Il suono e la sua essenza. A colloquio con Alessandro Palmerini

Il Tecnico del suono è vincitore del David di Donatello e del Nastro d’Argento 2023 per il Miglior Suono con il film Le otto montagne

di Nicola F. Pomponio

TORINO – Incontro Alessandro Palmerini durante una piovosa serata di fine giugno in un locale torinese. E’ nella città subalpina per lavorare alla realizzazione della seconda stagione della serie televisiva dedicata a Lidia Poet. Palmerini è un giovane che, nonostante i due David di Donatello, i due Nastri d’Argento, i Ciak d’oro vinti per il suo lavoro sugli aspetti sonori dei film, mantiene intatti forti dosi comunicative e di simpatia trasmessi da un’affabilità, disponibilità, giovialità cui, forse, non è estraneo l’atletico e asciutto fisico su un volto aperto e incorniciato dalla barba.

Alessandro Palmerini, David di Donatello 2023

Quando è iniziato il tuo rapporto col mondo del cinema e, in particolare, con i suoi aspetti sonori?

E’ successo tutto in modo abbastanza casuale. Si era inaugurata a L’Aquila, la mia città natale, l’Accademia Internazionale per le Arti e le Scienze dell’Immagine a cui feci domanda di iscrizione, invece di studiare ingegneria come pensavo in un primo momento. Venni preso e così sviluppai un approccio più fotografico che sonoro al cinema. Qui ebbi modo di formarmi con docenti di altissimo livello come Vittorio Storaro, vincitore di tre Oscar per la fotografia e Luciano Tovoli.

E il sonoro?

Anche qui il caso giocò un ruolo centrale; poiché mancava qualcuno che seguisse questo aspetto, iniziai ad occuparmene, interessandomene sempre di più, diventando la mia specializzazione e diplomandomi su questo argomento. Grazie alla collaborazione sul set de “L’orizzonte degli eventi” di Daniele Vicari, ho collaborato con professionisti pluripremiati come Remo Ugolinelli e, successivamente, con Alessandro Zanon diventando, in seguito, docente proprio all’Accademia.

 

Qual è il tuo compito e il rapporto con la regia?

Io effettuo registrazioni in presa diretta e il confronto col regista è costante, ineliminabile, arricchente: solo il regista, come un bravo direttore d’orchestra, può e deve calibrare i vari aspetti del film dando i giusti spazi ad ogni elemento. Il film è frutto di una équipe e la regia è l’elemento unificante.

Tu hai vinto un David, un Nastro d’argento, e un Ciak d’oro nel 2013 per il film di Daniele Vicari “Diaz”. Quest’anno hai vinto un altro David e un altro Nastro d’Argento per “Le otto montagne” di Van Groeningen e Vandermeersch, un film che incontra un tuo interesse molto vivo: la montagna.

Sì, è vero. Sono un appassionato alpinista; ho scalato vette nei miei Appennini, nelle Alpi, nelle Dolomiti e in Nepal (Himalaya) e Pakistan (Karakorum). Adoro la montagna, vi sono nato e appena posso vi ritorno. Questa passione ha senz’altro influito ed è confluita nel lavoro svolto per “Le otto montagne”. Qui infatti i personaggi principali sono tre: Pietro, Bruno e la montagna e la sfida era proprio quella di far emergere il terzo. Per far questo c’è stata una scelta registica decisiva che si è rivelata difficile ma vincente: non costruire gli ambienti ma recarsi negli ambienti e girare nelle reali situazioni montane. Ad esempio la scena della cena con la polenta nella barma, è stata girata proprio nella barma a 2400 m. d’altezza mentre nevicava realmente; non è stato approntato un set in un ambiente estraneo alla montagna, ma si è data voce alla montagna stessa. In tal modo nulla è stato ricostruito ma tutto è una realtà documentaria nei tre diversi luoghi dove si svolge la storia: Torino, la Val d’Aosta, il Nepal. Ovviamente ciò ha comportato problemi tecnici notevoli. Qui diventa fondamentale quel rapporto continuo con la regia cominciato ben prima dell’inizio delle riprese con contatti, anche via skype, dove abbiamo ragionato e definito il tipo di costruzione sonora necessario per il film.

Nastri d’Argento 2023: A.Palmerini, A.Borghi, L.Marinelli con Francesca Fialdini

Che conseguenze ci sono state per il tuo lavoro?

La decisione per cui tutto doveva essere reale e non costruito ha comportato che i suoni della montagna venissero registrati dal vero, quindi il mio lavoro non è stato solo la registrazione sul set ma anche la raccolta di ambienti, suoni, effetti caratteristici del luogo dove si girava e quindi utili e necessari alla costruzione del suono del film. Per questo motivo ho raccolto il più possibile materiale emotivo e sonoro anche scendendo a piedi dalle montagne quando giravamo o utilizzando i fine settimana. Mi è venuto così in aiuto l’allenamento fisico che ho maturato nel tempo con l’alpinismo e che mi ha permesso di utilizzare il tipo di strumentazione necessaria, sempre di notevole peso e ingombro, non rinunciando però alla qualità di quanto volevo realizzare. Questo lavoro l’ho effettuato durante tutte le stagioni dell’anno, proprio per far risaltare i tempi diversi della montagna, i suoi silenzi, le sue attese, la sua forza.

La ripresa del suono in alta montagna

E i silenzi?

Vedi, il silenzio non è assenza di suono, bensì, “essenza” di suono. Questo significa che nelle varie scene si partiva da una costruzione ampia dei suoni per poi asciugarla facendo emergere ciò che era essenziale: è un processo di purificazione successiva che evidenzia quanto è funzionale. Allora per far “sentire il silenzio” si è lasciato parlare la montagna con il suo vento e i versi dei suoi animali in tal modo è emerso l’ambiente creando momenti dal forte valore emozionale.

Le riprese in Nepal

Progetti per il futuro?

Per il momento ho questo impegno per la serie su Lidia Poet che mi permette di lavorare a Torino, una città che mi piace molto, con le Alpi vicinissime e dove torno sempre volentieri mentre per il futuro…si vedrà.  

La chiacchierata volge ormai al termine ma l’entusiasmo e la serietà di Alessandro sono molto coinvolgenti e ricordano la bella emozione che si prova quando su un sentiero di montagna o in mezzo a un bosco, all’improvviso, cessano i rumori della civiltà e si annuncia, con suoni sconosciuti, a volte imprevedibili, ciò che pretendiamo di dominare: la natura. Qui sotto, in nota, una breve biografia professionale di Alessandro Palmerini.

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Alessandro Palmerini è nato a L’Aquila il 18 febbraio 1977. Nella città capoluogo d’Abruzzo si è formato presso l’Accademia internazionale per le Arti e le Scienze dell’Immagine, concludendo nel 2002 il ciclo quinquennale di studi con una tesi sul Suono nel cinema. Nella stessa Accademia dal 2006 ha poi svolto per tre anni un incarico di docenza. Vive a Roma, lavora in Italia e all’estero come Tecnico del suono nel cinema e, talvolta, in fiction tv.

Nel 2023 ha vinto il David di Donatello per il Miglior Suono con il film Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, e con lo stesso film anche il Nastro d’Argento. Nel 2013 aveva vinto, insieme a Remo Ugolinelli, il suo primo David di Donatello per il Miglior suono in presa diretta con il film Diaz di Daniele Vicari. Con lo stesso film nel 2012 era stato premiato con il Ciak d’oro e il Nastro d’Argento. Nel 2008 aveva vinto il suo primo Ciak d’oro con il film La ragazza del lago di Andrea Molaioli e nello stesso anno era stato tributato il Premio AITS per il film Tv Maria Montessori di Gianluca Tavarelli.

Molte le candidature per il Miglior Suono che Alessandro Palmerini ha collezionato negli anni, quali quelle per i film Capri Revolution e Qui rido io di Mario Martone, La Tenerezza di Gianni Amelio, Sole cuore amore di Daniele Vicari, Io e te di Bernardo Bertolucci, L’ultima ruota del carro di Giovanni Veronesi, La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, La prima neve e Io sono Li di Andrea Segre, L’aria salata di Alessandro Angelini, Aldo Moro il presidente e Maria Montessori di Gianluca Tavarelli.

https://www.imdb.com/name/nm2357015/awards/?ref_=nm_awd

Ha lavorato, oltre ai già menzionati, con importanti registi tra i quali per brevità si citano Nanni Moretti, Francesca Archibugi, Terry Gilliam, Francesca Comencini, Carlo Vanzina, Ricky Tognazzi, Giuseppe Piccioni, Kim Rossi Stuart, Pietro Castellitto, Emanuele Scaringi, Massimiliano Bruno. Recentemente ha lavorato nel film Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Attualmente sta lavorando alla seconda stagione di una serie Netflix. E’ membro del direttivo dell’AITS, l’Associazione italiana Tecnici del suono e docente al Corso di Ripresa del Suono presso la Scuola d’Arte Cinematografica “Gian Maria Volonté” e alla Scuola Nazionale di Cinema-Centro Sperimentale di Cinematografia in Roma.

Amante della montagna, Alessandro Palmerini ha partecipato, come film-maker, alle spedizioni alpinistiche organizzate dal Centro Documentazione Alti Appennini (Cdaa): nel 2002 sul Cho Oyu (Himalaya), con i suoi 8201 metri d’altezza la sesta vetta più alta del mondo, realizzando il docufilm Mondi Sospesi, presentato a diversi Festival cinematografici internazionali, e nel 2007 sul Broad Peak (Karakorum), 8047 metri, un altro picco dei 14 ottomila esistenti.