La crisi dell’Occidente

Vincenzo Calafiore

 

La crisi dell’Occidente

 

Vincenzo Calafiore

 

La nostra civiltà “ occidentale “, che possiede il controllo della potenza tecnologica ed ha abbondantemente soddisfatto la maggior parte dei suoi bisogni elementari e quelli artificiali, e quindi meno autentici, avverte ormai da tempo, che il proprio patrimonio intellettuale non ha più risposte concrete da offrire.

L’ulteriore grave crescita dei più diversi dei fenomeni di violenza è il frutto, di una malattia morale che da anni colpisce sempre più, in particolare l’Italia.

Il cinismo e la spregiudicatezza politica, sempre più crescenti, il pragmatismo senza principi, il non avere ideali alti, valori etici, il non credere a nulla, il cercare un illusorio rifugio nell’alcool e nella droga sono le frequenti premesse della violenza che cresce nelle varie forme che sempre che sempre più spesso arrivano all’assassinio, ma che ordinariamente si esprimono nel disprezzo dei valori umani altrui, nella sottovalutazione di qualsiasi principio morale, nella carenza di rispetto verso ciò che è estraneo, nella stessa violenza verbale, per non parlare della violenza quotidiana anarchia delle strade, dove sempre più manca il rispetto per le regole e per gli altri.

Il degrado di valori è cresciuto ulteriormente dopo che, con la caduta delle ideologie totalitarie del Novecento, è stata confusa la fine delle ideologie totalitarie con gli ideali democratici e le culture civili dell’Occidente che avevano osteggiato i totalitarismi.

E’ una civiltà che in qualche modo rischia di farsi rubare il futuro da un malessere che a molti

Filosofi e sociologi piace definire – dell’anima – .

La decadenza si vede, si tocca, si manifesta continuamente e si trasforma in paura e tensioni permanenti.

Per salvarci, a che cosa possiamo ancorarci?

E soprattutto che cosa è rimasto all’Occidente come riferimento?

Se ci voltiamo un attimo a dare uno sguardo al nostro passato culturale, osserviamo che il Rinascimento è scomparso, l’Illuminismo stessa sorte, il Romanticismo è diventato una corrente per specialisti e, infine l’Umanesimo … cosa è rimasto?

Di fronte al lento e inesorabile appassire delle coscienze, sempre più si avverte che bisogna reagire, prendere in qualche maniera una posizione, per ricominciare a sperare,

a vivere … Occorre tornare a Cristo!

Così come alla fine dell’Impero romano si fece la scelta di affidare al Cristianesimo il compito di traghettare la civiltà antica, oggi dobbiamo aggrapparci a Cristo.

Utilizzando le parole di Benedetto Croce, del celebre saggio “ Perché non possiamo non dirci cristiani” bisogna anche dare importanza al fatto che l’eredità di Cristo ha rappresentato una rivoluzione.

La rivoluzione cristiana colpì, essenzialmente l’anima dell’uomo e la cambiò radicalmente.

Il mondo antico scommise su Cristo e convertì i barbari: l’Occidente sopravvisse attraverso la forza della nuova fede quando le legioni romane furono distrutte. E tutto accadde più per istinto di sopravvivenza che per ordinario progetto.

Vale a dire l’uguaglianza, la giustizia per tutti, la non violenza, la libertà, la stessa democrazia. Sono gli stessi riferimenti che da qualche tempo cerca l’Occidente moderno in crisi e che sa che non può risolvere con il denaro.

Bisogna tornare a Cristo e scommettere su di lui è un atto di civiltà, prima che di fede.

C’è un spazio per Cristo in ogni momento della storia, al di là della fede e di quella genialità del credere che ha il cristiano.

Quell’uomo appeso alla croce, che il Cristianesimo testimonia come il Figlio di Dio, non può non essere confuso con un avvenimento culturale.

Caso mai è la stessa cultura che viene cambiata dalla sua presenza e dall’incomprensibile fenomeno di un uomo che muore per redimere tutti gli altri.

Forse, ancora oggi, rimane quello di Immanuel Kant, il migliore tentativo di compendiare il pensiero di Cristo: << Cristo è l’idea personificata della moralità >> .