A Milano la più ampia mostra personale di Cesare Viel in uno spazio pubblico

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta “Più nessuno da nessuna parte”, la più ampia mostra personale di Cesare Viel in uno spazio pubblico, che ripercorre l’opera e la pratica performativa dell’artista italiano. Promossa dal Comune di Milano|Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra è curata da Diego Sileo. E’ stata inaugurata in occasione della quindicesima Giornata del Contemporaneo indetta da AMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani – di cui il PAC è socio fondatore. Per l’inaugurazione della mostra il PAC resterà aperto dalle 18 alle 24 con ingresso gratuito. Dalle 18.30, e fino alle 21.30, Cesare Viel sarà protagonista con una nuova performance e la riattivazione di alcune sue azioni precedenti. “Dopo Luca Vitone ed Eva Marisaldi, il PAC prosegue nell’esplorazione della creatività contemporanea italiana approfondendo il lavoro della cerchia di artisti nati negli anni Sessanta e portando i visitatori a contatto con la sensibile poetica di Cesare Viel” dichiara l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno. “Una nuova occasione per comprendere come il termine ‘concettuale’ racchiuda in realtà un universo di tensioni espressive che trovano, grazie al lavoro di ricerca di ciascun artista, modi sempre diversi per manifestarsi”. Protagonisti delle opere di Viel sono le parole e il corpo, accompagnati da diversi mezzi espressivi, tra cui prosa, performance, video, fotografia e disegni, che spesso intrecciano relazioni con poeti e narratori come Ingeborg Bachmann, Emily Dickinson, Virginia Woolf, Cesare Pavese, Gertrude Stein, Dino Campana, Paul Auster e tanti altri. Nella sua ricerca artistica assume particolare importanza il coinvolgimento emotivo tra il narratore e l’osservatore, attraverso un percorso fatto di pensieri e racconti. Sin dai primi anni Novanta le performance, il travestimento, le trasformazioni, il trucco, le recite o le canzoni hanno rappresentato per Viel un processo di trasmissione di sé agli altri. Addentrandosi in altri corpi e altre storie, l’artista immagina forme di soggettività altre che interpretano l’arte come momento di scambio emozionale e di relazione con la collettività. Temi come la memoria e il ricordo, il femminile, la parola, il corpo, la definizione di sé e dell’altro e la ricerca di nuove forme di identità ricorrono spesso nell’opera dell’artista. Il messaggio che Viel trova in essi non è però legato a un mero viaggio intellettuale, bensì orientato alla ricerca di consapevolezza. In mostra al PAC una selezione di lavori passati e recenti, la riproposizione di alcune precedenti performance da parte dello stesso artista e di altri performer e la nuova installazione performativa “Il giardino di mio padre. Gli oggetti sotterrati” (2019), dedicata al padre e alla sua scomparsa, che vedrà Viel protagonista proprio la sera dell’inaugurazione. Il legame con il passato emerge anche in “Lost in Meditation” (1999), installazione imponente che aprirà la mostra come un richiamo all’infanzia dell’artista trascorsa in Veneto, quando i contadini tagliavano l’erba, raccoglievano il fieno e lo disponevano in cumuli sui prati. Un’indagine sul linguaggio nell’arte, ma anche un tema sociale in un paese come il nostro che fino a pochi decenni fa era ancora per lo più una realtà agricola. Lo stesso titolo dell’esposizione è una citazione di Roland Barthes presente nell’opera “Alluvioni universali” (2010), dedicata al lutto per la perdita della madre: un grande disegno stampato su tessuto non tessuto, tratto da una foto apparsa su un quotidiano in cui una donna indiana è immersa in un vortice d’acqua provocato da un’alluvione nel 2009. La frase scritta a mano e il disegno vanno oltre la cronaca e ci portano a riflettere, partendo dalle nostre esperienze personali, sulla relazione spesso complessa con la realtà. Nelle opere di Viel ritroviamo spesso immagini estrapolate dalla cronaca – ridisegnata, commentata o trasmessa sotto forma di performance – nelle quali l’artista si mette in gioco, esplorando ed alterando l’identità propria e altrui, arrivando spesso a definire un’identità mista, androgina, mimetica. Nel 2004 durante la performance “To the Lighthouse” (messa in scena nel 2005 anche al PAC) Viel veste i panni di Virginia Woolf, la scrittrice inglese che in “Orlando” aveva sviluppato proprio il tema dell’androginia. Non un travestimento totale, ma per metà: parrucca e volto truccato, camicetta di seta con nastrino di velluto e giacca scura. Per il resto, scarpe e pantaloni da uomo. L’artista, seduto in un salottino anni Trenta, ascolta la lettura di un capitolo del romanzo della Woolf (in italiano “Gita al faro”). In “Accendere una lampada e sparire” (2003) il dialogo è con la poetessa americana Emily Dickinson: una lettera a lei indirizzata scritta da Viel e letta ad alta voce davanti al pubblico. Al termine della performance rimane la lettera su un foglio-tappeto bianco e una lampada accesa. La Dickinson disse che i poeti accendono lampade le cui scintille superano le distanze spazio-temporali e il bianco era il suo colore; a un certo punto della sua vita, infatti, decise di vestirsi solo di bianco. In “Seasonal Affective Disorder” (1998), Viel alterna alle parole pause di riflessione, gesti improvvisi che rivelano una condizione psicologica ed emotiva instabile. Il titolo si riferisce ad una sindrome depressiva che colpisce i popoli scandinavi nella parte dell’anno in cui prevale il buio. L’artista entra in scena, si siede, si trucca, scrive, sposta le carte su un tavolo, si specchia. I molteplici aspetti della personalità dell’artista riaffiorano nell’esplorazione del corpo e dei suoi limiti, nel disagio esistenziale, insieme con la volontà di mostrarsi senza mascheramenti davanti all’occhio della videocamera. “Progetto Bachmann” riporta la traccia della performance realizzata nel 2006 in un appartamento privato in via Giulia a Roma, prossimo all’abitazione della scrittrice austriaca tragicamente scomparsa nel 1973. Anche questo lavoro affronta l’intreccio tra testo, voce, corpo, identità, dimensione maschile e dimensione femminile. Nel 2000 Viel si chiude in una gabbia per la performance “Aladino è stato catturato”: una gabbia di legno, di quelle che servono per trasportare merci. L’artista rimane seduto su un tappeto per alcune ore a leggere tarocchi e a scrivere frasi che il pubblico gli comunica su diversi fogli colorati lasciati disordinatamente sul tappeto. Il soggetto fiabesco è un pretesto per un’ironica rappresentazione sull’influenza frustrante delle convenzioni e sui temi fondamentali di libertà e prigionia. Appositamente per la mostra al PAC Viel ha ideato un secondo nuovo lavoro dal titolo “Nel cuore della relazione” (2019): un’installazione sonora sulla discreta e intima forza rivoluzionaria della relazione d’amore. La sua voce e quella della sua compagna di vita, Laura Guglielmi, si intrecciano in un intenso e poetico “discorso amoroso” composto e scritto da entrambi. Un’opera fondamentale per la contemporaneità nella quale viviamo, perché avere un sistema, avere un linguaggio per parlare d’amore è necessario affinché l’amore sia fonte di energia e ispirazione per tutti e perché – come affermava Barthes – “la società moderna manca di un linguaggio per dire l’amore”. Il catalogo, pubblicato da Silvana Editoriale, racconterà l’intero percorso artistico di Viel attraverso un ricco apparato iconografico, nuovi testi del curatore, di Francesco Bernardelli, Emanuela De Cecco, Francesca Guerisoli, Laura Guglielmi, Antonio Leone e dello stesso Cesare Viel, oltre alle trascrizioni complete dei soggetti delle sue azioni performative più rappresentative. Ad accompagnare il pubblico tra le opere una guida gratuita alla mostra a cura di Paola Valenti, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università degli Studi di Genova. La mostra è realizzata con il sostegno di TOD’S, sponsor dell’attività espositiva del PAC, con il contributo di Alcantara, Cairo Editore e Kartell e con il supporto di Vulcano.