Traduzione del Cantico dei cantici in calabro-greco ad opera del poeta Salvino Nucera

Il canto nuziale affonda le radici in alcuni poemi della Mesopotamia ed è entrato nel canone biblico “a furor di popolo”. La sua composizione viene attribuita al re Salomone. È senz’altro uno dei testi poetici più alti e più intensi che siano mai stati composti. Il sentimento erotico viene cantato e trasfigurato attraverso un dialogo che tocca vette di altissima poeticità. Il Cantico dei cantici, inserito nei libri sapienziali dell’Antico testamento, per la prima volta nella storia della letteratura mondiale, è stato tradotto in lingua calabro-greca dal poeta Salvino Nucera, prezioso testimone della cultura “grecanica” o ellenofona in Calabria, raffinato poeta e scrittore (originario di Chorio di Roghudi) che sa interpretare il linguaggio della natura, dare voce ai sentimenti e tramandare alle nuove generazioni il valore delle tradizioni della sua gente. Il testo, “Tragùdi ton tragudìo”, è stato presentato a Vibo nei giorni scorsi (nell’ambito delle iniziative del “Caffè letterario” a palazzo Gagliardi). L’evento è stato contrassegnato dall’esecuzione canora, in prima assoluta in Calabria, di un passo del poema in grecanico, da parte della cantastorie Francesca Prestia che ha curato anche il testo musicale, intitolato “I Agàpi, pirìa tu Thiù!”, (L’Amore, vampa di Dio) che l’artista aveva presentato in anteprima alla Triennale di Milano, con l’attore-musicista greco Kostas Gakis (8 marzo). Sono intervenuti lo stesso autore, lo storico e uno dei massimi esperti della cultura bizantina in Calabria Domenico Minuto e Vittoria Iannelli (ex docente e studiosa del mondo classico). A presentare l’iniziativa Bianca Cimato (docente al liceo classico “Morelli” di Vibo). L’operazione compiuta da questo poeta, è un fatto di grande rilevanza non solo di carattere storico e antropologico, ma anche letterario, in quanto l’itinerario poetico di Nucera nasce proprio attraverso l’attività di recupero – filologica, antropologica e archeologica – di una identità linguistica e culturale trasmessa oralmente per millenni (dal greco parlato nella Magna Grecia, dal quale si sarebbe evoluta indipendentemente dal greco ellenistico) che restituisce la bellezza e il fascino delle sonorità dell’antico idioma, come emerge nel testo musicato e cantato. Le melodie e i timbri vocali fanno riaffiorare alla memoria risonanze arcane, come se si fossero depositate, in tutti questi secoli, nel sottosuolo della cultura popolare delle aree grecaniche (comuni di Bova, Bova Marina, Roghudi e Condofuri , ma il Greco di Calabria resiste solo a Gallicianò, Roghudi, Chorìo di Roghudi, Bova Marina e nel capoluogo Reggio dove, nei quartieri San Giorgio Extra e Rione Modena, vi sono minoranze ellenofone). La traduzione del Cantico dei cantici e l’interpretazione della cantastorie Prestia, hanno ridato vita alla ispirazione originaria della poesia lirica; anticamente infatti il testo veniva composto per essere cantato e musicato. Significativo il racconto dell’incontro tra la cantastorie e il poeta, per mettere a punto la pronuncia e il ritmo della lingua grecanica rispetto alle esigenze compositive del testo cantato, avvenuto in un bar di Bovalino. Da quell’incontro è nata una esecuzione che fonde, in modo mirabile, le modulazioni cromatiche del canto e della musica con quelle dell’antico idioma greco-calabro. A far emergere i contenuti poetici e filologici della traduzione, uno dei massimi esperti della cultura bizantina in Calabria, Domenico Minuto (autore tra l’altro del libro “Gente di Calabria”) profondo conoscitore del poeta e scopritore della vena artistica del Nucera, il quale si è soffermato, non solo sui segreti del testo lirico in grecanico, ma anche sugli aspetti che caratterizzano la l’itinerario poetico del poeta e dei valori letterari ed estetici delle sue poesie, mettendo a confronto sempre la traduzione in italiano. Nel corso della sua analisi ha sottolineato l’apparente semplicità del dettato espressivo che connota i versi del poeta, ma in cui è possibile scoprire una complessità e una profondità che appartiene alla radice della stessa lingua, con forti richiami al mondo classico, e in cui si sperimenta la condizione dell’uomo contemporaneo attraverso i temi universali di eredità classica, ed in cui emerge la forza gnomica ed icastica delle immagini, fusa nella meditazione; in questo si avverte la sua profonda vocazione: una tensione spirituale, in cui si compenetra il passato con il presente, la materia verbale con quella spirituale. Sentimento emerso anche dalle stesse parole del poeta, il quale ha raccontato di essersi ritrovato poeta a sua insaputa, perché dava scarso peso ai suoi versi; ma grazie proprio al Minuto, un giorno, mentre si trovava a Milano, riceve la notizia che era stato pubblicato un libro con le sue poesie; e così è iniziato l’itinerario poetico di questo poeta errante ritornato in Calabria. Ha spiegato inoltre che ha dovuto compiere un lavoro di recupero per dare ai suoni il loro carattere orale, ricorrendo anche alla creazione di neologismi con un’opera di invenzione di perifrasi per poter esprimere alcuni significati, in quanto il repertorio lessicale sopravvissuto del grecanico, non gli consentiva di esprimere compiutamente alcuni concetti. Un’operazione archeologica ma anche creativa, che è stata possibile realizzare nel momento in cui ha iniziato a pensare nella sua lingua madre e a comporre direttamente in lingua calabro greca. Si riporta il testo greco-calabro di Salvino Nucera con la traduzione in italiano, musicato e cantato dalla cantastorie Francesca Prestia

I Agàpi, pirìa tu Thiù! (L’amore, vampa di Dio)

Pòsson isson pìszilo, filimu, pòsson pìszilo!

Pòsson isson pìszilo, agapimmènomu, pòsson isson calò!

Alìthia, glicìa, plen glicìa Tu crasìu ene ta chilisu.

Sìremu apìssosu, trèchome! Sìremu apìssosu, trèchome!

Oli pìszilo isso esù, filimu, isso esù apànossu den feni cammìa olàda. Tin cardìa esù m’èclespese Menan chrisafi manachò. M’eclespese esù tin cardìa Me manachì mia arthammìa.

Pòsson isson pìszilo….

M’enan torcàri mmiàszi O agapimmènomu m’enan cerbiatto. Pos’enan aftho aspro mesa sta chalipà. Pose mia mmilìa mesa sta dendrà tis oscìa. Sto scianòti thelo Thelo na cathìo.

Pòsson isson pìszilo….

Vàlemu san plumì Stin cardìasu, sto vrachònisu fola plumì. I Agàpi Ene floghie Asce pirìa tu Thiù!

(Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!

Come sei bello, amato mia, quanto grazioso!

Migliore del vino è il tuo amore.

Trascinami con te, corriamo! Trascinami con te, corriamo!

Tutta bella sei tu, amata mia, e in te non vi è difetto. Tu mi hai rapito il cuore Con una sola perla della tua collana. Tu mi hai rapito il cuore Con un solo tuo sguardo.

Quanto sei bella ….

L’amato mio somiglia A una gazzella o ad un cerbiatto. Come un giglio tra i rovi. Come un melo tra gli alberi del bosco. Alla sua ombra, desiderata, mi siedo.

Quanto sei bella …

Mettimi come sigillo Sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio. L’Amore è vampa di Fiamma Divina!).