono stati sempre accanto e lo hanno sostenuto nel suo itinerario, si congeda con una confessione:  “Le promesse che ho fatto al Signore sessant’anni fa, penso di averle mantenute ed onorate, sempre al servizio della comunità”. E ha concluso ricordando le parole di un vescovo degli Stati Uniti, Fulton Sheen, primo ad apparire in televisione agli esordi del nuovo mezzo di comunicazione, affermando che “il sacerdote non s’appartiene, ma appartiene a Dio e anche alla comunità”.

A seguire la messa anche il gruppo Scout di Vibo che quest’anno compie il sessantesimo anniversario dalla sua fondazione. È intervento Umberto Falcomatà (capo Scouts), il quale ha fatto sapere che anche don Peppino, dal 1970, ha compiuto un significativo cammino insieme a loro, non soltanto come sacerdote ma anche come testimone di scautismo.

L’impegno inseime a don Luigi Ciotti in Libera dal 2006 al 2017

Ma il suo impegno sociale e civile è contrassegnato dall’altro importante capitolo della sua storia, il ruolo nell’associazione “Libera” fondata da don Luigi Ciotti, per stare accanto alle vittime di mafia. Dal 2006 grazie all’impegno di don Peppino, anche nella provincia di Vibo viene costituita “Libera” e il sacerdote rimane punto di riferimento come referente fino al 2017. Undici anni di intenso impegno per essere sostenere, con coraggio e dedizione, tutte le famiglie che hanno vissuto il dramma di essere vittime delle cosche locali, in un periodo in cui l’oppressione della ndrangheta e l’omertà sul fenomeno della criminalità organizzata, erano sovrane. A testimonianza un messaggio da parte dell’associazione  “Libera” per i 60 anni di sacerdozio.

“Con tanto affetto e gratitudine esprimiamo i nostri auguri a don Giuseppe Fiorillo per il 60esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale.
Al suo impegno, determinazione e tenacia si deve, nel 2006, la nascita dell’associazione Libera a Vibo Valentia, della quale è stato referente provinciale fino al 2017. Una grande attitudine, la sua, di “saldare la Terra col Cielo. Infatti, Don Fiorillo appartiene a quella categoria di preti che, quotidianamente, si sporcano le mani cercando di dare voce a quella parte di umanità invisibile agli occhi delle persone indaffarate ed impegnati alla promozione della legalità e della giustizia sociale in un territorio difficile come quello vibonese, caratterizzato dalla forte presenza della criminalità organizzata.
Una personalità costruita essenzialmente sulla semplicità ed umiltà ma contestualmente ricca di cultura, di idee ed esperienze che lascia un segno profondo in tutti coloro che ne vengono a contatto. Quanti hanno bussato alla sua porta per una richiesta di aiuto sono sempre stati accolti con un abbraccio e con il sorriso ed hanno ricevuto una parola di conforto e di sostegno, mai nessuno che se ne sia andato a mani vuote.
Tanti auguri don Peppino e buon cammino nella speranza di essere dei buoni compagni di strada. “Basta poco per sentirsi fratelli e sorelle: un pezzo di pane da condividere, un affetto da partecipare, un luogo dove sentirsi a casa”.

Il messaggio della Comunità parrocchiale San Michele Arcangelo di Piscopio

Dopo la consegna da parte di don Pietro di una icona a nome della Comunità parrocchiale San Michele Arcangelo di Piscopio, a sigillare i sessant’anni di sacerdozio, di particolare valore umano e spirituale, il contenuto di un “denso” messaggio che la stessa Comunità parrocchiale ha voluto esprimere per l’occasione della celebrazione, letto da Pasqualina Servelli (ex dirigente scolastica). Un excursus che testimonia e disegna la storia autobiografica, pastorale, sociale, culturale e civile di don Peppino, nello spazio temporale dei sessant’anni, dal 29 giugno 1963 al 29 giugno del 2023. Da questa ricostruzione emerge la grande energia dell’uomo e del sacerdote, associata alla sua vocazione religiosa e alla visione culturale, coniugando il messaggio cristiano alla rivoluzione che ha compiuto nei cinque anni di pontificato papa Giovanni XXIII, dal 28 ottobre 1958 al 3 giugno 1963.

“Da 60 anni don Giuseppe Fiorillo è, per tutti, semplicemente don Peppino. Egli non ha mai cercato  “pompe ed onori”  della Chiesa-istituzione, ha avuto ed ha affetto, amore e stima dalla Chiesa “popolo di Dio”, la Chiesa che lui ha sempre amato e servito. Don Peppino, come tanti sacerdoti, ha vissuto l’inizio della sua pluridecennale esperienza sacerdotale in un’era di profondi cambiamenti. Poco prima che venisse ordinato Sacerdote, Giovanni XXIII, con “un’intuizione profetica”, volle il Concilio Vaticano II. Un Concilio che, parole di Giovanni Paolo II, “inaugurò una stagione di speranza per i cristiani e per l’umanità” e indicò, come disse Paolo VI “una vocazione all’autenticità cristiana, alla coerenza tra la fede e la vita, alla professione reale, nel cuore e nelle opere, della carità”. Un Concilio che doveva anche aprire una fase di dialogo con il mondo moderno, cercando, come disse Papa Roncalli, soprattutto “ciò che unisce”.

Don Peppino, ha attraversato questi anni ed ha vissuto il passaggio dalla Chiesa preconciliare, in cui è avvenuta la sua formazione, a quella conciliare, che lo ha visto protagonista e pastore convinto. Egli è stato ed è, nell’esercizio del suo ministero sacerdotale, “ponte” trascendente che “mette in relazione Dio con gli uomini e gli uomini con Dio”. Al contempo, però, ha saputo essere, per le comunità parrocchiali, “ponte” immanente e sapiente dalla tradizione alla modernità. Guidato da una profonda fede e da una robusta cultura, è stato capace di leggere i “segni dei tempi” e di dialogare con tutti, cercando “ciò che unisce”. Egli è “il sacerdote” , “l’uomo di Dio” presente nel mondo per trasmettere la salvezza mediante la luce della fede, la grazia dei sacramenti, la testimonianza della carità e la ricerca della verità. Non sappiamo se don Peppino, il 29 giugno 1963, rispondendo alla chiamata con il suo “Eccomi” e consacrando la sua vita al Signore, nell’entusiasmo giovanile, si rendeva conto totalmente della grandezza e della complessità della sua scelta, dando inizio alla sua vita consacrata, Vita che richiedeva anzi esigeva fedeltà totale e per sempre a Cristo, ma siamo certi che in questi 60 anni ha mantenuto fede al suo impegno, riconfermando il suo “ECCOMI” giorno dopo giorno, in anni difficili e di cambiamenti radicali nella vita della chiesa che hanno aperto ad importanti innovazioni, tra fughe in avanti e forti frenate. La sua ricerca della Verità per meglio servirla, la sua ansia e zelo giovanili, le attese e le speranze del Concilio Vaticano II, l’aver cavalcato da subito le novità del Concilio, l’essersi posto dalla parte degli ultimi e l’aver rivendicato il diritto alla dignità da parte di ogni uomo lo hanno reso caro alla Chiesa “popolo di Dio”, mentre la “Chiesa–istituzione” lo “relegava” nella parrocchia di Sant’Angelo di Gerocarne. Lui da uomo di fede è rimasto saldo e coerente nella promessa fatta, impegnandosi totalmente nella sua missione sacerdotale all’interno del “piccolo mondo assegnatogli” e vivendo la fantastica avventura con il gruppo Scouts di Vibo Valentia.

Nel 1980 la Provvidenza lo porta ad essere parroco di Francica, oltre 25 anni di intenso impegno ecclesiale e civile, dove si guadagna la stima della gente e dove gli viene concessa la Cittadinanza Onoraria. Negli anni 90 l’incontro con una realtà, la nuova parrocchia di “Gesù Salvatore”, che stava nascendo e dove era tutto da costruire, un nuovo mondo al quale bisognava dare l’anima. Grande impegno, passione, sogni, fiducia e speranza, il tutto sorretto dalla fede, nel tracciare la via che doveva portare alla vita la comunità di Vena di Jonadi, facendole acquisire ed interiorizzare valori assoluti come: la solidarietà, la fratellanza, l’amore e la carità, nonché alla costruzione di quella “Casa” dove ci si ritrova e si ritrova tutto il bello che ognuno porta nella propria anima: la Chiesa. Anni esaltanti, ricchi di impegno, sacrifici, lavoro e tante soddisfazioni. Quanti anni erano passati e quanto cammino era stato fatto da quel 29 giugno 1963.

Forse, don Peppino si era già predisposto per un onorato riposo, circondato dalla stima, dall’affetto e dall’amore dei suoi parrocchiani, quando la Chiesa, tramite il vescovo del tempo, l’amatissimo Mons. Cortese, gli chiese di lasciare tutto quanto costruito per ripartire con una nuova missione pastorale presso la parrocchia di Santa Maria Maggiore e San Leoluca di Vibo Valentia. Si, ancora una volta, nel 2004, in modo ammirevole ha risposto generosamente con il suo “Eccomi”, rimettendo tutto in gioco, fiducioso che era Dio a volerlo. Nasce così l’incontro tra la sua vita consacrata e la vita della comunità di San Leoluca, quella comunità che aveva lasciato nel 1980, un incontro che si sviluppa tra molti problemi, bisogni, attese, speranze, debiti da pagare. Ma il suo grande cuore di padre, anche in questa circostanza, ha saputo caricare su di se e con sapiente realismo tutti i problemi, salvaguardando l’unità della comunità e dando forza e coraggio nei momenti difficili. Anni di grande lavoro, in tutte le direzioni, che portano Don Peppino a vivere, sempre nello spirito del Vangelo e sempre coerentemente con il suo essere Sacerdote al “servizio” della Verità, della Giustizia, della Solidarietà e della Carità, l’entusiasmante ed esaltante stagione che lo ha visto ricoprire il ruolo di responsabile provinciale dell’Associazione LIBERA.

In questi 60 anni di sacerdozio le difficoltà non sono mancate, anzi sono state profuse a piene mani, a partire dai fatti di Sant’Angelo all’inizio degli anni 70, continuando a Vibo con i problemi delle case di accoglienza al sevizio di quanti vivono nelle difficoltà e nel bisogno degli anni 2000 e non ultimo con il periodo di “esilio forzato” impostogli dalla miopia e dalla mancanza di “Luce” della “chiesa istituzione” nell’anno 2013. Ma anche quest’ultima prova, questo “esilio”, non ha distratto don Peppino dalla sua “Missione”, dalla sua “Opera” al servizio degli “ultimi”, dei “bisognosi” e degli “oppressi”.

Ed ecco che, ancora una volta il Signore lo “Chiama” ad un nuovo impegno, a una nuova testimonianza, nei confronti di chi quotidianamente lotta e soffre a causa delle malattie e viene nominato Cappellano presso la Casa di Cura “Villa Dei Gerani” di Vibo Valentia.

Quanto tempo da quel 29/06/1963 e, sicuramente, quanti ricordi gonfiano il cuore e scaldano l’anima di don Peppino che, nonostante gli anni e nonostante il lungo Cammino fatto, ha avuto la forza, che gli viene dal suo essere Sacerdote, quindi uomo di Dio, di dire ancora una volta al Vescovo della nostra Diocesi, quando questi gli affidato la Nuova Parrocchia di Pizzo, con il compito di traghettarla dal mare aperto verso il porto sicuro, sempre fiducioso e certo che era Dio a volerlo: “ECCOMI”.

Il suo essere Sacerdote che pratica la carità e ricerca la verità, hanno reso don Peppino prezioso agli occhi del Cielo, lo hanno reso caro a quanti hanno avuto il privilegio di condividere con lui tratti del cammino della Vita, lo hanno portato ad essere gratificato da Sua Santità Benedetto XVI, che gli ha conferito il titolo di Monsignore, e lo fanno vivere nell’anima e nel cuore del “popolo di Dio”. Egli con pudore, passione e umiltà, ha servito e continua a servire il popolo di Dio “con il grembiule”, secondo l’immagine di don Tonino Bello. Questi scriveva: “… la stola ed il grembiule sono quasi il dritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo”.

Il “grembiule” è paradigma ed esercizio coerente della virtù cristiana per antonomasia: la carità. In tempi diversi, era quanto sosteneva il Santo Curato d’Ars, Protettore dei parroci: “Tutta la nostra religione, diceva Giovanni Maria Vianney, non è che religione falsa e tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi; e siamo soltanto degli ipocriti agli occhi di Dio, se non abbiamo quella carità universale per tutti … non c’è virtù che meglio ci faccia conoscere se siamo i figli del buon Dio, come la carità”. Don Peppino, senza alcun dubbio, ha esercitato ed esercita la virtù della carità, nella fedeltà assoluta del Vangelo e tante sono ancora le  cose da fare per “il popolo di Dio”, perchè la missione di Don Peppino non è ancora conclusa.

Il suo sacerdozio in mezzo alla gente è stato accompagnato, soprattutto, da gesti molto significativi; azioni semplici e immediate che hanno fatto percepire chiaramente la sua voglia di rendere presente Cristo, che sa stare accanto all’uomo ferito, che accoglie tutti e che cammina in mezzo alla gente; un uomo, prima ancora che un Sacerdote, un uomo autentico, afferrato da Dio e disposto a farsi “pane” per l’uomo.

Per concludere, l’anniversario importante del 60° di ordinazione sacerdotale non è l’occasione di un bilancio, nessuno può abbozzarlo e noi speriamo di non essere caduti in questa trappola, è semmai, l’occasione per dire “grazie”. Un “grazie” che si fa preghiera a Dio che ha chiamato alla vita sacerdotale don Peppino, gli ha messo nel cuore questo germe misterioso e lo ha guidato in questo viaggio fra la gente, fino ai nostri giorni; ma è anche l’occasione per dire “grazie” a don Peppino.

Per il sacerdote che è stato e che è; perché ha risposto a Dio e ogni giorno gli rinnova la sua disponibilità per compiere la Sua volontà; per l’impegno che mette in quello che fa a servizio della Chiesa Universale; per la testimonianza che dà ogni giorno di sacerdote umile che sa ascoltare e sa tendere la mano; per il coraggio nell’aprire nuove strade e indicarle a tutti; per la forza nel portare avanti le tante sfide in un mondo in continua evoluzione; per l’insistenza su una visione di Chiesa in cui a splendere sia sempre di più il Vangelo di Gesù e sempre meno gli interessi di parte; per il suo mettersi in ascolto mostrando che il sacerdote non è uno che ha la risposta pronta, ma si fa pronto ad accompagnare i passi incerti dell’uomo perché anch’egli sperimenta mille dubbi e altrettante paure … insomma un grande “grazie” perché c’è e perché sappiamo che il suo cuore sacerdotale sa andare oltre ogni ostacolo e non si stanca di raccontare che Dio è “amore senza misura”.

Oggi, noi siamo qui per testimoniare a don Peppino il nostro affetto e la nostra stima, augurandogli di continuare a mettere il cuore in tutto quello che fa; di continuare a far crescere il popolo di Dio; di continuare a lottare per gli ultimi; di continuare a raccontare e a testimoniare, con la sua vita, che essere sacerdote è una bellissima avventura.

Siamo qui e ci piace rivolgergli gli auguri prendendo in prestito le parole di Papa Francesco: “La Chiesa ha bisogno di Pastori, cioè servitori, di Sacerdoti che sappiano mettersi in ginocchio davanti agli altri per lavare loro i piedi. Pastori vicini alla gente, padri e fratelli miti, pazienti e misericordiosi; che amano la povertà, sia come libertà per il Signore sia come semplicità ed austerità di vita”. In don Peppino tutto ciò è stato incontrato e viene continuamente sperimentato da quanti hanno condiviso con Lui un tratto di cammino lungo il “sentiero” della Vita.

Carissimo don Peppino, queste poche parole per esprimerle l’affetto riconoscente, per quanto fatto e per quanto continuerà a fare, vista la totale disponibilità del suo grande cuore di padre, fratello e amico. Tanto ci sarebbe ancora da dire e tanto vorremmo ancora dire, ma ci piace concludere questo nostro messaggio di auguri, citando un passaggio del Vangelo di Matteo: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).

Don Peppino, che il Signore e la bontà della nostra Madre Celeste, l’aiutino a camminare ancora a lungo nella grande avventura della Vita; Le diano ancora energia, voglia e gioia per continuare a rendere testimonianza all’Amore di Dio, quindi per continuare a “illuminare” un po’ questo mondo e a mettere dentro la vita del mondo un po’ di sapore, un po’ di luce. Grazie don Peppino, uomo di carità e di dialogo, per i tuoi esempi, per i tuoi insegnamenti, perché il tuo sacerdozio è anche mostro: della nostra fede, del nostro cammino di santità, del nostro amore al Vangelo e … così sia.

(La Comunità parrocchiale San Michele Arcangelo di Piscopio  30 Giugno 2023)