D’incenso, di spine

Di Vincenzo Calafiore 26 Febbraio 2022 Udine Un’esile, inquieta impercettibile traccia di felicità nelle mie parole, nell’aurora incerta alla soglia del giorno che stenta nei suoi passi. A rileggere la nascosta consapevolezza delle parole sembra emergere nei silvestri inizi dei giorni, dalle acque di un mare di dentro di tanti ritmi, di tante emozioni di un tempo arcaico, ora più che mai ancora vive che finiscono per aggettarsi in un’attesa che assorbe ogni cosa, tracimando il livore di speranza su anima e labbra. Così si offre l’incanto del mare, quel suo frangersi su pietre tonde come uova preistoriche e venti, l’agonizzare lento tra sabbia e frammenti di vetri colorati. E mi par di sognare in quelle vesti serali dei cieli calactini, nei miei sensi crepuscolari dell’asserare denso dei giorni: ancora l’amore, ancora le carezze a fior di pelle, e c’è la malinconia! La stessa malinconia del vissuto di ieri. La stessa adolescente canuta età, che testarda non vuole morire come onda, ma vivere in quel sì della vita che potrebbe in qualche maniera giungermi ancora nella mia misera esistenza mortale, nell’acredine di un desiderio di infinita vita nella legge della fine. Ci fosse una ragione a questa esistenza racchiusa tutta in un tempo e non oltre, ci fosse una ragione che potrebbe almeno dar sollazzo a questa brevità temporale! Ma la vera “ emozione “ è l’esistenza, l’esistere nella sua aura d’amore! Ma pare sia per i più quella, di essere uno – spettatore -; non è facile esserlo né rimanerci così per tanto tempo. Lo spettatore durante la messa in scena dello spettacolo tace e rimane a guardare, e durante la sua rappresentazione, sgranocchiando delle arachidi applaude, chiede il bis, ride, si concede a qualche confidenza col vicino accanto, ma più di tutto esprime pareri apprezzabili sullo spettacolo, dentro un misero teatro contorto su se stesso. Ignaro d’essere lui stesso attore come quelli che sul palco si rappresentano, rappresentano la disumanità,la decadente realtà di un sogno morto sul nascere. Per fortuna conosco una via che dal cuore porta lontano, ed è l’amore quell’amore senza pegno che dona ali per volare e spiagge da raccontare, albe da sognare. Per fortuna che ci sono donne capaci ancora di far sognare, che sanno con delicatezza sollevare da terra, dal fango delle miserie umane, che sanno distanziare il tempo proteggendo ciò che più amano. Sono in qualche modo disperso in quei lattescenti filamenti lunari, che per amore formano una sorta di pagina ricolma di gentile nostalgia, di ritmica rammemorazione. E’ il mondo suo, di una donna, con il suo bagaglio di bellezza e di lacerata contemplazione, in immagini quiete, semplici, profonde e nello stesso momento tristi nel suo viaggio dentro l’orrore del mondo. Sono solitudini senza tempo che hanno occhi di bambina, affiorano segmenti nascosti di fanciulla odorosa di rose, mentre nella lontananza s’impiglia la catenaria degli anni, le corse agili verso l’amore. Ma ora incontri la carne degli uomini e di pietre con l’assolutezza della parola: amore! Tu ci sei e vivi, lotti, per avere un giorno un destino diverso, nell’intorno del silenzio, di suoni ovattati, di voci, di deliri e derive notturne, è un andare incontro a quello che vorresti dare con gli incensi e le spine!