Al modo delle foglie silloge poetica del cirotano Saverio De Bartolo

Scriveva, qualche tempo fa, una mia allieva, tra lo studio e il verseggiare. “La poesia, è il linguaggio che permette di entrare nella profondità di tutte le cose e dei sentimenti, di comprendere a fondo tutte le situazioni e di accettarle cogliendone l’essenzialità la quale si traduce poi in versi.” Ed ancora: “ la poesia è il linguaggio dell’amore, l’amore di credere in ogni attimo che sia lieto o doloroso…L’importante è non tirarsi  mai indietro perché bisogna inseguire la vita e non farsi inseguire, lasciandosi travolgere, il tutto accompagnato dalla capacità di ironizzare quando le cose vanno proprio male!” Sono questi i pensieri che fanno parte del patrimonio morale, delle vicende della vita di tutti i giorni, delle esperienze filtrate dalle emozioni di un animo che sa trasformare il proprio sentire in un sentimento universale: sono i pensieri che costituiscono il fondamento anche  dell’amico Saverio De Bartolo. De Bartolo ci ha donato, negli anni,  libri della memoria come “Kakovia” del 2004, “A froggia e Mastu Lorenzu” del 2010, e “Si sa che…” del 2012  e riedito, a fine anno, con prefazione di chi scrive questa nota. Quest’ultimo libro, come piace ripetermi, è il rinnovato  racconto di una vita che l’amico Saverio ha voluto offrire alle giovani generazioni perché sappiano e non dimentichino.  Un racconto esemplare, ricco di buoni sentimenti e spiritualità anche, dove il tempo e il passato non assume un aspetto evanescente ma risonanza di umanità ed esperienza. Un libro, insomma che ci regala sensazioni, emozioni, sentimenti che diventano poesia. Già, poesia. Tutto il racconto della vita di Saverio De Bartolo adesso diventa poesia con la silloge “Al modo delle foglie” edita in proprio da CopyArt di Ferrara appena lo scorso gennaio 2013. Si tratta di una corposa raccolta di liriche che, come “nuvole sul mare” (dall’immagine di copertina), richiamano la poetica di Salvatore Quasimodo e che  abbracciano tutto l’itinerario umano del poeta cirotano. Sono “foglie sparse, foglie argento, foglie di neve, foglie morte,nuove foglie”, insomma foglie tantissime vive e poche morte e comunque caduche che raccontano dell’amata natia Cirò  e della Ferrara eletta a terra di adozione. L’incipit della raccolta è affidata alla riproposizione della lirica “ Al modo delle foglie che nel tempo/ fiorito della primavera nascono/ e ai raggi del sole rapide crescono/, noi simili a quelle per un attimo/ abbiamo diletto del fiore dell’età,/ ignorando il bene e il male per dono dei Celesti./ Ma le nere dèe ci stanno a fianco,/ l’una con il segno della grave vecchiaia / e l’altra della morte. Fulmineo/precipita il frutto di giovinezza,/ come la luce d’un giorno sulla terra./ E quando il suo tempo è dileguato/ è meglio la morte che la vita.”  È la poesia Al modo delle foglie di  Mimnermo, poeta greco del VI secolo a.C., e tradotta per “Lirici greci” dal Nobel Quasimodo. Una poetica, la greca, delle gioie della quotidianità cantate e descritte con un forte senso di malinconia in virtù  della loro caducità.  Insomma una poesia dalla giovinezza gaia ma breve, come la luce di un giorno sulla terra. L’uomo si rallegra delle gioie che offre la giovinezza, vivendo spensieratamente per il bene degli dèi. Ma le Parche, le nere dee, come per il nostro destino, stanno sempre a fianco agli uomini e  fissano la brevità della vita come sole d’inverno. Certamente il tempo trascorre, talvolta inesorabilmente veloce, e De Bartolo, come tutti d’altronde, è consapevole che “passati i vent’anni ed altri ancora,/ s’approssima il mio tempo/ s’avvicina l’inverno/ e poi la notte.” Ma la vita è sempre tempo di bella stagione e di arcobaleno come nella lirica Livido è il giorno quando “nel cielo azzurro/ di fresco risveglio/ nuvole stirate/ colorate di rosa/ promettono primavera,/ di prati verdi e margherite bianche,/ di balconi ricolmi di fiori/ dai colori vivaci e rigogliosi.//È tornato il sereno e la speranza”. I ricordi della gioventù fanno parte di un capitolo indimenticabile della vita di ognuno di noi. Lo scrittore e poeta di Cirò non sfugge ad un tanto e se ne riappropria mettendo in fila antiche emozioni, giochi, rincorrersi di stagioni, volti amici, mondi segreti. E quanta armonia e nostalgia ci comunica con i suoi versi caldi e dagli occhi lucidi.    Sfogliando le pagine di questa silloge ti accorgi subito di essere di fronte ad una persona dalla formazione poliedrica che ricostruisce puntualmente episodi della sua vita tra Cirò e le Mura di Ferrara e approfondisce situazioni psicologiche e/o sociologiche, nonché storie d’amore, tracciando così un affresco letterario di quegli anni, dal giorno della diaspora ai giorni vissuti in industria e ai giorni postindustriali o se vogliamo postmoderni, dimostrando la sua innata abilità di affabulatore, all’occorrenza anche arguto.  Leggiamo insieme i versi di Madrigale cirotese laddove scrive: “Ora è il tempo dei ricordi ameni./ Fronde d’olivo nitide nel vento/ danzano in coro con le foglie argento.// Questa è l’ora dei risvegli./Già nella via s’odono rumori/ di ferri di cavalli sulle pietre/ del borgo, alla campagna/ volge il contadino.// Ora si desta il gregge negli stazzi/ la quartuccia è già colma/ nelle mani del pastore sulla via/intorno a lui fanciulli/ devono il latte caldo appena munto.”  Ed ancora alla sua lontana Cirò versi duri come di rabbia che ricordano la sua terra secca, arida, il “terreno ‘jerzu’/ come la terra di mio padre,/ quella non coltivata, dura, compatta,/ erba secca appiattita per terra,/ come se avesse il timore di esistere.” E poi a chiedersi: Perché commuoversi/ di fronte a questo?/ forse il ricordo lontano?”. Ma per De Bartolo “è lontano quel tempo/vive nel sogno quel ricordo.” Oggi il nostro poeta lascia scorrere le sue giornate rigate di pianto sotto le Mura di Ferrara “una città che vive/ il suo tempo frenetico/ di gente che corre,/ che parla, che cammina./…Macchine nelle periferie sonnolente/ assediano i cortili/…Macchine/ variopinte nell’Ospedale/…Macchine/ nei cortili dei palazzi musei./…Rumore, polveri di strada e di ferodi,/ gas di scarico: ossidi carbonio,/ e di azoto; fiumi neri di olio diesel/ sparati per terra…”. Quelle Mura che al nostro poeta, per sua fortuna, non dànno “… caldi umori, colori, sospirati silenzi,…/ Il prato mi regala un quadrifoglio.// Un cane gioca col fratello cane.” Al postutto ci si chiede perché un libro di poesie di tal genere che potrebbero sembrare anacronistiche e comunque lontano dagli interessi culturali della nostra quotidianità?  È lo stesso De Bartolo che fra le righe ce lo spiega quando manifesta il suo tormento e il timore visto che noi della civiltà postmoderna siamo soltanto dei numeri codificati in ogni agire della vita, dalla nascita al tramonto dell’esistenza. Insomma può succedere ed anzi sta già avvenendo, che andremo a perdere la nostra identità, la nostra storia, il nostro passato, il nostro essere, il nostro nome, la nostra terra. Sono poesie che costituiscono il bel romanzo che Saverio De Bartolo ci dona con quella semplicità che caratterizza la sua scrittura e che testimonia la vocazione di una pagina semplice, non fortemente forbita, capace di penetrare nel cuore di chi legge. Ed io mi fermo qui, non voglio rovinare il gusto della piacevole lettura delle tante altre liriche che Saverio ci ha voluto regalare per cum-prenderle.