Il coraggio di vivere

“ …. Ricordare la “ Shoah “ !
Oggi occorre dargli un significato
che rimanga impresso nella – memoria -.
Altrimenti sarà una data importante
da celebrare con la solita ipocrisia propria
dell’umano. Come lo è “ l’evento Shoah
forse fin troppo umano. Dal quale sempre                                                
si deve ripartire; affinché si indaghi sulle
individuali e collettive radici del razzismo,
della xenofobia, dell’antisemitismo. “
                                Vincenzo Calafiore                    

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un tozzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
   Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole
scolpi tele nel vostro cuore
stando in casa andando via,
Coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.       Primo Levi
 
 
 IL CORAGGIO DI VIVERE
 
Oggi si celebra il  – Giorno della Memoria – e ci vorrebbe una cartolina da Auschwitz, il Lager -simbolo nella memoria storica e nell’immaginario collettivo, del delirio di onnipotenza di Adolf Hitler; il quale assisté drammaticamente alla fine del suo Reich, dal bunker sotto Berlino.
AUSCHWITZ ,  è il Lager- simbolo del sistema concentrazionario nazista ma anche espressione profonda della crisi della civiltà occidentale e della ragione umana.
Il Lager-simbolo della Shoha, evento definito umano, forse fin – troppo umano – che sottratto alle leggi della storia si trasforma in un evento metafisico inspiegabile.
L’analisi odierna deve assolutamente rimuovere i molteplici luoghi comuni antistorici e la stereo tipizzazione dei fatti e dei suoi protagonisti su cui si fondano le nostre conoscenze. Che ricordano di ricordare questa “ storia “, letta ancora oggi da molti, come le agiografie sui martiri e gli eroi, solo in occasione delle ricorrenze ufficiali celebrative o commemorative.
Dobbiamo noi comprendere che l’evento Shoha, investe la storia morale di questo secolo e che da questo si deve ripartire per scavare e indagare sulle radici individuali e collettive del razzismo.
Eppure c’era la musica, in quei campi dell’orrore ! Tra le mortificazioni dei corpi, delle dignità, delle anime, tra la distruzione e l’annientamento c’era chi aveva salvato brandelli di qualcosa d’altro, e li ha difesi come ha potuto affermando così le ragioni della vita e del pensiero ove regnava il nonsenso della violenza e della morte.
Era un’orchestra di solo donne messa su nel più spietato dei Lager : Aschwitz- Birkenau! L’unica orchestra mai esistita in un solo campo di sterminio, perché i nazisti, uomini colti e raffinati, amavano la musica almeno quanto odiavano i loro prigionieri.
Era diretta da Alma Rosé, grande musicista nipote di Mahler.
La musica era per loro la salvezza, del corpo e dello spirito.
Ad Auschwitz non faceva solo freddo, non cadeva solo la neve, c’erano anche urla, latrati dei cani, comandi, pianti, lamenti, disperazione .. questi erano i rumori di Auschwitz.
Ma c’era anche un’orchestra di donne prigioniere e umiliate, il campo sentiva quelle note sotto i cieli plumbei, donne che subivano ogni giorno l’orrore e la musica era la cosa più bella, come una rosa tra i fili spinati, ed aveva un pubblico di assassini.
Assassini capaci di assaporare a occhi chiusi un’aria della “ Madama Butterfly “ e mandare a morte con un si o un gesto, un gruppo di bambini, un incubo apocalittico, da fine dei tempi.
Non a caso, Oliver Messiaen scrisse in un campo di prigionia il celebre  “ Quartetto per la fine del tempo”. Così la musica salvò quelle donne di Auschwitz-Birkenau e tutte quelle che riuscirono a sentire una sola nota di quella musica, ma capace di ricordare loro che il mondo continuava ad esistere e a sperare.
 
L’Olocausto dimenticato
 
E’ un Olocausto dimenticato quello dei Rom, razzisti persino nel ricordo, 500 mila, forse 1 milione di Rom e Sinti che morirono nei campi di sterminio.
Per loro i nazisti avevano allestito uno speciale Zigeuner Lager ,  un ghetto nel ghetto di Auschwitz.
“ Al Porrajmos “ , il termine che i nomadi usano per designare il loro Olocausto.
La Memoria degli altri, il Dramma degli altri campi come nel campo di Sachsenhausen, come ad Auschwitz. Il “ Porrajmos Rom “ sarebbe da ricordare assieme all’annientamento dei disabili e poi quello degli omosessuali.
Lo sterminio dei Rom e degli “ altri “ fu sistematico alla pari quasi di quello degli ebrei. E’ difficile recuperare  la loro storia perché i suoi protagonisti non venivano registrati proprio perché nomadi per cultura e tradizione, anche se nel tempo studi e ricerche sono stati fatti.
Un Olocausto dimenticato, questo è da ammettere anche per lo steso sottile  e sotterraneo rigetto per l’indifferenza che ancora oggi colpisce la popolazione Rom e Sinti, perché ancora oggi ritenuti geneticamente ladri, dunque colpevoli.
Nelle baraccopoli del Zigeuner Lager le donne Rom e Sinte potevano partorire i loro figli, perché quei bambini dovevano fare da cavie umane per il Dottor Josef Mengele, l’angelo della morte.
Quei “ bastardi asociali” così definiti, in Italia in base ad un ordine fascista del 1940 i Rom venivano portati nei campi di Agnone in Molise, A Ferramonti in Calabria,in Sardegna, alle isole Tremiti, a Tossicia in Abruzzo.
Dopo l’Olocausto per le genti zingare non c’è stato riscatto nel ricordo!
Lo si dovrebbe.
 
“ QUALSIASI DITTATURA CONTIENE IN SE’ LA VIRTUALITA’ E L’ANIMA DI AUSCHWITZ “  ( Vincenzo Calafiore )