Alla ricerca dei sogni perduti

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Una epistola indirizzata al mondo onirico delle nuove generazioni per interrogare l’oracolo nel tempio della imperante religione pluto-tecnocratica: il transumanesimo e l’intelligenza sviluppata con i più avanzati sistemi cibernetici.

Quale eredità che i padri consegnano ai figli?

Quali i sogni dentro un’esperienza che si allontana dalla natura?

Si prefigura il folle sogno accarezzato dalle ideologie totalitarie del Novecento: la nuova razza eletta plutocratica che domina l’umanità attraverso la tecnocrazia e il controllo di ogni spazio fisico e psichico della nostra esistenza.

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

(Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo, 1946).

 

Quo vadis humanitas… iterum crucifigi?

Fare domande richiede uno sforzo mentale, emotivo, intellettuale, spirituale che non è semplice rintracciarlo in questi tempi molto inquieti e tormentati. Ma ci provo attraverso questa nuova epistola che ormai fa parte della tradizione, inaugurata nel 2009.

Tra Natale e l’Epifania attraversiamo un tempo che ci trasporta verso la nuova luce, carico quindi di elementi astrali, simbolici e spirituali, capaci di attivare dei processi interiori che possono avere un riflesso ad ampio spettro e proiettarci in una dimensione di relazione con il mistero che avvolge il creato e l’esistenza umana. Ma prima di incamminarmi in questo enigmatico viaggio, mi tocca fare una premessa, mondana e filosofica, citando Pitagora (riportata da Cicerone nel testo Discussioni di Tuscolo):

“A mio parere la vita umana è simile a una di quelle fiere che si tengono con grande apparato di giochi e sono frequentate da tutta la Grecia. Lì, infatti, alcuni cercano la gloria e la fama di un premio nelle gare sportive, altri sono attirati dal guadagno trafficando a comprare o a vendere, e c’è poi una categoria di persone, ed è la più nobile, che non cercano né l’applauso né il guadagno, ma ci vanno come spettatori e osservano attentamente quel che avviene e come avviene. Lo stesso è la vita umana: noi siam partiti per questa vita da un’latra vita e da un’latra natura, come da una città verso un mercato affollato, alcuni schiavi della gloria, altri del danaro; e vi sono certe persone rare che trascurano completamento tutto il resto e studiano attentamente la natura. Questi si chiamano amanti della sapienza, cioè filosofi, e come nella fiera l’atteggiamento più nobile è fare da spettatore disinteressato, così nella vita lo studio e la conoscenza della natura sono di gran lunga superiori a tutte le attività…”

Solo una umile osservazione sull’affermazione che chiude la riflessione di Pitagora, perché se non ci fossero stati i contadini a far fruttare Madre Terra forse non potevano nascere i filosofi che osservano e studiano la natura umana e il mercato.

Dopo questa premessa provo ad indirizzare la mia epistola alle generazioni future, partendo da una domanda: Che destino avranno i loro sogni?

L’arte di interrogare è quella più difficile, come ci mette in guardia J.J. Rousseau:

“L’arte di interrogare non è facile come si pensa. È già arte da maestri che da discepoli: bisogna avere già imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa” (Rousseau, Giulia o la nuova Elosia, 1761). Anche Oscar Wilde affermava che a dare risposte sono tutti bravi, ma per fare una domanda che sia degna è necessario un genio. Così, su questa via, si interroga anche un autore dei nostri tempi, come Ivano Dionigi: “A fronte di una doxa rumorosa, nella chiacchera imperante e di una vera e propria anoressia del pensiero, urge imboccare la strada del rigore, abbassare il volume e dare il nome alle cose: illusi e urticati da troppe risposte e da troppo poche domande, dai troppi perché causali e troppo pochi perché interrogativi. L’ars interrogandi è più rara e più difficile dell’ars rispondendi, ma più risolutiva”. (I. Dionigi, Il presente non basta, 2016).

Sicuramente ho imparato alcune cose, ma poche per poter domandare ciò che non so. In questo caso, di fronte alla domanda iniziale, provo a rispondere, con la speranza che nel corso della risposta possa trovare la domanda con cui dovrò interrogare l’oracolo, come facevano anticamente i sacerdoti. E sì, perché ci vorrebbe l’onniscienza di una divinità per poter comprendere dove siano andati a finire i sogni.

Einstein affermava che “un uomo è vecchio solo quando i rimpianti, in lui, superano i sogni”. In gioventù si hanno soltanto sogni. Ma in questa nuova storia i giovani sogneranno in modo nuovo e diverso rispetto alle passate generazioni? Per esempio essere famosi, cercare la gloria, diventare una star, incarnare il personaggio di successo?…

Appunto, sentirsi al centro della scena mediatica e corrispondere all’immagine modello, secondo i canoni confezionati e propagandati dal marketing mediatico per esibire la propria aura da divo o diva, attraverso i riflettori dei social media. Eppure c’è un controcanto rispetto a questi “sogni” costruiti dal potere mediatico. Lo spiega Vasilij Grossman:

“Il dono supremo dell’umanità è il dono della bellezza spirituale, della nobiltà d’animo, della magnanimità e del coraggio del singolo in nome del bene. E’ il dono dei cavalieri e fanti timidi e senza nome che con le loro imprese fanno sì che l’uomo non si trasformi in bestia.” (Il bene sia con voi! Appunti di viaggio, 1962-1963).

Anche Pier Paolo Pasolini assume una posizione eretica: “Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù.” (Dialoghi con Pasolini, in Vie Nuove, 1961).

E poi la profonda risonanza del pensiero di una donna maestra, Rosaria Gasparro, che nel 2014 fa una radiografia dentro e dietro tutta la retorica del successo illuminando la coscienza etica:

“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.” (Il testo è erroneamente attribuito in rete a Pier Paolo Pasolini)

L’impressione è che i sogni autentici, quelli puliti, onesti, non inquinati, chiari e trasparenti siano stati risucchiati nel mondo oscuro della rete dei social e le nuove generazioni non guardino più al futuro con occhi sognanti o disincantati. Ma è una mia ipotesi, osservando i giovani in questo nuovo mercato digitale, che non è tanto cambiato da quello descritto da Pitagora, che evidentemente ha avuto il dono della lungimiranza.

Ritengo che in generale i giovani fatichino a vivere relazioni profonde e capaci di resistere alle intemperie e si ritrovino ad abitare un mondo inconsistente, effimero, narcotico, bruciando tempo, emozioni, sentimenti, passioni, desideri. A predominare è sicuramente l’ambizione ad essere sempre sulla scena, apparire, indossare una maschera e presentare il proprio avatar vincente.

La vita sempre più digitale, virtuale, social, allontana dal contatto con il meraviglioso linguaggio della natura e conduce nell’oscuro e incontrollabile mondo artificiale, capace di annientare qualsiasi sensazione, annichilendo l’anima, la mente, il corpo, lo spirito e pietrificando lo sguardo. Questo il mondo che si sta prospettando. Non più un rapporto fisico, emotivo, istintivo, immediato; non più sacrifici per raggiungere un traguardo; non più i calli per zappare la terra e respirare gli aliti del vento che accarezza il viso e ti lascia delle sensazioni che ispirano il linguaggio arcano e sacro di un’entità mistica e misteriosa; non più la santa pazienza per osservare lo spirito che fa germogliare i semi della vita e rivelarti il senso profondo della parola cultura: ma tutto viene piantato nelle piattaforme, stando comodi, con una velocità che non lascia spazio alla decantazione dei pensieri e che non è il tempo lento e fiorente della natura. La conseguenza è che si generano pensieri compulsivi, nervosi, ansiosi dentro questi nuovi labirinti, con una serie di disturbi nevrotici e psicotici.

Questa è l’eredità consegnata dai padri ai loro figli: non più la luce della civiltà, ma il buio della viltà, senza la “C” di cultura o cuore, senza la “I” di intelligenza, di intuizione, di identità, di immaginazione, di ispirazione.

Come possono pascolare i sogni tra bit e QR code (codice a barre a risposta rapida), tra spazi e campi che non hanno più niente di naturale, di fisico, di tattile, di originale se non una tastiera e uno schermo? Dove scoprono un linguaggio capace di generare bellezza, creatività, memorie, profumi, colori, odori e fragranze come quelle che diffonde il pane appena sfornato? Con quali strumenti possono captare messaggi arcani, carichi di echi, di ebrezze, di passioni, di vibrazioni, come quello che ci dona il creato con le sue creature?

I social media con tutte le forme piatte delle piattaforme recidono il rapporto con la biografia e l’evoluzione millenaria che ogni essere umano si porta dentro il proprio DNA; e si sradica l’albero della vita e dei sogni. Tutto viene guidato da anonimi impulsi elettronici generati da deus cibernetici che porteranno l’umanità verso la totale disumanizzazione, eccitando il delirio di onnipotenza degli imperatori che dominano in modo tecnocratico e totalitario gli utenti-consumatori, ridotti a prodotti ogm.

Questo è l’incubo che si sta prospettando. Già la maggior parte delle nuove generazioni ne è dentro, perché non ha avuto la fortuna di vivere l’esperienza del mondo contadino, a contatto con la natura per sperimentare il sentimento del sacro che stilla un fiore, o il canto degli uccelli, o una zolla di terra dove è contenuta la vera sapienza, dove si mostra il costante miracolo della vita, dove è depositato l’humus che ha fatto “nascere, e crescere e ardere di inconsapevolezza” (Ungaretti, I fiumi) la spensierata fanciullezza di tanti di noi nati in un’altra era, prima che imperasse la mutazione antropologica denunciata da Pier Paolo Pasolini (a cavallo tra la fine anni Sessanta e Settanta con l’avvento della televisione).  Adesso quella mutazione sta trasmutando verso il transumano. Questa società si avvia verso la perdita di quella millenaria memoria con la nascita di una identità unica, con la totale omologazione ai sistemi tecnocratici predisposti dai nuovi deus machina che sognano la distruzione di ogni sogno. Lo rivela l’intuizione dell’antropologo Ernesto De Martino, “… alla base della vita culturale del nostro tempo sta l’esigenza di ricordare una patria e di mediare, attraverso la concretezza di questa esperienza, il proprio rapporto col mondo. Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale.” (L’etnologo e il poeta, 1959).

I giorni che ci preparano alla rinascita: dal Solstizio all’Epifania

Nel 1939, subito dopo che la Francia aveva dichiarato guerra alla Germania, Albert Camus scrisse: “Dobbiamo riparare ciò che è stato lacerato, rendere la giustizia immaginabile in un mondo così palesemente ingiusto, ridare un senso alla felicità di popoli avvelenati dalla miseria di questo secolo. Certo, è un compito sovrumano. Ma sovrumano è il termine per i compiti che chiedono molto tempo per essere portati a termine”. E’ la condizione esistenziale che stiamo sperimentando.

In questi giorni, che preludono alla nascita della nuova luce, che segnano il passaggio dal vecchio anno al nuovo, con una infinità di auguri elettronici, tanti in modo inconsapevole si avviamo alla perdita delle radici e alla morte della passione e dell’umano. Le guerre che stanno massacrando tanti esseri innocenti, in particolare bambini, come agnelli portati al macello (non fa scandalo ciò che sta succedendo nella Striscia di Gaza), è passato il messaggio che in questo ecumene disumanizzato ci siano poteri che hanno la libertà di sentirsi al di sopra di ogni legge e con una speciale licenza, in quanto si ritengono superiori ed hanno il lasciapassare di poter trucidare in modo indiscriminato delle creature inermi. E guai a definire tutto questo massacro o genocidio, perché certe parole sono di esclusiva proprietà di chi ha deciso che la verità sia solo da una parte e nessuno la può mettere in discussione, perché sarai identificato come il nemico della civiltà, della democrazia, del bene… Quante falsità, quante menzogne, quante mistificazioni, quanta propaganda sulla scena mediatica. E questa demagogia è stata costruita attraverso l’inquinamento delle parole, l’espropriazione del loro significato: come se alcuni termini siano stati brevettati e nessuno si può arrogare il diritto di utilizzarne la proprietà.

Con quali parole, ad esempio, definire lo sterminio degli indiani d’America? Il più grande genocidio che sia mai stato perpetrato dalla cristiana e civile Europa (si calcolano 80 milioni di nativi, tra sterminio diretto e indiretto, come rileva Cvetan Todorov ne “La conquista dell’America”, 1982). Ma non è “politicamente corretto” usare questa parola. I nostri supremi maestri ci hanno dettato il lessico con cui dobbiamo esprimere pensieri, idee, desideri, emozioni, sentimenti. Tutto deve far parte dei protocolli e dei decreti emanati dalla suprema divinità. E ne abbiamo visto di tutti i colori in questo frangente storico con una emergenza creata in laboratorio per depredarci dei cosiddetti diritti inviolabili e intangibili, sanciti nella Costituzione, con tanto di coro assordante e ipnotico mediatico che ha generato menzogne mai viste sotto il sole della storia, spacciandole come scienza con tanto di sacerdoti e adepti portatori del verbo divino. Così hanno imposto i nuovi dogmi, hanno istituito la nuova Santa Inquisizione, hanno schedato gli eretici, hanno creato le nuove riserve, hanno messo all’indice i libri e i roghi hanno arrostito i capri espiatori, con un nuovo massacro, non più virtuale ma reale, quello delle relazioni umane e della salute mentale e fisica, oltre che quella spirituale. E questa spazzatura continua indisturbata ad inondare il mondo  mass-mediatico completamente narcotizzato e asservito ai vecchi e nuovi dominatori, con l’esercito dei mercenari a compiere un’altro eccidio: la distruzione di ogni fiducia, di ogni credibilità nei mezzi di informazione e nelle istituzioni. E l’etere è stato infestato di veleni come se fosse tutto ormai possibile, perché l’assurdo è diventato veirità.

Basta solo alzare gli occhi e guardare l’orizzonte per scoprire lo scenario.  Solo chi non ha il coraggio di guardare, chi ha paura e non osa alzare lo sguardo; chi si è reso complice ed evita di guardarsi in faccia; e ci sono coloro che si sentiranno “incolpevolmente colpevoli”, come il caso di Claude Eatherly, il pilota che si è pentito dopo aver sganciato la bomba atomi ca su Hiroshima: “… il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare – questo fatto ha trasfromato la situazione morale di tutti noi. la tecnica ha fatto sì che si possa diventare ‘incolpevolmente colpevoli’, in un modo che era ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri… E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. poiché tutti noi dobbiamo vivere in quest’epoca, in cui potremmo incorrere in una colpa del genere: come Lei non ha scelto la sua triste funziione, così anche noi non abbiamo scelto quest’epoca infausta” ( Günther Anders, Lettera a Claude Eatherly – 3 giugno 1959).

L’attuale potere ha il controllo di ogni settore dell’economia e dell’informazione, mettendo insieme industrie alimentari, con quelle belliche, farmaceutiche e cibernetiche. Le oligarchie non hanno più nessuna remora di mostrarsi per quello che sono, perché hanno potuto sperimentare, grazie ad un piano di complicità ai massimi livelli istituzionali, che questa società ormai svuotata e alienata, può essere plasmata e manipolata con grande docilità. Per possono agire con grande libertà a compiere crimini contro l’umanità; e vittime predestinate sono soprattutto le nuove generazioni e i loro sogni.

La visione distopica di Huxley ha il dono della profezia:

“Il governo dei manganelli e dei plotoni di esecuzione, della carestia artificiale, dell’imprigionamento in massa e della deportazione di massa, non solo è inumano (nessuno se ne preoccupa più di tanto ai giorni nostri), ma è palesemente inefficiente, e in un’epoca di tecnologia avanzata l’inefficienza è un peccato mortale. Uno Stato totalitario davvero efficiente sarebbe quello in cui l’onnipotente potere esecutivo dei capi politici e il loro corpo manageriale controllano una popolazione di schiavi che non devono essere costretti ad esserlo con la forza perché amano la loro schiavitù.“ (Aldous Huxley, Il mondo nuovo, 1932) come aveva già spiegato Sigmund Freud, circa dieci anni prima:

“La massa è un gregge docile che non può vivere senza un padrone. È talmente assetata di obbedienza da sottomettersi istintivamente a chiunque se ne proclami padrone. La massa è impulsiva, mutevole e irritabile. È governata quasi per intero dall’inconscio. A seconda delle circostanze gli impulsi cui la massa obbedisce possono essere nobili o crudeli, eroici o pusillamini; essi sono però comunque imperiosi al punto da non lasciar sussistere l’interesse personale, neanche quello dell’autoconservazione”  .” (S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io”, 1921)

Con quali radici e con quali ali si nutrono e volano i sogni nei labirinti artificiali? Con quelle di Icaro?

Icaro

La sperimentazione è già stata attuata con l’emergenza sanitaria: la pandemia è stato il laboratorio per testare i loro esperimenti, per capire fin dove si potessero spingere. E la vera cultura – fatta di libertà, di humanitas, di pietas e di bellezza etica ed estetica, frutto di esperienze e sacrifici vissuti da tante generazioni nei millenni – verrà sostituita dai surrogati. Già da oltre un secolo e mezzo impera l’era dell’egoismo, della mercificazione, del materialismo e del nichilismo. E l’homo sapiens scomparirà dalla faccia della terra, per cedere il passo al trans-umano, all’ogm, all’algoritmo, al pupazzo, come aveva prefigurato Pirandello.

Le colonne d’Ercole sono state oltrepassate e non possiamo più controllare chi ci tiene sotto controllo. Le istituzioni e le nazioni vengono gestiti secondo i desiderata dei poteri imperialistici delle oligarchie plutocratiche, in quanto i rappresentanti politici e istituzionali non sono altro che pedine nelle loro mani: cambiano soltanto colore e maschera, ma devono recitare la parte nel copione scritto da questi occulti registi. Come altrimenti spiegare che la BCE decida il destino dell’UE? La banca centrale è stata voluta dallo Spirito Santo o dagli imperi finanziari che hanno in mano la sorte degli Stati? Come mai dei privati che mirano al profitto, al lucro, si siano impossessati delle istituzioni europee e mondiali attraverso il giogo del debito? Quando qualcuno ha tentato di ribellarsi è stato eliminato. E’ il caso di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, assassinato il 15 ottobre 1987 dal suo vice Blaise Compaoré dopo un colpo di stato pilotato da Usa, Francia e Regno Unito. Si badi bene, le nazioni che hanno la presunzione di voler civilizzare il mondo colonizzandolo ed esportando la democrazia con guerre, golpe e strategia della tensione (in Cile era già stato sperimentato un altro 11 settembre, quello del 1973, con il golpe e l’assassinio del presidente Salvator Allende, e l’instaurazione della dittatura di Pinochet).

Ai posteri l’ardua sentenza. Ma la sentenza è già stata scritta qualche millennio fa quando un certo Seneca ha decretato che “il popolo gode nell’affidare il potere al turpe” (tradere turpi fasces populus/ gaudet (Fedra); o quando Platone ha concepito il mito della Caverna. Ma a comprendere fino in fondo l’attuale potere che ha modellato la società ci sono due miti che sono illuminanti: quello del Labirinto, del Minotauro e quello di Perseo e della Medusa. Il nuovo labirinto è il WWW, la “ragnatela estesa in tutto il globo dei bonobo”, i nostri antenati scimpanzé, alle prese con una moltitudine di Minotauri. L’unico modo per uscire è avere a disposizione l’eroe greco Teseo e poi il filo d’amore di Arianna. Per salvarsi invece dalla Medusa, che pietrifica con lo sguardo (la televisione, il mondo virtuale e i social media), è avere lo scudo di Perseo e tagliare la testa al mostro che si nasconde dentro di noi.

Si tratta, lo so, di una visione distopica, ben lontana dall’immaginare utopie e sogni. Ma è vero o no che per il dio danaro vengono massacrati milioni di esseri umani? E chi produce le armi lo fa per il bene dell’umanità? E la tecnologia ha migliorato la società o sono migliorate le finanze e il potere dei plutocrati?… Le domande sono molteplici, ma basta usare la logica perché “Il sonno della ragione genera mostri” (Francisco Goya, 1797):

“Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa, o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero… (Pier Paolo Pasolini, 14 novembre 1974. “Il romanzo delle stragi”. Sul Corriere della Sera “Che cos’è questo golpe? Io so”).

Questo quadro era già stato prefigurato non solo dai miti (una misteriosa creazione poetica, profetica e maieutica che parla la lingua del passato remoto, del presente e del futuro) ma in tempi più recenti da don Lorenzo Milani nella straordinaria “Lettera ai giudici”, dal filosofo Gunther Anders prima con “L’uomo è antiquato” (1956) e poi, soprattutto, con “Noi figli di Eichmann” (1964). Un passaggio è assolutamente illuminante:

“L’ingenua speranza ottimistica del XIX secolo, quella secondo cui la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la chiarezza dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in tale speranza, non solo è un semplice relitto dell’altroieri, ma è anche una vittima degli attuali gruppi di potere; cioè vittima di quegli oscuri uomini dell’era della tecnica che hanno tutto l’interesse a mantenerci all’oscuro sulla realtà dell’oscuramento del nostro mondo, producendo ininterrottamente quest’oscurità. Infatti consiste in questo l’ingegnosa manovra d’inganno che viene attuato oggi nei confronti degli esautorati. La differenza tra i metodi d’inganno che ci sono già noti e quelli attuali è evidente. Mentre prima la tattica consisteva ovviamente nell’escludere gli esautorati da qualsiasi possibilità di informazione, oggi invece essa consiste nel persuadere coloro che non vedono di non vedere, che li si è informati. ”. (Gunther Anders, Noi figli di Eichmann, 1964).

Ed infine l’auspico per il nuovo anno “… per non diventare servi e schiavi delle macchine che noi stessi abbiamo inventato. E perché un mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri né ideali, né disobbedienza, un mondo di automi privati di ciò che rende umano un essere umano: la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in altro, in altri, modellati dall’argilla dei nostri sogni.” (M. Vargas Llosa, Elogio della lettura e della finzione).

Non dimenticando che “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” (Italo Calvino, Le città invisibili, 1972).

Per chiudere questo cerchio concentrico nel tentativo di ritrovare i sogni perduti – ma senza alcuna interpretazione psicoanalitica – ci affidiamo all’utopia concepita da Shakespeare nel suo testamento spirituale: “Noi siamo della stessa materia di cui sono fatti i sogni” (W. Shakespeare, La tempesta, 1610-1611)