Non sono mai andato via

“ … ora per me, in questa mia vita di tante cose mutevoli, tutto dovrebbe essere comprensibile ed invece mi ritrovo solo e sconcertato, talvolta disorientato, di più amareggiato. C’è però un ritorno … il più delle volte a casa quella che un tempo ormai lontano lasciai in cambio di un sogno da realizzare. E questo sogno adesso è qui! Peccato che devo andare via, prima della mia ultima rappresentazione…… “ Vincenzo Calafiore In verità non sono mai andato via e ci ritorno in quella casa, da questo mio -oltre – ; ci torno per rimanerci. Ora che per me, questa mia vita di tante cose mutevoli, ora che tutto dovrebbe essere comprensibile, ed invece mi ritrovo solo come allora, come i muri di quella casa,corrosi dalla muffa e finestre cadenti. Ora più che mai sconcertato, amareggiato, disorientato. Dove sono, quella testa da accarezzare e quegli occhi che sapevano guardarmi, leggermi? Questo mio dannato – Oltre – è un regno che sta dentro, è un tempo non tempo, un non ritorno, ritorno. In questo mio regno dell’oltre il limite si è rotto, e i colori cominciano a sbiadirsi, a perdere il loro suono e i suoni sempre di meno si colorano, le forme si trasformano ad ogni passaggio di luna su questo specchio di mare, agli occhi miei una lastra d’acciaio. Vorrei per certi versi fuggire dall’iniquo che come un vestito di seta ammanta questa società, tritata da un sistema che nulla lascia al caso, nulla lascia di se. E’, che c’è un ignoto da esplorare, questo è l’Amore a cui si arriva senza corpo, perché è andato perduto o mi è stato rubato, ci arrivo senza parole, perché non ne ho più! Ce ne vorrebbe una magica, che faccia spalancare le porte d’oro del sogno e dischiuda giardini di alghe e meduse, coralli e madreperle nel fondo di occhi amati e mai dimenticati. Non sono mai andato via! Ci sono. Ancora qui, in questa mia prigione dorata che non mi fa volare dove il cuore vorrebbe andare, sono ancora qui a dire sì! Spalancate finestre su un dolore ancora intimo, ancora prezioso, e un gioco di strofe di mezze parole sussurrate ad un convivio con la morte. Il mio regno dell’Oltre è il Labirinto in cui inseguo i sogni o sono inseguito dall’una e dall’altro per opposti desideri, per opposti motivi. C’è la consapevolezza che mai tornerà la felicità di quel sogno incastrato tra cielo e distanza, in verità amore mio agonizzo per una malattia sconosciuta e che non si sa come curare; in questo luogo mi hanno rimesso assieme i pezzi dell’anima per sopravvivere e questo è – mi assicurano – una fortuna. Ma loro, gli altri prigionieri, gli altri morti vivi? Quelli che ho incontrato in altri gironi dell’inferno, nelle rovine di Napoli, nelle favelas di Milano, nelle bindovilles di Roma e di Genova. Quelli che protestano contro la fame e le umiliazioni e che, del tutto legalmente si mettono in prigione, si torturano, si impiccano. Quelli che hanno difeso e difendono la propria dignità, la loro stessa esistenza, quelli che spariscono per sempre. I morti viventi nuovi dell’ Hiv e delle Dachau del Medio Oriente ridipinte in tutta fretta, dei tumori che divorano e si lasciano divorare bambini, uomini, donne che potrebbero salvarsi e sono lasciati andare per quattro denari dai Baroni, dagli avidi, dagli assetati di denaro per una vita che voli alto sopra la monnezza, sopra i rifiuti, perché tali siamo: rifiuti, merce, animali per la sperimentazione, per la vivisezione, per arricchimento. Cos’è l’uomo? Quell’uomo capace di accoppiarsi con violenza con una donna di cinque anni? Che uomo è? “ Una cella è fin troppo, basterebbe una bara “ per contenerci tutti. Che è successo alla vita? Una vita potrebbe essere stilisticamente bella e contenutisticamente interessante, ma non avvincente, non affascinante ed è questa che un manipolo di predatori di vita ci costringono a vivere, una vita non vera! Nel mio Oltre c’erano delle celle di isolamento simili alle grotte e ci era proibito di parlare, di pensare, però si poteva abbaiare o cose simili che diventa naturale dopo poco tempo di isolamento. E mancava il piacere di raccontare gli orrori assoluti! Fu allora che cominciai a parlare di fiabe con l’ombra di me stesso, e sono certo ancora adesso che da qualche parte c’è una fiaba, che la fiaba è un dono d’amore. La verità amore mio è che non si possono scrivere, ne raccontare, inventare favole senza la grande capacità di amare e di dare agli altri la propria anima in pasto affinché ci sia vita, affinché la vita stessa sia continuità, sia un per sempre. E mi piacerebbe che tu un giorno leggessi le mie favole, anzi vorrei che li leggessi ad alta voce, affinché la vita ti senta, ti desse ascolto! Affinché tu possa spiegare agli altri che non sono uno scrittore, che a volte la mia fantasia non riesce a trovare una grammatica adeguata, spiegare che io sono sempre vissuto ai margini, nelle piazze, nelle strade, nelle galere, e che qui ho incontrato migliaia di persone dalle quali ho appreso storie meravigliose. Storie meravigliose che mi sono portato dentro e che ho raccontato a quelli con cui mi sono trovato bene di volta in volta, storie meravigliose che ho cominciato a scrivere durante la mia prigione e i lunghi isolamenti totali nel corso della mia condizione, detenzione. Le ho volute scrivere perché era una maniera per rimanere vivo, per i prigionieri, per i sconosciuti. Amore, lo scrivere, per me, era un modo di lottare e sconfiggere, l’idiozia, l’ignoranza, la schiavitù, un modo per ricongiungermi con la libertà che è in me, ma anche con loro, bambini, vecchi, donne, barboni, funamboli, che sono come me: innamorati sempre della vita. Spiega a chi ti chiederà di me che io sono stato proprio uno di quei prigionieri che ho amato e conosciuto per le strade, nelle piazze, negli ospedali, nelle prigioni, nelle galere, nei manicomi di tutto il mondo. Prigioniero di nessuna prigione e per questo sono rimasto in prigione, com’è naturale in questo mondo rovesciato. Ti Amo.