Le mascherine contribuiscono ad inquinare: ecco quanto

Le mascherine sono una forma di inquinamento che danneggia gli ecosistemi, a partire dagli oceani. Lo scorso anno e nel primo trimestre del 2021, per via dell’emergenza sanitaria, il numero di mascherine prodotte e usate è cresciuto in modo esponenziale, facendo emergere con forza il problema dello smaltimento. Un allarme che è stato lanciato di recente anche dall’Istituto superiore di sanità e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (l’Ispra).

Il mercato dei dispositivi di protezione individuale è passato da un valore di 800 milioni di dollari del 2019 a 166 miliardi di dollari del 2020. È emerso che a livello globale vengono impiegate 129 miliardi di mascherine al mese, 3 milioni al minuto.

A causa del covid è aumentato anche il consumo di altri prodotti in plastica, che contribuiscono a inquinare il pianeta. Tra questi i guanti monouso (65 miliardi di paia al mese) e bottigliette di varie dimensioni di gel idroalcolico. Inoltre le precauzioni anti-contagio hanno portato anche ad aumentare l’uso di contenitori monouso, di vaschette per alimenti e di altra oggettistica in plastica che negli ultimi anni si stava cercando di utilizzare sempre meno.

La maggioranza delle mascherine utilizzate sono usa e getta, non a caso responsabili numero uno di questa nuova forma di inquinamento. Le più conosciute sono le mascherine chirurgiche, che sono composte da 3 strati: uno esterno non assorbente costituito da poliestere, uno intermedio composto da tessuti come prolipropilene e polistirolo, infine uno interno assorbente formato da cotone. A destare grande preoccupazione sono soprattutto le microfibre di plastica, che possono originarsi durante la realizzazione delle mascherine, ma anche durante l’uso e il successivo smaltimento.

Oltre alla parte multistrato della mascherina ci sono poi gli elastici e la barretta metallica per stringere il dispositivo in maniera adeguata sul naso. All’incirca il 75% delle mascherine impiegate nel mondo finisca nelle discariche o peggio ancora una parte di queste arriva agli oceani. Un dato allarmante è che nel corso del solo 2020 sono finite negli oceani oltre 1 miliardo e mezzo di mascherine, contribuendo a creare problemi alla flora e alla fauna marina. A complicare di più la situazione sono i tempi necessari affinché una mascherina si degradi. Servono all’incirca 450 anni prima che un dispositivo di protezione individuale si decomponga completamente.

La produzione delle mascherine è simile a quella delle bottiglie di plastica, ma per queste ultime sono previsti chiari protocolli di smaltimento che determina il riciclo di circa un quarto dei prodotti di rifiuto. Anche se la strada da fare è ancora molta, per le bottiglie la strada da seguire per una reale sostenibilità è tracciata.

Al contrario, i dispositivi di protezione individuale vengono gettati nel bidone dei rifiuti indifferenziati, o peggio ancora abbandonati a terra per incuranza. Dai cestini o dai bidoni della raccolta urbana, poi, le mascherine vengono smaltite attraverso gli inceneritori, con i conseguenti problemi di inquinamento atmosferico, o portate nelle discariche insieme a tutti gli altri rifiuti non recuperabili.

I problemi relativi al grande uso della plastica e al suo scorretto smaltimento sono ben visibili negli oceani e nelle acque del pianeta. Si stima che ogni anno finiscano in mare all’incirca 8 milioni di tonnellate di plastica. La situazione è peggiorata con la pandemia. I guanti, così come le mascherine, sono un pericolo per gli animali marini, che rischiano di rimanere intrappolati, scambiando questi rifiuti per meduse o altri pesci. Inoltre, esiste un rischio reale che possano essere contaminati anche i cibi che mangiamo. Questo perché i dispositivi di protezione individuale rilasciano micro-particelle di plastica, che vengono mangiate dai pesci che poi finiscono sulle nostre tavole. Non si tratta di un rischio astratto o che non ci riguarda, ma i danni sono già consistenti e visibili, per gli esseri umani e non solo.