I finanzieri aiutano a far passare la droga dal porto di Gioia Tauro

E’ un’accusa pesante come un macigno che emerge dall’interrogatorio del collaboratore di giustizia Salvatore Facchinetti. La cosca Pesce di Rosarno (RC) era in grado di farsi spedire 3-400 chili tra eroina e cocaina ogni settimana che transitava dal porto di Gioia Tauro grazie anche alla collaborazione di alcuni finanzieri compiacenti.

Facchinetti, ex affiliato alla cosca, ha rilasciato queste pesanti dichiarazioni in videoconferenza nel processo ai presunti affiliati alla cosca che si sta svolgendo davanti ai giudici del tribunale di Palmi. Si tratta di circostanze di cui Facchinetti aveva già parlato con i pm della Dda di Reggio Calabria e che sono oggetto di approfondimento. L’uomo ha spiegato che la droga arrivava nei container, nascosta tra altra merce, e veniva portata fuori dal porto con i camion di alcune ditte che di fatto erano riconducibili agli stessi Pesce.

Una volta scaricata a Rosarno, la droga veniva divisa tra gli elementi di spicco della cosca ed una parte veniva spedita nelle regioni del nord. Alla domande del pm, Alessandra Cerreti, se i finanzieri lavoravano all’interno o all’esterno del porto, Facchinetti ha risposto di non ricordarlo, ma ha aggiunto che sapeva che gli stessi militari avevano interessi in alcune truffe poste in essere dagli affiliati ai danni dell’Ue dalla quale si facevano versare contributi per degli agrumeti che in realtà esistevano solo sulla carta. Il collaboratore ha anche spiegato che tutto il territorio di Rosarno era diviso in zone di competenza tra i Pesce ed i Bellocco e che nessun atto criminale poteva essere compiuto senza il permesso del boss ”competente”.

Al riguardo ha aggiunto che il sistema è uguale in tutta la Calabria, tanto che lui stesso, per alcune rapine compiute in altre città, aveva dovuto versare il 50% del bottino al boss della zona. Il collaboratore ha anche riferito che in una occasione gli era stato proposto di compiere una rapina ai danni del gioielliere Giuseppe Gelanzé (che nella scorsa udienza ha ammesso di avere pagato il pizzo), ma di essersi rifiutato perché era suo cliente. Facchinetti ha poi affermato che dopo l’arresto degli ”anziani” della cosca, il controllo di tutte le attività era passato a Francesco Pesce, di 34 anni, detto ”ciccio testuni”, arrestato il 9 agosto scorso all’interno di un bunker nel quale si nascondeva dopo una latitanza di oltre un anno e figlio del boss Antonio, detto ”testuni”. Francesco, ha detto il collaboratore, aveva il controllo totale della droga, dell’usura e del trasporto per la catena di distribuzione alimentare della Sisa in Calabria.