Le perdute occasioni di vita

Le perdute occasioni di vita

 

Di Vincenzo Calafiore

27 Marzo 2024 Udine

Vorrei dirti adesso: “ sono stufo di questa vita grigia e polverosa “, tu ne sono certo mi diresti che contrariamente la vita non è come io la vedo, è bella!

Se te lo dicessi ne sono certo tu vorresti sapere, conoscere il perché, le motivazioni che mi fanno pensare ciò,e non finiremmo mai di discuterne.

 

Come farti capire che viviamo come dentro un allevamento intensivo di polli, chiusi dentro delle grandi gabbie e camminiamo per strade piene di pattume.

Il pattume delle violenze di ogni genere, dell’amoralità, della corruzione di ogni genere, della guerra.

Tu hai ragione, ma io mi porto dietro “settantanni”  di ferocia e ora mi trovo davanti, massiccia e genuflessa, la mia anima e l’inizio di una marea di ricordi.

 

Con la malinconia di un sorriso, non sorvolo sui fatti, bensì ne spremo gli umori più segreti, conto con sfolgorante attenzione le memorie attraverso una simultaneità di emozioni che riaccendono un fervore di pensieri. E nel frattempo costeggio lo sviluppo di un motivo o l’interrelazione tra un motivo e l’altro, tra una scena di vita più personale e quella che appartiene a un contesto anche se qua e là suona ricalcato su una cartolina comune.

 

Ricordo la mia vita dei vicoli e delle case cadenti e del buio bagnato rischiarato dai versi di gabbiani che cantano andandosene via; del porto con la sua maestosa decadenza, del labirinto di vicoli e strade di una città che si sveglia al contrario, lontana dal magma mondano incorporoso, illuminata dalla presenza di Atena, alata e potente dea.

Le città sono luoghi desolati ove gli uomini conducono un’esistenza costruita sulla paura di un futuro impossibile, immaginario.

 

Immerso nella sua recita infinita, l’io sa che occorre il calore umano quando i fallimenti si sono stratificati e la vita appare un acquario che non viene pulito da sempre, mentre il vento interrompe la pigrizia degli alberi. Vivo in una atmosfera lenta e sospesa, in cui provo con un sorriso carico del già visto, l’autocompiacimento di stare  come nascosto e fare i conti con i fantasmi, con cose scolorite e perdite irrimediabili in una realtà concreta e stravolta e in incessante trasformazione, figure leggere, quasi incorporee e senza traccia ma che spesso sono più vere della stessa mia condizione mentale che le ha generate.

 

Vedo passare strane figure che giocando d’anticipo sull’età indossano camicette spente sopra seni tentatori, e occhi che leggono i soffitti come pellicole su cui è rimasto impresso tutto ciò che è accaduto nel tempo; sono gli apartados come me, i narratori di una storia picaresca e lo facciamo con uno stile serrato che alterna l’ironia a momenti pensosi, circumnavigando l’eterno conflitto tra le aspirazioni e i sogni e la realtà umana: appartati come in fondo siamo tutti noi, esilisenza nemmeno l’alibi di una nave incagliata fuori dal mondo.