Dalle pagine di un Portolano

donna

Dalle pagine di un Portolano

 

Di Vincenzo Calafiore

31 Ottobre 2023 Udine

 

 

“ Se vuoi io ritorno, voglio tornare da te

stanco di rincorrerti, come una barca

stanca di mare. Torno perché voglio amarti

per il tempo che mi rimane ….. e poi solo ricordi. “

 

La mia “ noche cubana” è finita all’alba, rotolando sulla sabbia dei ricordi che come mare bastardo rinverdiscono nel dolore dell’assenza.

Navigo verso la mia terra in una foschia colore anice, il mare si riempie di ali bianche che disegnano il cielo sopra la crocetta.

Succede al largo di Valona in una notte di stelle; il vento gira e porta odori della mia terra secchi e roventi, gli stessi degli altopiani africani e di un mondo pastorale che piomba addosso nella fuligginosa notte.

Dopo una notte così cubana non sono più lo stesso, le mie idee sulla distanza che mi separano da lei cambiano, improvvisamente mi sento addosso il peso dei miei anni, gli anni persi, la vita mancata.

Non sono più nessuno se lei  non viene a trovarmi nei sogni.

Sono una delle anime che sono passate per questo mare, vite perdute nello spumeggiare di un mare bastardo.

Lentamente la lentezza mi possiede, m’invade un immenso taciturno e incomunicabile desiderio di rivederla dopo tanti anni di solitudine.

A babordo la sua ombra, enorme, nera come la pece segna come il purgatorio il tratto di mare più tempestoso della mia vita, quando incontrandola rimasero i suoi segni che mi lasciò addosso.

A babordo lato di terraferma, gli ultimi sprazzi di intima felicità si confondono con i profili del Paese delle Aquile, si allungano macerate distanze sofferte rovine.

Le rovine appartate di Brutinto, la nuova Troia, il posto che Eleno figlio di Priamo ribattezzò con gli stessi nomi della patria perduta.

Lei,  non è mai andata via dal cuore, è rimasta col suo sorriso e con i suoi occhi da falco, con la sua primavera addosso, quando le consegnai a fior di labbra quel mio ti amo; io in quel tempo venivo da un passato, ferito e mendico di sola felicità, mai trovata.

Arriva improvvisa bonaccia, un gran silenzio scende sul mare … una sublime assenza di vento, è come restare fermi immobili davanti a un porto senza poter entrare; non è un arresa, non mi sono mai arreso all’idea di averla perduta.

Pensandola e immaginandola è come approdare a una riva selvaggia; chissà com’è, se ricorda, se ama ancora, se mi odia.

Sbarco e cambia tutto, cicale e fichi, lenzuola al vento, profumo di donna, tutto di lei si pregna l’intorno in cui mi perdo.

Benedetta Grecia, culla del pensiero occidentale.

Per ritrovarla ci vuole tempo, io non ho più tempo consumato da un male scuro, albeggio come un gabbiano su una riva d’attesa, sperando di vederla da un momento all’altro spuntare da quell’orizzonte che più volte ha tradito il mare di mezzo con inganno e voracità.

Come tutto accade velocemente, così tutto rapidamente brucia distruggendo la mediazione tra anima e cuore ove i pensieri dilagano, la poesia è perduta.

Immagino.

Sulla sua terrazza di sera, lei, versare un bicchiere d’acqua e “ ouzo”, e sorridere mentre mi dice: avevo sperato bere e filosofeggiare con te, in tramonti come questi!

E’ un miraggio del mio mare bastardo.

Con la mente ritorno a casa, dal mio sargasso penso che non farò più in tempo, lei è molto lontana da me.

E’ un sogno ricorrente il suo volto nella luce rossastra di uno dei tanti tramonti a cui in silenzio assistendo siamo stati accarezzati e abbracciati dall’incanto venuto pro tempora … ora sono scolpiti nel cuore.

Vado a ridurre le vele, sparisco verso il fiocco, la notte m’inghiotte taciturna e possente. Il cielo stellato ondeggia lento sopra la crocetta d’albero: inizia il viaggio di ritorno come Ulisse verso la mia Itaca.