Troppo fango su don Luigi Verzè

 Lo ha detto all’omelia del funerale del fondatore del San Raffaele, il Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, sottolineando che ”don Luigi ha amato Cristo nei malati con tutta la carica della sua ricca e complessa personalita”’. ”Ad esequie come quelle che stiamo celebrando converrebbe il silenzio – ha aggiunto il vescovo – . Su don Luigi, uomo manager e prete, s’è detto di tutto, anche fuori dalle righe, con una certa disinvoltura e non sempre con quel senso di umanità cui s’addice almeno un po’ di clemenza nei confronti delle fragilità umane. Forse, è un’ipotesi la mia, don Luigi è stato più analizzato a spicchi che considerato nella sua globalità, a partire dalla sua interiorità. Con ogni probabilità, soprattutto in questi ultimi sei mesi, in seguito ai noti eventi segnati persino da una tragedia, specialmente nei media è scattata una gran voglia di squarciare il velo della sua complessa personalità”.

“E in questo tentativo – ha proseguito mons. Zenti – oltre al riconoscimento degli innegabili meriti, un po’ di fango, anche di troppo, è stato buttato addosso alla sua persona e non solo sul suo operato, su cui si può tranquillamente discutere e da cui, al limite, è lecito dissentire”. Dopo aver precisato di non avere la pretesa di dire una parola definitiva sul sacerdote e ”lasciando che la giustizia faccia il suo corso”, il Vescovo ha sottolineato che ”don Luigi era dotato di una personalità estremamente complessa. Sbrigliata e indomabile. Persino contraddittoria in alcuni tratti. Aveva il culto della razionalità e della libertà, ma nello stesso tempo si lasciava guidare da una fede ecclesiale autentica e ben radicata, specialmente nell’Eucaristia”. Don Verzè ”è vissuto tra gli applausi, che non disdegnava pur senza provocarli, e i grattacapi, trasformati persino in vilipendio nei suoi ultimi giorni: se è lecita l’allusione, con i dovuti distinguo, ha conosciuto i momenti del Tabor e quelli del Calvario”. ”Quando mirava ad un obiettivo, che riteneva particolarmente importante, irrinunciabile, rispondente esattamente alle esigenze del suo carisma, – ci permettiamo di rilevare qui un suo lato vulnerabile – non badava ai mezzi, pur di conseguirlo – ha continuato Zenti -. Aveva un suo linguaggio inconfondibile, spesso al limite del paradosso: avrebbe voluto dire più di ciò che gli riusciva di dire. Insomma, c’era in lui una eccedenza, un bisogno incoercibile di andar oltre; come a dire che aveva scolpito nel suo Dna il bisogno dell’oltre, quasi uno spasimo di assoluto e di eternita’ che, se gli fosse stato possibile, avrebbe concretizzato in terra”. Dopo aver ricordato che viveva per i malati, mons. Zenti ha aggiunto che ”se ha avuto degli eccessi, la colpa va attribuita, per così dire, ad un eccesso di amore per i malati. Per loro ha voluto il meglio del meglio. Sotto il profilo delle attenzioni umane e sotto quello professionale, che voleva eccellente. Per loro ha creato frontiere all’avanguardia mondiale sul piano della ricerca, benchè siano in ogni caso sempre da tener monitorate sotto il profilo etico”. Il suo ritiro, sempre più eremitico, degli ultimi mesi, è stato avvolto nel silenzio sofferente. ”Don Luigi ha vissuto nel crogiolo di una sofferenza acutissima che gli ha fatto sperimentare l’angoscia, mai la disperazione”. ”Non ci resta che affidare don Luigi al giudizio misericordioso di Dio – ha concluso Zenti – che scruta i cuori e conosce il travaglio della vita, con gli slanci di entusiasmo dell’uomo e con le sue miserie, con il bene compiuto e con i peccati commessi”.