Attenzione alla giustizia fai da te: si rischia il penale

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Negli scorsi mesi molti italiani sono stati tentati dalla giustizia fai da te. A sospingerli indirettamente il clima di diffidenza e delazione creato all’epoca dai grillini. Ma segnalare qualcuno sui social network può avere delle conseguenze. Sono tanti i gruppi pubblici, privati, ma anche i singoli profili social che hanno condiviso fotografie di chi faceva jogging o di chi sarebbe uscito di casa violando le regole. Una mole enorme di fotografie in chiaro, targhe di veicoli e numeri civici di abitazioni private resa pubblica nel web. Tutti dati personali che per la legge non possono essere diffusi da privati, neanche per denunciare presunti illeciti.

Oltre ad un eventuale risarcimento in sede civile, si rischia di dovere rispondere del reato di diffamazione aggravata se la fotografia viene accompagnata da post che etichettano come trasgressori. Non si sa perché quella persona era uscita realmente di casa e, in ogni caso, eventuali condotte illecite vanno segnalate alle autorità competenti (Polizia o Carabinieri). Spetta alle autorità competenti dare esecuzione alle misure prescritte. L’emergenza sanitaria non ha in alcun modo sospeso le norme che disciplinano il rispetto dell’altrui riservatezza e reputazione. Dal punto di vista tecnico tutto ciò che identifica una persona fisica è un dato personale che, salvo eccezioni, non può essere divulgato senza il consenso dell’interessato. Il mezzo non conta, il reato di diffamazione si può configurare anche se si condividono i contenuti su gruppi WhatsApp o via mail comunicando con più persone.

Si possono segnalare i casi sospetti alle autorità competenti, anche ai vigili urbani, che poi trasmetteranno tutto, compresa l’eventuale documentazione fotografica, alla Polizia o ai Carabinieri per le valutazioni del caso. Oltre a chiedere l’immediata rimozione della fotografia che li riguarda, i diretti interessati possono, in caso di diffamazione, sporgere querela nei confronti di chi ha pubblicato la fotografia ma anche di coloro che aggiungono commenti offensivi. Per alcune Procure anche chi mette un like potrebbe essere chiamato a rispondere dello stesso reato. Allo stesso modo chi gestisce il gruppo social, se messo a conoscenza del fatto e non si attiva, potrebbe rischiare di pagarne le conseguenze. È possibile, poi, presentare un reclamo al Garante per la Protezione dei dati personali per chiedere la cessazione immediata del trattamento dati che ci riguarda e quindi la rimozione della fotografia.

Si può inviare una precisa richiesta anche ai social network che sono responsabili dei nostri dati personali e che quindi dovrebbero attivarsi per valutare eventuali trattamenti illeciti. Se attraverso i gruppi facebook vengono commessi dei reati, come la diffamazione, si può chiedere, in via cautelare, la rimozione dei singoli contenuti o la chiusura del gruppo stesso se di per sé illecito. Si chiama sequestro preventivo e la Corte di cassazione lo ha già ritenuto legittimo in diversi casi di diffamazione a mezzo Facebook.