Vino e Covid: criticità e sfide dell’immediato futuro

Come tanti settori produttivi, anche il business del vino, fiore all’occhiello dell’agricoltura italiana, ha patito gli effetti della pandemia mondiale di coronavirus. Superficialmente, quest’asserzione potrebbe essere una sorpresa: non si tratta di un prodotto deperibile, e il boom del vino online durante il lockdown indurrebbe l’osservatore meno attento a pensare ad una sorta di compensazione negli introiti. E allora come mai sembra decisamente veritiera la stima di Mediobanca che parla di 2 miliardi persi nel fatturato 2020?

E’ semplice, ragionando su come funziona il settore. La crisi sanitaria del COVID ha generato numerosi problemi su tutta la filiera produttiva e distributiva. La chiusura per alcuni mesi dell’intero settore Ho.Re.Ca. (bar, ristoranti, alberghi) nazionale e internazionale, l’azzeramento dell’enoturismo, hanno creato un enorme quota d’invenduto tra i produttori, che hanno potuto contare soltanto su supermercati ed e-commerce per distribuire il vino.

Un approfondimento lo merita l’export, che nel 2019 aveva segnato il record storico di 6,4 miliardi di bottiglie. Una recente analisi Coldiretti su dati ISTAT dei primi cinque mesi dell’anno ha evidenziato un calo globale del 4%, dato che potrebbe anche peggiorare sui dodici mesi contando su un’estate “monca” e su potenziali nuovi dazi per Brexit e politiche di Trump. Mentre le esportazioni verso Germania e Stati Uniti ancora reggono (-1%), crolli importanti e attesi si sono registrati su storici importatori di vino nostrano, colpiti in primis dall’emergenza sanitaria: in Cina, dove il virus ha colpito per primo, il consumo di bottiglie tricolori fra gennaio e maggio 2020 è crollato del 44%, nel Regno Unito le vendite sono scese di quasi il 12% anche a causa delle incertezze e delle tensioni legate alla Brexit, persino la Francia ha ceduto il 14%.

L’invenduto è un grave problema, soprattutto per i produttori medio-piccoli, che non hanno un numero di botti o spazi sufficienti per tenere più annate. Per il vino da tavola sono state trovate delle soluzioni con fondi comunitari. E’ cominciata infatti, in queste settimane, la campagna di ritiro del cosiddetto «vino non a marchio» che verrà utilizzato per approvvigionare i depositi di alcol etilico da usare come disinfettante o additivo nei disinfettanti di prevenzione del contagio. La misura punta a ridurre la produzione per aumentare la qualità, ma anche per evitare un nuovo accumulo di prodotto. Chiaramente si tratta di un processo che non può valere per le etichette DOC, DOCG e IGT.

Solo nubi all’orizzonte, dunque? No, anche perchè il settore resta leader a livello mondiale e, nonostante i mille timori su una primavera passata con un livello più basso di cura dei vigneti, a infondere ottimismo è una vendemmia 2020 che si sta rivelando di buona/ottima qualità, e di cui attendiamo gli esiti definitivi nelle prossime settimane.