Non si capisce. che cosa siamo… e ci inventiamo la vita

Non si capisce, che cosa siamo…e ci inventiamo la vita Di Vincenzo Calafiore 08 Ottobre 2019 Udine “ …. Non conosciamo quasi niente della vita, e cerchiamo in tutti i modi di raggiungerla. Non riusciamo a comprendere l’amore che ci circonda, eppure parliamo di amore. Quanta superbia ed arroganza è in noi… Quanta povertà sta in colui da non comprendere la parola: t’amo! Forse siamo prigionieri dentro una prigione in cui volgiamo lo sguardo soltanto verso una direzione e quello che osserviamo: è la proiezione della realtà, non la realtà! “ Vincenzo Calafiore Un ignorante non conosce l’enorme estensione della sua ignoranza. Un sapiente conosce invece la piccolezza del suo sapere. Non so più da quanto tempo io scriva, ma ricordo di aver sempre trattato i diversi aspetti dell’Amore e della vita, l’una dipendente dall’altra; ma è altrettanto vero che non ho mai scritto per gli imbecilli e forse per questo motivo il mio pubblico è molto ristretto. In fin dei conti è di “ conoscenza “ che bisognerebbe nutrirsi, poiché la conoscenza è vita. E noi non conosciamo niente della vita e della realtà. Cerchiamo in tutti i modi di emanciparci, informarci, comprendere ma cosa effettivamente sappiamo di quanto ci circonda? Quanta superbia ed arroganza abbiamo in ogni nostra azione? Siamo tutti indistintamente prigionieri dentro una caverna, una prigione in cui volgiamo lo sguardo soltanto verso una direzione e quello osserviamo è la proiezione della realtà, non la realtà. Davanti ai nostri occhi si palesa l’ombra delle cose, l’apparenza degli eventi che viene proiettata da una fiamma alle nostre spalle. E sono così pochi coloro che si elevano da questa condizione di schiavitù e di limitazione insieme che quando ciò avviene poi è molto difficile ridiscendere nell’antro da cui si è partiti per spiegare le cose celesti che si sono viste. Perché non si è creduti. Platone, filosofo ateniese, ci racconta cosa sia la vita, dopo essersi interrogato sulla conoscenza del mondo da parte dell’uomo, ma comprende e spiega la nostra misera condizione umana. Socrate non scriveva e nell’opera filosofica la Repubblica, scritta in forma dialogica tra il 390 ed il 360 a.C., Platone si interroga sul concetto di giustizia, sulla virtù, sull’educazione, sulla forma ideale, sulla gnoseologia e, nel settimo libro del testo, si sofferma a spiegare attraverso un esempio concreto la sua concezione della conoscenza vera e della conoscenza falsa nonché la triste condizione in cui vive. Ignorante e imbecille, questo siamo! Gli uomini sono nati e cresciuti nel fondo di una caverna, con i piedi ed il collo incatenati, costretti a volgere lo sguardo davanti a sé. Dietro di loro una fiamma e tra il fuoco e questi prigionieri si frappone un muro sotto cui scorrono altri uomini che trasportano sopra il loro capo vari oggetti. Questi manufatti che riproducono immagini di animali e statuette, passando sopra il muro, vengono proiettati sulle pareti della caverna dove si posa lo sguardo degli uomini incatenati. Cosa vedono dunque i prigionieri? Soltanto simulacri. (Lo scrittore si alimenta di fantasia e la stessa in altra forma la consegna a chi lo legge. Il giornalista dovrebbe scrivere soltanto la verità e poi consegnarla….) Non animali veri, non oggetti reali ma il loro riflesso, la loro ombra. Quelle immagini come ombre passano davanti agli occhi di quegli uomini che non conoscono e non hanno conosciuto altro se non quelle raffigurazioni. E cosa è la realtà per loro se non quello? Ombre inconsistenti che si stampano sulla roccia e che vengono ritenute reali. Se poi gli uomini che conducono queste statuette parlassero pure tra loro, ai prigionieri incatenati arriverebbe l’eco delle loro parole che scambierebbero per il suono di quelle ombre. Che succederebbe se uno dei prigionieri si liberasse e riuscisse a risalire in superficie? All’inizio sarebbe accecato dalla luce del creato e dovrebbe aspettare molti giorni per abituare la vista a tutto quel bagliore. Successivamente comincerebbe a scoprire il mondo, a vedere prima le ombre poi piano piano le cose, gli oggetti che lo circondano e capirebbe che quello che riteneva vero in cattività era semplicemente la proiezione della realtà. Allora, riscenderebbe per liberare i compagni e per dire loro che sono prigionieri che la vita così come è si trova al di fuori della caverna. L’uomo non verrebbe creduto, verrebbe deriso e forse anche ucciso dai compagni che preferirebbero rimanere nella loro condizione misera ma conosciuta anziché dover affrontare la fatica della risalita ed il possibile accecamento. Perché ciò che percepiscono i prigionieri è per loro la realtà e chi ha sempre vissuto in cattività non può conoscere altro se non ciò che i propri sensi hanno percepito. Essere, ignorante o peggio ancora imbecille. “ …. Todos los que habitan el planeta, incluyendo los locos , los idiotas, tienen derecho a la palabra publica…. “