Il gitano di Martina Collu: un romanzo enigmatico e sibillino

Il gitano di Martina Collu è un romanzo enigmatico, sibillino, che mantiene abilmente alta l’attenzione del lettore centellinando le sue rivelazioni. È un’opera “fumosa” all’inizio, e la stessa protagonista, Morea Blanco, è avvolta in una fitta nebbia: le sue parole febbrili e a volte indecifrabili non sono mai concentrate sul qui e ora, ma vagano disordinate insieme alla sua mente verso luoghi lontani, verso un passato che non si ricorda o che non si vuole ricordare. Con una scrittura veloce e incalzante, in cui trovano spazio parole del dialetto creolo, l’autrice ci presenta l’intenso personaggio di Morea, accompagnandola con una generosa dose di inquietudine che avvince il lettore; Martina Collu riesce infatti nel difficile compito di sottometterlo alla storia, di farlo sentire affamato di una verità che sembra non voglia palesarsi.

Morea è una donna tormentata quando la incontriamo la prima volta: indecisa se rifarsi il seno dal chirurgo plastico, ci fa comprendere che è tremendamente a disagio nel suo corpo ma anche, e soprattutto, nella sua mente – “è più facile correggere la figura sullo specchio che cercare di cambiare lo sguardo che la perfora”. Nonostante la sua patologica inadeguatezza, Morea è un personaggio dalla presenza potente e magnetica, che ingloba tutto ciò che ha intorno. La sua fragilità, la sua iper sensibilità, il suo pressante senso di colpa si impregnano nelle pagine di una storia che prosegue per aggiustamenti, correggendo il tiro, scoprendo le carte solo quando si è sicuri di aver attirato l’attenzione. E questa vicenda sicuramente attrae: per la qualità della scrittura, per la natura ambigua della sua protagonista, per quella morbosità che emerge di tanto in tanto tra le righe. E l’affascinante quanto claustrofobica ambientazione, Gibilterra – questa lingua di terra che non appartiene nemmeno a sé stessa – è lo specchio ideale per raccontare di una donna che non si sa conoscere, che non si sa appagare; “La Gibilterra che non ci ha partorite, ma ci ha cresciute e poi vomitate”, afferma Morea, e proprio la tragedia dei suoi abitanti di non essere né britannici né spagnoli è la stessa disgrazia della protagonista, che non ha idea di cosa voglia dire scegliere per sé stessa. In una mescolanza di presente e passato, Morea ricorda la sua infanzia e a volte la mitizza, altre la maledice; e rammenta esasperatamente la cugina Salomè, e la sua sprezzante decadenza. Salomè che diventa la chiave di volta, che si rivela essere l’ossessione di molti, che ha mantenuto relazioni confuse, che è andata via troppo presto. Tutto il romanzo ruota intorno a un lontano pomeriggio d’infanzia e al corpo insanguinato di un gitano; quel pomeriggio cruciale in cui la protagonista ha osato oltrepassare il confine, e da quel giorno ha preferito dimenticare per non affrontare sé stessa, per non affrontare il mondo – “dentro sono protetta, fuori sono in pericolo”. Ma non si può rimanere nascosti a lungo, e la verità viene sempre a galla.

Martina Collu è nata a Cagliari nel 1988. Dopo aver conseguito la Laurea magistrale in Lingue per la Comunicazione Internazionale, ha vissuto per alcuni anni a Siviglia, in Spagna, dove si è formata come docente di Lingua e Cultura Straniera nella scuola secondaria. Il suo primo romanzo “Il vestito rosso della contessa” è un thriller, edito da Edizioni DrawUp nel 2018, vincitore della VII Edizione del Premio Nazionale Letteratura Italiana Contemporanea, sezione romanzo edito, bandito dalla casa editrice Laura Capone Editore. Nel 2020 pubblica “Il gitano” con Nulla Die Edizioni, rivolgendo le sue attenzioni alla narrativa non di genere. Attualmente insegna inglese nella sua città natale.