Il ponte che collega la Calabria alla storia di Pier Paolo Pasolini

Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini un’importante mostra itinerante racconta il forte legame che lo scrittore e regista ha costruito con la Calabria e i calabresi nel corso della sua vita. L’iniziativa è stata promossa dalla Cineteca della Calabria in collaborazione con l’associazione culturale Nish e il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo e del Comune di Gerocarne. Inaugurata il 20 ottobre adesso si trova esposta al Liceo Classico Morelli. 

Tra i libri di autori del Vibonese che rievocano l’analisi radicale sulla società dei consumi compiuta negli Scritti corsari e in Lettere luterane, un testo scritto a quattro mani, che mette insieme scienza e letteratura, dal titolo evocativo, “C’erano una volta le lucciole. La profezia di Pasolini” (pubblicato nel 2016) la cui recensione si trova nell’archivio del Centro di Studi Pier Paolo Pasolini.  

Anche la Calabria rende omaggio a Pier Paolo Pasolini, nel centenario della sua nascita (5 marzo 1922). Sono diverse le iniziative organizzate per riportare alla memoria l’uomo, la personalità, la produzione letteraria e artistica, le sue opere cinematografiche e le sue illuminanti analisi sulla società attraversata dalla mutazione antropologica e dall’omologazione culturale. Una importante iniziativa è quella promossa dalla Cineteca della Calabria con il patrocinio del Comune di Gerocarne, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo  e l’associazione culturale Nish, con una mostra itinerante  intitolata “Pasolini, la Calabria e il cinema. Itinerari emotivi”. A realizzarla e allestirla il presidente della Cineteca della Calabria, Eugenio Attanasio e il fotografo Antonio Renda.

La mostra è stata inaugurata il 20 0ttobre nella sede del Palazzo municipale di Gerocarne. Diversi gli  esponenti di associazioni che si sono assunti il compito di rendere viva la memoria dell’opera di Pasolini, provenienti da tutta la Calabria. Importante anche la partecipazione di tanti studenti (del Liceo scientifico di Soriano e dell’istituto comprensivo di Gerocarne) accolti dal sindaco Vitaliano Papillo. Nell’occasione è stato intitolato a Pasolini il ponte che si trova nella frazione di Ariola. La sua storia risale al 1964. Mentre stava girando il film Il vangelo secondo Matteo, dopo aver letto un articolo dello scrittore serrese Sharo Gambino, Pasolini viene a conoscenza di questa piccola comunità isolata e vorrebbe girare la scena della Natività. Ma quando si reca sul posto scopre che non c’era né la corrente elettrica, né un collegamento stradale per poter trasportare i mezzi e le attrezzature per le riprese. Avendo visto le condizioni in cui viveva la comunità con gli abitanti costretti a portare i propri defunti a spalla al cimitero più vicino, che si trovava nel comune di Arena, affrontando un percorso impervio, ha deciso di donare cinquantamila lire per la realizzazione del ponte che collega Ariola ad Arena. A testimoniarlo mons. Giuseppe Fiorillo, all’epoca alla sua prima ordinazione come sacerdote nella parrocchia di Sant’Angelo, Ciano e Ariola, che insieme ad un gruppo di ragazzi, raggiunse a piedi Ariola e incontra Pasolini.

Nel frattempo la mostra, dopo l’installazione nella Sala consiliare di Gerocarne, è stata spostata nei locali del Liceo Classico “Morelli”.

I rapporti di Pier Paolo Pasolini con la Calabria nel tempo si sono intensificati. Ma il primo incontro con le realtà calabresi risale al 1959, quando per la rivista “Successo” ha compiuto una serie di reportage sull’Italia. Quando arriva a Cutro e definisce gli abitanti “banditi”, scatena una polemica e viene querelato dal sindaco di Cutro, mentre il suo romanzo “Una vita violenta” riceveva il Premio Crotone per la narrativa. Lo scrittore spiega il significato di quel termine in una serie di lettere, e da allora stringe un rapporto sempre più intenso verso  la Calabria con diversi personaggi, artisti, scrittori, attori, che avevano origini calabresi. Si ricordano l’attore Ninetto Davoli (San Pietro a Maida), il poeta Francesco Leonetti ( Cosenza), lo scrittore Leonida Repaci (Palmi), il regista Andrea Frezza (Laureana di Borrello) e tanti altri, come la scrittrice e giornalista Adele Cambria (attivista del femminismo nata a Reggio Calabria) e lo stesso suo primo biografo, Enzo Siciliano (scrittore e presidente della Rai nel 1996 i cui genitori erano originari di Bisignano). Emblematica l’epica poesia “Profezia”, scritta nel 1962, ispirata da Jean Paul Satre a cui la dedica (“A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri”). Ha come protagonista la Calabria, il testo è considerato uno dei componimenti poetici e profetici tra i più importanti del nostro tempo. Scritta, probabilmente, nel 1962 e pubblicata nel volume “Poesia in forma di rosa” nel 1964, l’opera è stata, per stessa ammissione del poeta, il frutto di una conversazione tra Pasolini e il suo amico Sartre. Pasolini si trova a Parigi per far vedere il Vangelo, resta fortemente deluso, per non dire offeso, dalla reazione degli intellettuali francesi marxisti. Sartre lo consola e Pasolini gli confessa che gli ha dedicato  una poesia, Alì dagli Occhi Azzurri, dopo aver ascoltato un racconto in un precedente incontro a Roma con lo stesso filosofo francese. E Sartre gli risponde: “Sono del suo avviso che l’atteggiamento (della sinistra) francese di fronte al Vangelo… è un atteggiamento ambiguo. Essa non ha integrato Cristo culturale. La sinistra lo ha messo da parte. Né si sa che fare dei fatti che concernono la cristologia. Hanno paura che il martirio del sottoproletariato possa essere interpretato in un modo o nell’altro nel martirio di Cristo.

Tra i libri dedicati in questi anni in particolare alla sua attività di giornalista con una collaborazione al “Corriere della Sera” nei primi anni Settanta fino alla sua tragica morte (2 novembre 1975), si segnala il saggio-racconto “C’erano una volta le lucciole. La profezia di Pasolini”. Il libro è stato scritto a quattro mani da due autori del Vibonese, dal prof. Antonio Pugliese (ordinario di Clinica Medica Veterinaria dell’Università degli studi di Messina), il quale ha curato la parte scientifica, e da Nicola Rombolà (docente e giornalista), che si è dedicato invece all’esegesi storico-letteraria. Il testo è arricchito dalla prefazione della prof.ssa Paola Colace Radici (Docente di Filologia Classica, Università di Messina) e da una post-fazione del prof. Gaetano Bonetta (Università di Chieti-Pescara) ed è stato inserito nell’archivio del Centro Studi P.P.Pasolini (22 ottobre 2016), ispirato all’Articolo delle lucciole (apparso sul Corriere della Sera l’1 febbraio 1975, con il titolo Il vuoto di potere in Italia), è un viaggio tra scienza e letteratura nel mondo che evocano le lucciole. Questi coleotteri (lamparidi) con Pasolini hanno assunto nell’immaginario collettivo un significato non solo poetico, ma ecologico e politico (l’articolo infatti si chiude con la celebre affermazione “… darei l’intera Montedison per una lucciola”), contrassegnando il prima e il dopo, come una sorta di epocale mutamento, tra una civiltà millenaria, quella contadina, e il sopravvento di quella industriale improntata al consumismo e alla modificazione del paesaggio, che cambia repentinamente i connotati e l’identità antropologica e persino biologica, dell’homo sapiens.

La recensione riportata dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini si riferisce alla presentazione nella prestigiosa sede del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (venerdì 21 ottobre 2016). La presentazione è stata inserita nel programma “Riflessioni di Scienza e Letteratura” organizzato dal “Centro internazionale scrittori della Calabria” in collaborazione con i Dipartimenti di Scienze Veterinarie e di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina. In una nota del Centro studi P.P. Pasolini si spiega che il libro ”rievoca la storia ecologica, sociale, antropologica, culturale e politica dell’Italia dagli anni Sessanta ai primi anni Settanta, illuminata dallo sguardo critico di Pasolini” (la recensione fa riferimento all’articolo pubblicato il 20 ottobre 2016 sul sito di questo giornale www.laprimapagina.it , e si riportano alcuni passaggi).

“Il libro C’erano una volta le lucciole …, nato come saggio-racconto, recupera l’immagine simbolica delle lucciole a partire dall’articolo apparso sul “Corriere della Sera” il primo febbraio del 1975 e conosciuto come L’articolo delle lucciole (così come è stato intitolato dallo stesso Pasolini negli Scritti corsari).
Con Pasolini infatti questi coleotteri, appartenenti alla famiglia delle “Lamparidi”, sono entrati nell’immaginario collettivo con una carica evocativa e un fascino che non avevano conosciuto mai prima, perché assumono un significato simbolico dalla forte connotazione politico-culturale; ma, come è sottolineato dal prof. Pugliese nel suo saggio, sono anche sentinelle della salute dell’eco-sistema: con la scomparsa delle lucciole Pasolini prefigura anche il dramma della scomparsa della civiltà contadina. Il docente universitario, nelle doppia veste di scienziato e umanista, si è cimentato nella descrizione del comportamento delle lucciole; in particolare egli si sofferma sulle cause che provocano la loro scomparsa, con una analisi di carattere ambientale ed ecologica. A sua volta, Nicola Rombolà, docente di discipline letterarie negli Istituti d’Istruzione Superiore, compie un excursus letterario ed evocativo sul significato e sul valore attuale dell’esegesi che Pasolini ha svolto fino alla tragica scomparsa,  in particolare negli Scritti corsari e nel postumo Lettere Luterane, dove emerge uno sguardo demistificante e radicale, con la definizione di alcune categorie semantiche e interpretative per comprendere la società della nostra contemporaneità, come “l’omologazione culturale”, “l’apocalisse e il genocidio culturale”,  “la mutazione antropologica” degli italiani e  “l’ideologia dei consumi” come nuovo potere politico e religioso.  In questo itinerario di un certo interesse letterario l’excursus sull’apparizione della lucciole nella letteratura italiana a partire dal Canto XXVI dell’Inferno in cui spicca la figura di Ulisse.
Preziosissima per la sua profondità culturale è poi la prefazione Se la terra comincia a morire di Paola Radice Colace,  in cui emergono la sensibilità classico-umanistica verso la natura e l’accorato appello al sacro rispetto delle creature per salvaguardarle dalla “civiltà suicida”. Il volume è poi sigillato dalla post-fazione di  Gaetano Bonetta (direttore del Dipartimento di Scienze filosofiche e Pedagogiche dell’Università di Chieti-Pescara), dal titolo emblematico Le lucciole non moriranno mai: siamo noi!.”

La voce profetica di Pasolini illumina l’oblio di questi empi tempi

E’ trascorso un secolo dalla sua nascita e Pier Paolo Pasolini non smette di parlarci. Con il trascorrere degli anni, man mano che la società post moderna mostra il suo volto sempre più sfigurato dal consumismo e dall’omologazione, la voce di Pasolini risuona con più intensità dentro la memoria non ancora offuscata dai fumi deliranti della propaganda: e più si osservano le dinamiche che dominano i poteri mediatici e più potente avvertiamo la sua profezia. Per usare una metafora, con i suoi occhi abbiamo scoperto che il re è nudo.

Pasolini ha raccontato la nostra verità, di homini consumatori-utenti non più sapiens e senza identità, se non quella digitale e artificiale, e quindi  virtuale, destinati a diventare degli ogm selezionati nei laboratori cibernetici da astuti ragni capaci di tessere ragnatele invisibili.

Questi sono gli effetti della mutazione antropologica generata dalla tecnologia e dall’omologazione culturale: una società manipolata e guidata da un’intelligenza che abita fuori dal nostro osservatorio, dietro il quale si nascondono gli uomini della nuova era tecnologica che decidono le sorti dell’umanità, di cui non conosciamo le sembianze e che non possiamo più controllare; ma loro hanno acquisito l’onniscienza di conoscere tutto di noi, e quindi di controllare anche i segreti più inconfessabili. Ci siamo ridotti ad essere dei protocolli decisi dagli algoritmi e la nostra vita è diventata un’app: se non ci adattiamo e ci conformiamo al sistema, veniamo espulsi, in  modo democratico naturalmente, eliminati digitalmente, fisicamente, intellettualmente e socialmente con le armi neoliberiste della oligarchia plutocratica. Per cui il genocidio culturale, antropologico, ontologico e umano ha compiuto il definitivo passaggio.

Le riflessioni e le analisi di Pasolini che troviamo negli “Scritti corsari” e in “Lettere luterane”, avevano previsto questo scenario. Ora, il potere ha compiuto un ulteriore passo: la smaterializzazione della realtà nella rete. Non siamo più nella “modernità liquida”, come aveva ipotizzato Bauman, ma nel fumo. Così la materia non è più madre: non ha né corpo né anima. Non c’è più bisogno delle nostre mani o dei nostri occhi per vivere l’esperienza della conoscenza e poi illuminare la coscienza: per creare e concepire ci pensa la tecnologia con la tecnica olografica e il metaverso. L’homo deus non ha più limiti e la sua smisuratezza (hybris) si è tradotta nel  nuovo verbo virtual-digital che ci detta le linee guida della viltà: come e cosa dobbiamo pensare, per poi nasconderci come topi nei nuovi labirinti. Nel nostro prossimo futuro, invece di farina per impastare il pane, utilizzeremo i bit e il codice binario, e come lievito madre, gli algoritmi. E di che cosa ci nutriremo? Di proteine e vitamine elettromagnetiche generate dai micro cip. È questo il mondo che gli esseri “che furono umani” desiderano e agognano? Non sentire, non toccare, non gustare, non ascoltare, non vedere le creature e i frutti di Madre Terra, ma diventare postumani e transumani gestiti dai protocolli dogmatici del nuovo olimpo tecnocratico?

Pasolini aveva intuito dove andasse a parare la società che allora, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, veniva manipolata e modellata dalla televisione. Attraverso l’occhio clinico della sua osservazione scrutava i mutamenti repentini e profondi che avvenivano nel tessuto sociale, sotto la spinta inarrestabile dell’ideologia dei consumi. Ha intravisto la desertificazione della coscienza, dei sentimenti e la distruzione  della millenaria tradizione classica e della civiltà contadina.

L’eredità di Pasolini è fondamentale per comprendere il presente, perché ha presentito ciò che sta accadendo fuori e dentro di noi. Rileggere i suoi scritti o ascoltare i suoi interventi, vedere i suoi film e i suoi documentari e reportage, significa avere le chiavi per aprire le porte, farci uscire alla luce per non essere risucchiati nelle oscure dimore abitate dalla “perduta gente” che hanno smarrito anche l’ultima speranza di restare umani: che significa avere le radici nell’humus della terra. E’ l’umiltà che rende fecondo il nostro Spirito vitale coniugando l’energia della terra con il mistero del cielo e del creato. Attraverso questa meravigliosa corrispondenza si trasforma e si eleva l’esperienza terrena con un processo che solo la sacralità del pensiero intuitivo può cogliere e illuminare. Lo spiega Einstein, che riflette la concezione di Aristotele sul mistero della conoscenza attraverso la meraviglia: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servoNoi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono” (Pensieri di un uomo curioso).