Trentasei arresti a Palermo colpo alla nuova mafia

In carcere complessivamente sono finiti 36 esponenti delle famiglie mafiose palermitane di Brancaccio, San Lorenzo, Resuttana e Passo di Rigano, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti. Le inchieste sono state coordinate dalla Dda di Palermo.

L’indagine della polizia, chiamata “Araba Fenice”, riguarda sedici presunti mafiosi del mandamento di Brancaccio. Quella del nucleo investigativo dei carabinieri e dei militari del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza, chiamata “Idra”, ha portato al fermo di sedici presunti mafiosi dei mandamenti di Resuttana e Tommaso Natale. Un terzo provvedimento di fermo è stato eseguito, infine, dai carabinieri del Ros nei confronti di quattro esponenti della cosca di Passo di Rigano. Dalle risultanze investigative si è appreso che sono ancora i fratelli Graviano, capimafia dell’ala stragista di Cosa nostra, a comandare nel quartiere palermitano di Brancaccio. Filippo e Giuseppe, boss detenuti da anni, reggono le redini del mandamento con l’aiuto della sorella Nunzia tornata, dopo una condanna per mafia, a gestire gli affari della famiglia. Nunzia, a suo carico anche le accuse del pentito Fabio Tranchina, è stata arrestata dagli agenti dello Sco della squadra mobile di Palermo coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio de Francisci e dai pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Secondo gli investigatori i soldi delle estorsioni finivano nelle sue tasche.

L’operazione, a cui hanno contribuito diversi pentiti, ha anche individuato i fiancheggiatori dei boss e gli esattori del pizzo. Dall’inchiesta è emersa una fitta rete di relazioni tra i vertici della cosca, alcuni in contatto con i capi della ‘ndrangheta, e quelli di altre famiglie mafiose della città: diversi i summit organizzati per risolvere i contrasti tra le cosche ascoltati in diretta dagli investigatori grazie alle intercettazioni. L’indagine ha messo in luce momenti di grave frizione tra le diverse anime di Cosa nostra ancora prive di una figura carismatica di riferimento dopo le catture dei padrini latitanti: più volte, nel corso dell’inchiesta, gli inquirenti hanno temuto per un ritorno in armi dei clan. Per il summit più importante degli ultimi anni, ad esempio, i mafiosi avevano scelto un noto ristorante nel quartiere Zen a Palermo: Villa Pensabene. Il 7 febbraio scorso si è riunito lì il nuovo gota della mafia palermitana: intorno al tavolo c’erano Giulio Caporrimo, Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta (poi assassinato), Alfonso Gambino, Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino. Tra i boss ci furono momenti di tensione tanto da fare temere agli inquirenti, che intercettavano il summit, l’esplosione di una nuova guerra di mafia.

Quando hanno capito che attentati e intimidazioni a potenziali vittime del racket erano ormai imminenti, gli investigatori hanno deciso di intervenire: è stato un blitz dettato dall’urgenza e dall’esigenza di tutelare commercianti e imprenditori, dunque, quello realizzato nell’ambito del provvedimento di fermo disposto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Marcello Viola, Lia Sava, Gaetano Paci, Francesco Del Bene, Annamaria Picozzi e Dario Scaletta. L’inchiesta dei carabinieri è la prosecuzione di un’indagine che negli ultimi tre anni ha disarticolato la cosca dei boss Lo Piccolo. Parallelamente, la polizia valutaria, che a marzo scorso ha arrestato Giuseppe Liga, ritenuto il successore dei Lo Piccolo, ha ricostruito i nuovi assetti criminali del mandamento e ha individuato le ricchezze accumulate dai boss. Dopo l’arresto di Liga, punto di riferimento della cosca sarebbe Calogero Di Stefano, nuovo reggente di Tommaso Natale e gestore del racket e delle scommesse clandestine. Ad affiancarlo Giulio Caporrimo, tornato a ricoprire un ruolo di vertice subito dopo la scarcerazione avvenuta un anno e mezzo fa. Dall’inchiesta è emerso anche che i boss dettavano legge nella gestione del centro commerciale che il presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, sta realizzando allo Zen stabilendo chi sarebbe stato assunto e a chi sarebbero andati gli spazi commerciali.

Dall’indagine del Ros, che ha portato in cella quattro esponenti della cosca di Passo Di Rigano, emerge poi che i cosiddetti «scappati», i boss perdenti della guerra di mafia costretti all’esilio negli Usa dai corleonesi di Totò Riina, avessero riacquistato un ruolo di vertice in Cosa nostra. L’inchiesta ha evidenziato l’operatività dei vertici del mandamento e la loro capacità di relazione con i capi delle altre cosche. I fermati sono Giovanni Bosco, parente dello storico boss ucciso Salvatore Inzerillo, Alfonso Gambino, Ignazio Mannino e Matteo Inzerillo, quest’ultimo incaricato di mantenere i rapporti con altri esponenti del mandamento che incontrava utilizzando mezzi dell’azienda municipalizzata dei trasporti di cui è dipendente. Tutti e quattro erano presenti all’importante summit mafioso di Villa Pensabene di febbraio scorso, segno dell’importanza del mandamento nel contesto mafioso palermitano.