Il futuro ha un cuore antico: la cruda e nuda terra

Incontro-dibattito oggi pomeriggio  (sabato 10 dicembre), a Zambrone (Centro Servizi Sociali) alle ore 16.30. Al centro la proposta di Antonio Varrà (operatore turistico) attraverso una sua ricerca sulla storica metodologia costruttiva in terra cruda, mirata al recupero e riutilizzo dell’architettura rurale in breste per uno sviluppo turistico ecosostenibile. 

L’architettura di terra risale a circa 6500 a.C. ed ha avuto inizio e sviluppo tra le civiltà mesopotamiche. Con la semplice terra e qualche accorgimento l’uomo ha realizzato nei secoli opere di incalcolabile valore, una tecnica costruttiva creata attraverso il fondamentale confronto tra l’uomo e il paesaggio. Due sono i principali sistemi di costruzione: l’uso delle adobe, mattoni seccati al sole, ritenuta una forma più civilizzata, e quella del pisè, terra inumidita, pestata in forme di legno.

L’architettura rurale in terra cruda rappresenta una chiave per coniugare il passato al futuro, riscoprire e riconoscere l’identità del territorio. Inoltre il turismo ecosostenibile apre degli scenari ricchi di interesse per le prospettive del territorio del Vibonese e della sua immagine.

A lanciare la proposta progettuale Antonio Varrà (ricercatore e operatore in turismo ecosostenibile), attraverso uno studio che ha pubblicato di recente, “Un progetto eco-sostenibile per la Calabria” con lo scopo di valorizzare le case in terra cruda. La ricerca è frutto di un precedente lavoro per la sua tesi di laurea, “Ecoturismo in breste, fra borghi e architetture di terra a Zambrone e nel Poro”. Un dato significativo e inatteso – che emerge dal libro – è la stima che un terzo della popolazione mondiale viva attualmente in case realizzate con lo tecnica dei mattoni in terra cruda.

Al dibattito partecipano il sindaco di Zambrone, Corrado L’Andolina, il prof. Rosario Chimirri, (Docente di Storia dell’architettura e responsabile di ricerche sulle culture dell’abitare all’ Università della Calabria, che ha curato la presentazione del libro), l’arch. Francesca Del Duca (Coordinatrice Dipartimento cultura dell’Ordine degli architetti di Vibo valentia), e lo stesso Antonio Varrà che ha promosso l’incontro grazie anche al patrocinio del Comune di Zambrone, dell’Ordine degli Architetti di Vibo e della Fondazione Italiana di Bioarchitettura.  La discussione è aperta al pubblico e prevede che ci sia la partecipazione degli operatori turistici, ma anche della cittadinanza, che dovranno essere protagonisti in una visione integrata di sviluppo che deve coinvolgere le comunità locali.

Quella del turismo è una questione cruciale per le sorti dell’economia sia nazionale che calabrese, considerando che siamo di fronte ad un settore di forte espansione a livello mondiale. Il turismo occupa un ruolo di primo piano nell’economia globale ed è considerata la principale attività economica del mondo (si calcola il 10,4% del Pil mondiale). Anche in relazione all’impatto sul mercato del lavoro l’occupazione si aggira attorno al quasi il 10% a livello globale. Negli ultimi tempi la richiesta di un turismo di qualità è sempre maggiore.

La bioarchitettura in terra cruda – così come in genere il grande patrimonio dell’edilizia rurale –  è un argomento che apre il cruciale tema della identità del territorio: in particolare su quali elementi il territorio può guardare al futuro e investire le proprie risorse, alla luce della crescita della richiesta di un turismo “esperenziale”, sempre più esigente e sensibile ai temi della sostenibilità ambientale, alle tipicità (paesaggistiche ed enogastronomiche) e alle principali vocazioni del territoriali. La proposta di Antonio Varrà, ben documentata nel libro, mira a creare un’offerta turistica capace di restituire al territorio del Vibonese, ma anche a tutta la Calabria, un’identità che negli anni ha smarrito, sull’onda impetuosa della massificazione, dell’ideologia dei consumi e della omologazione delle diversità culturali. Eppure, nonostante questa furia devastatrice, sul territorio resistono ancora diverse costruzioni in terra cruda sia come architettura rurale che urbana. La chiave quindi è nel recupero e riutilizzo di questi importanti manufatti, che potrebbe significare la rinascita di una coscienza identitaria che si tradurrebbe in benefici culturali, ambientali ed economici, perché coinvolgerebbe diversi aspetti e settori strategici per lo sviluppo ecosolidale del territorio.

Un dato sorprende: si stima che circa un terzo della popolazione mondiale viva attualmente in case realizzate con la terra cruda.

Lo studio e la ricerca, spiega l’autore nella sua ricerca, ha lo scopo di offrire un progetto di risposta alla domanda che si trova nel Piano Strategico di sviluppo del Turismo 2017/2022: “Quali sono le caratteristiche (di sostenibilità, di fruizione responsabile, di qualità e quantità di lavoro, di valorizzazione territoriale) che desideriamo abbia lo sviluppo del turismo nel nostro territorio?”

Sotto questo profilo Antonio Varrà ha avuto l’intuizione di portare all’attenzione dei vari rappresentanti sia istituzionali che privati, il tema dello sviluppo turistico sostenibile in un campo che identifica la vocazione del territorio, con una visione che comprenda una tradizione tipica del mondo rurale. Inoltre la sua proposta si proietta in altre significative direzioni, secondo quelli che sono i principali obiettivi dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, come le tre caratteristiche irrinunciabili del turismo sostenibile: le risorse ambientali devono essere protette; le comunità locali devono beneficiare di questo tipo di turismo sia in termini di reddito che di qualità della vita; i visitatori devono vivere un’esperienza di qualità. Tutto questo in corrispondenza con il mutamento della domanda da parte del turista, che va nella direzione dell’ecoturismo: vale a dire mirato alla promozione di uno sviluppo sostenibile che non determini il degrado e l’esaurimento delle risorse; ma si concentra anche sul valore intrinseco delle risorse naturali rispondendo a una filosofia più biocentrica che antropocentrica; inoltre richiede all’ecoturista di accettare l’ambiente nella sua realtà senza pretendere di modificarlo o adattarlo. In altre parole “l’ecoturismo è un modo responsabile di viaggiare in aree naturali, conservando l’ambiente e sostenendo il benessere delle popolazioni locali” (International Ecoturism Society). Questo significa ricerca di elementi che caratterizzino l’identità del territorio anche sotto il profilo simbolico. Ed è proprio per queste ragioni che l’architettura di terra può rappresentare una opportunità di grande importanza.

Dalla analisi sia di carattere storico-antropologico che nella rilevazione delle nuove tendenze rispetto alla crescente domanda di turismo culturale, Varrà concentra la sua proposta cercando di focalizzare l’attenzione sul significato di turismo sostenibile secondo la definizione della rivista Naturopa: “Ogni forma di attività turistica che preserva a lungo termine le risorse naturali, culturali e sociali e che contribuisce in modo positivo ed equo allo sviluppo economico re al benessere degli individui che vivono e lavorano in questi spazi”.

Recentemente la metodologia costruttiva in terra cruda ha conosciuto una nuova stagione di gloria come materiale naturale economico, dalle buone qualità di isolamento termico. Un esperto di tecniche costruttive in bioedilizia Ulrich Pinter ha affermato: “La terra cruda purifica in modo naturale l’aria dalle sostanze nocive , dal fumo e dai cattivi odori, rendendo più che sufficiente aprire ogni giorno le finestre per qualche minuto. Inoltre i muri massivi così fatti hanno una forte inerzia termica…”

Nella sua ricerca Varrà spiega come “la Calabria possiede un ricchissimo patrimonio storico-artistico, ambientale e culturale e come, effettivamente ci siano le potenzialità affinché il turismo possa veramente divenire la fonte economica primaria dell’economia regionale”.

La questione del turismo in Calabria è legata alla stagionalità, 4/5 mesi l’anno. Altro nodo critico la popolazione è tagliata fuori dalle decisione sull’evoluzione del proprio territorio e ciò determina l’emigrazione a casua dell’alto tasso e disoccupazione e dei livelli di qualità della vita sempre agli ultimi posti.

Ma, oltre a questioni di ecosostenibilità e di potenzialità, orientare lo sguardo verso questo tipo di architettura rurale e bioedilizia, significa in primo luogo restituire l’identità al territorio, alla sua tradizione millenaria, alla sua storia e alla sua memoria. questo significa altresì ricodificare i concetti estetici: in queste strutture semplici in apparenza, emergono dei valori umani, etici e spirituali che sfuggono ad uno sguardo poco educato alla bellezza del paesaggio, ormai prigioniero di modelli tecnici che tendono verso la disumanizzazione delle opere, con l’impiego sempre più diffuso delle macchine e della tecnologia. Dietro la rincorsa sempre più delirante si perde il contatto con la realtà fisica e metafisica; l’uso delle macchine e della tecnologia che perfezionano i processi produttivi e applicativi e con il conseguente malinteso concetto di progresso e di innovazione, avviene di fatto l’espropriazione dell’uomo dalle proprie conoscenze e saperi, in quanto non ha più la possibilità di controllo dei processi applicativi come invece possedevano i contadini e gli artigiani: questo ha determinato la perdita della dimensione estetica della bellezza, attraverso la distruzione della diversità e dell’identità. Nella costruzione dei casolari con la terra cruda o co l’impiego della pietra, c’è il lavoro manuale dell’uomo, il sacrificio, il sudore, la creatività; in altre parole, l’anima dell’uomo che trasumana dai muri e si percepisce un legame armonico con il paesaggio. E qui entra in gioco un altro concetto fondamentale per comprendere i valori estetici con cui l’uomo ha comunicato nel rapporto  con la natura e quindi con il linguaggio della conoscenza (istintiva, emotiva, immagginativa, ispirativa e intuitiva): la cultura nasce nel momento in cui l’uomo trasforma ciò che è naturale, come scolpendo una pietra, cucinando il cibo attraverso il fuoco, tracciando un solco nella terra o plasmando i metalli; ma nel momento in cui la tecnica distrugge il rapporto con la natura e si genera un processo artificiale, avviene la distruzione della vera cultura: che è tale quando è fecondo il legame con la natura e permane il rapporto tra la terra e il cielo, tra materia e spirito. Nel momento in cui viene reciso questo rapporto contemplativo e creativo, come sta accadendo con la tecnologia e l’intelligenza artificiale, che costringe l’essere umano a chiudersi nei nuovi labirinti digitali, in cui sono gli algoritmi a generare i processi creando una realtà virtuale, si perde la possibilità di controllo degli strumenti che si usano, non conoscendo più gli effetti che produce il suo utilizzo. Il concetto estetico di bellezza non può essere dissociato da questi fondamentali elementi e dal legame con la terra, il cui humus ha generato la sua umanità attraverso l’umiltà (anche l’etimologia lo rivela, a partire dal nome Adamo, che rimanda alla terra). Basta solo osservare qualsiasi casolare rispetto ad una costruzione in cemento armato, per comprendere la differente percezione estetica, sotto il profilo della semplice comunicazione visiva. Il recupero di questa tecnica costruttiva significa anche recuperare tutta questa memoria antropologica  ed estetica, attraverso le abilità manuali, oltre ai fattori importanti dell’ecosostenibilità e per le caratteristiche termiche che garantisce la terra cruda.

Per riprendere una citazione, “il futuro ha un cuore antico” (titolo di un libro di Carlo Levi, 1956): e quindi la chiave del futuro è nel passato.