Brexit. Si profila un paradiso fiscale Singapore on Thames
Se da un lato l’Unione Europa vuole evitare a tutti i costi un no deal, dall’altro c’è molta preoccupazione sul testo dell’accordo con Londra. Il testo che aveva concluso Theresa May e l’accordo di Boris Johnson sono molto differenti. Il Boris deal prevede un’apertura unilaterale delle frontiere britanniche, tra l’abolizione della garanzia del backstop (rimanere nell’Unione doganale in caso di mancanza di accordo futuro sulla frontiera irlandese) e dell’impegno scritto nell’accordo di divorzio, che doveva condizionare il negoziato sulle relazioni future, sul mantenimento in Gran Bretagna di una radice comune con la Ue di norme sulla protezione sociale, ambientale, fiscale, sugli aiuti di stato. Ma da impegno scritto è stato declassato a promessa contenuta soltanto nella Dichiarazione politica, che non obbliga Londra a rispettarla. Nel Regno se ne sono accorti i Laburisti. E Jeremy Corbyn ha sottolineato che “non c’è protezione legale in questo accordo per restare allineati con la Ue per i diritti dei consumatori, per la protezione dell’ambiente dei lavoratori. Si profila così, come vogliono i brexiteers più estremi, una Gran Bretagna paradiso fiscale e zona di deregulation per il lavoro e l’ambiente alle porte della Ue, una Singapore on Thames”.