Corriamo senza sapere verso cosa

 

Vincenzo Calafiore

 

Corriamo senza sapere verso cosa

 

 

E’ come se noi fossimo per il tempo che abbiamo sul palcoscenico di un grande teatro, ognuno al proprio posto scenico assegnato da invisibile regista.

Viviamo inconsciamente attorno a delle immagini, a cui ne seguono delle altre .. ed è come se si formasse un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni.

E’ una vita delimitata nella sua sconfinata ampiezza, ricca di emozioni e passioni, amore, tutto quello che si vuole, ma è una vita centellinata nella misura di un passo.

Il “ Saggio “ Regista per non farci impazzire ed essere allo stesso tempo centrifugati da quell’immane palcoscenico ci ha dato la possibilità di scoprire e vivere ne

“ il moto della lentezza” dandoci così la possibilità di vivere quelle proiezioni.

Ogni giorno dall’inizio alla fine, viviamo ignari un lento e inesorabile iter chiamato anche impegno, che a sua volta ci permette di godere di beni materiali, è un surrogato d’una esistenza che permette di –dimenticare – che corriamo senza sapere verso cosa, tra speranza e disperazione.

Così, lo studio e la mia scrittura sono quell’ancora che salva dalla deriva, è o cerca l’equilibrio, l’equivalente dell’immagine visiva, in uno sviluppo tendenzialmente coerente, tendenzialmente perché in realtà è una molteplicità di possibili che si connette tra sensazioni e pensiero, perché la somma di informazioni, di esperienze, di valori solo potenzialmente si identifica in un mondo dato in blocco, senza un prima e un poi.

La scena o lo scenario è sempre quello: “ Il paesaggio della memoria “ che finisce con l’apparire distante, alternativo alle visioni e alle sensazioni del presente in scena quotidiana.

Ed è nell’abitare questa distanza che sarà possibile cogliere lo spessore della mobilità delle forme che si accompagna al diverso percorso: la vita che si è persa, la vita che non è stata vissuta!

E’ nel paesaggio-memoria che scandendo il tempo e l’accaduto con tutta l’irrevocabilità del giudizio che si viene fissati inesorabilmente ciascuno alla propria storia! Un paesaggio che non è così semplice, come appare ad un primo sguardo.

Una forza estranea e indistinta, seduta da qualche parte, provvede a riordinare i ricordi dando loro significato e freschezza, così pure alla nostra vita come fosse del giorno prima.

Ma è solo un’illusione poiché in realtà non è cambiato nulla.

Occorre solo rassegnarsi a salire strade impervie… gli arabi lo chiamano “ pianura proibita”

Quel territorio della scrittura dove lo stile pianeggiante nasce dopo un lungo sforzo e testimonia di difficili prove cui siamo sottoposti nella quotidianità di ogni giorno della nostra vita.

Forse potrei utilizzare l’epigrafe che Stendhal pose  ad un capitolo di un suo romanzo:

la scrittura è come uno specchio portato lungo una strada … la strada come metafora della vita.

Lo specchio, iconostasi tra soggetto e oggetto, tra segno e significato, come metafora della mente.

E allora cambiare la scenografia, le posizioni, significa cambiare il modo in cui la vedono e la comprendono coloro che vivono in lei e sfidano gli assunti culturali dei termini nei quali essi erano soliti vederla, comprenderla, nei quali era consuetudine viverci.

Un nuovo stile di vita è un cambiamento del cuore, è qualcosa di più di una ricercata idea, proprio perché la vita si imbeve di ricordi, tutto si riveste di ricordi, di sguardi, di pensieri, del respiro degli uomini.

Anche lì dove gli angeli non osano mettere piede: il nostro grande teatro!

Afferma Epicuro: «Vivono male coloro che incominciano sempre a vivere» (male vivunt qui semper vivere incipiunt). Condannati, infatti, a rifare di continuo la trama della loro esistenza, la loro vita manca di qualsiasi coerenza e completezza. Con la nostra incostanza noi ricominciamo sempre da capo a vivere la nostra vita, ora in una maniera, ora in un’altra: la riduciamo a briciole e a brandelli. Ed in tal modo la rendiamo ancora più breve.