La Cina è entrata nella corsa delle valute digitali

Si era a metà di settembre dello scorso anno, quando la banca centrale cinese ribadiva, a tutto il mondo, l’intenzione di creare uno yuan digitale. Un annuncio che faceva sì che la Cina entrasse nella corsa delle valute digitali, una competizione nella quale anche altri stati sono partecipi. Un esempio della crescente disponibilità degli Stati ad affrontare il tema delle valute digitali, quindi, che vede, tra l’altro, protagonisti paesi come, ad esempio, il Messico, l’Uruguay, le Filippine e la Svezia.

Persino l’Unione europea è impegnata nella creazione di progetti simili. La corsa per le criptovalute nazionali è, perciò, in corso. Pur tuttavia, tutto ciò, a diversi esperti del settore, appare essere paradossale. Come è risaputo, le criptovalute operano su un principio anarchico di orizzontalità, decentramento e trasparenza, che mette in discussione l’acquisizione di valore da parte degli Stati piramidali e delle loro banche centrali.

È proprio per contestare questo monopolio che, dopo la crisi finanziaria del 2008, venne ad essere creata la blockchain, ovvero un registro delle transazioni decentralizzate e pubbliche, in cui è elencata la storia di tutti gli scambi tra membri della stessa rete. Le cosiddette “criptovalute nazionali” avranno, perciò, solo il nome di “criptovalute”. Saranno infatti, a detta di alcuni esperti, armi nella guerra che gli Stati stanno conducendo nei confronti delle valute digitali indipendenti. Al di là di come la si possa pensare, è indiscutibile che le criptovalute sfidano l’idea stessa di uno Stato.

Difatti, le criptovalute come il Bitcoin, sono più anarchiche e libertarie. Allora perché mai Stati come la Cina stanno cercando di crearle a tutti i costi? Per diversi analisti, l’impegno di Pechino nei confronti dello yuan digitale, in realtà nasconderebbe, non troppo, un forte desiderio di sfidare l’egemonia di valute come il dollaro e l’euro. Anche per ciò, bitindex prime risulta essere di fondamentale importanza.

Se da un lato, quindi, tutto questo interesse potrebbe anche essere una sorta di riflesso di sopravvivenza, è indubbio che, sempre più, ci si vada ad interrogare sulla fine della tanto famosa dichiarazione di indipendenza delle criptovalute. In effetti, se si analizza in modo freddo e distaccato, appare quanto mai una contraddizione in termini il fatto che, da una parte vi sia il ribadito impegno da parte della banca centrale cinese a favore di una criptovaluta nazionale, ovvero il potere verticale dello stato, mentre dall’altra parte ci si confronta sull’ideale anarchico di orizzontalità inerente alla blockchain.

Oltre a ciò, come sostituto del denaro fisico, la criptovaluta non comporta la necessità di dover avere un conto bancario. Non per nulla, gli utenti devono semplicemente richiedere un e-wallet, cioè un portafoglio digitale, a una banca oppure a un istituto commerciale, e scaricare l’app corrispondente. Affinché una transazione si possa svolgere, dunque, è sufficiente avere un telefono cellulare con sufficiente batteria e non è richiesta alcuna connessione Internet.

La criptovaluta cinese è un progetto che, a quanto si sa, sarebbe nato già nel 2014 e che oggi vede nello yuan digitale la concretizzazione. Contemporaneamente, è da ricordare che il caso della Cina non è isolato. Ad esempio, anche la Francia sostiene la creazione di una moneta digitale europea. Si tratta, perciò, di una vera e propria tendenza globale.

In altre parole, il fatto che diversi Stati stiano andando a moltiplicare le iniziative volta a dare vita ad una valuta digitale creata dalle banche centrali, sancisce, in modo assolutamente evidente, che la corsa per le criptovalute è in corso. Tuttavia, è altrettanto chiaro che vi sia una evidente tensione tra lo spirito anarchico e libertario del cyber-mony, della blockchain e la proprietà statale. Quella che nel 2018 venne aulicamente chiamata dichiarazione di indipendenza delle cyber monete, vide i firmatari presentare le criptovalute come nemici dei sistemi bancari consolidati e delle valute nazionali.

La blockchain è, infatti, un potente vettore di decentramento, emancipazione del valore di trasparenza e di orizzontalità. Nulla a che vedere, andando a concludere, con la struttura centralizzata e piramidale degli Stati.