Tra i ribelli libici si nasconde Al Quaeda

di Fernando Termentini

Gheddafi, anche se in chiave strumentale, ha in passato denunciato che i “pupari” della primavera araba fossero vicini ad Al Qaeda. Una tesi letta con sospetto in quanto ufficializzata da un Rais con l’acqua alla gola e stretto all’angolo dai ribelli libici. Oggi, però, assume connotati più credibili nel momento che Ahmed Shabani, fondatore del “partito democratico libico” e di sicuro orientamento liberale, formula da Londra l’ipotesi che elementi di Al Qaeda siano presenti in maniera consistente fra gli insorti. Un’eventualità da verificare urgentemente e comunque da non sottovalutare e che potrebbe essere sfruttata dallo stesso Gheddafi che, sconfitto, sarebbe capace di ritornare al suo vecchio mestiere di terrorista. Non a caso, sono sempre di più confermate le voci di ruoli determinanti nella rivolta libica di noti ex appartenenti all’organizzazione terroristica di Al Qaeda. Abu Obeid al Jarah impegnato a Bengasi e Abdel Hakim Belhaj a Tripoli, ambedue noti estremisti islamici vicinissimi alla vecchia ideologia di Osama Bin Laden. Per non dimenticare il possibile network che il defunto numero due di Al Qaeda, il libico Atya Abdel Rahman, vice dell’egiziano Ayman al – Zawahiri e da poco ucciso dagli USA in Pakistan, potrebbe aver strutturato in Libia. Un terrorista di vecchio stampo, leader del Gruppo Combattente islamico libico, fondato nel 1990 dai mujaheddin libici che avevano combattuto in Afghanistan, notoriamente molto legato ai clan libici vicini ai militanti di Al Qaeda, da tempo presenti fra le alture della Cirenaica ed in stretto collegamento con le cellule operative in Maghreb. Una vicinanza ad Al Qaeda confermata da tempo da fonti molto vicine all’intelligence israeliana che poco dopo l’inizio dell’intervento militare NATO contro Gheddafi, hanno iniziato a riferire un incremento sempre in crescita della fornitura di armi ai palestinesi di Gaza; SA-7 ed RPG che arrivano proprio dalla Libia per opera di simpatizzanti di Al Qaeda. La guerra in Libia è finita come hanno deciso molti dei media e dei Governi occidentali, ma a Tripoli ed a Sirte si continua a sparare e Gheddafi ancora non è stato catturato. Gli stessi ribelli libici paventano colpi di coda del Rais che potrebbe ricorrere proprio ad atti terroristici anche utilizzando il potenziale di armi chimiche di cui il regime disponeva e che, probabilmente, sono nascosti in depositi vicini al confine con il TChiad. L’indeterminatezza è molta e sicuramente non aiuta a stabilizzare il Paese almeno fino a quando Gheddafi non sarà catturato, nonostante che l’ONU continui a portare avanti iniziative di “esportazione della democrazia” che irrimediabilmente saranno destinate ancora una volta a fallire. Notizie di stampa, infatti, riportano oggi che le Nazioni Unite abbiano già dato mandato a Ian Martin, ex direttore britannico di Ammesty International, di redigere un documento in cui sia indicata la “Road Map” che Tripoli dovrà seguire per raggiungere la democrazia. I berberi che hanno liberato Tripoli, peraltro guidati da un ex di Al Qaeda catturato in Afghanistan e prigioniero fino al 2004 a Guantanamo, sicuramente non saranno disposti ad accettare modelli di democrazia lontani dalla cultura islamica, una realtà che l’Occidente ancora non ha compreso o non vuol intendere a totale danno della sicurezza internazionale.