Niente di nuovo sotto il sole di Aprile. O forse sì!

Niente di nuovo sotto il sole di Pasqua. O forse si: spicca la volèe del top spin doctor di Salvini con il mitra. E la didascalia è un messaggio per i nostalgici della Resistenza e del 25 aprile:“Vogliono fermarci ma noi siamo armati e dotati di elmetto”. Ma una ventata di ossigeno puro per Madre Terrae le sue creature arriva dai giovani italiani ispirati da Greta Thunberg, dopo gli accorati e disperati appelli di Papa Francesco nella Settimana Santa tornato a denunciare la  nuova via crucis di  migranti, poveri, sfruttati: i  nuovi Cristi in croce.   Ho visto sotto il sole che non è degli agili la corsa, né dei forti la guerra E neppure dei sapienti il pane E degli accorti la ricchezza E nemmeno degli intelligenti il favore (Qoelet) “Lo avrai camerata Kesselring/ il monumento che pretendi da noi italiani/ ma con che pietra si costruirà/ a deciderlo tocca a noi./ Non coi sassi affumicati/ dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio…”  (Epigrafe di Piero Calamandrei per il camerata Kesselring) Niente di nuovo sotto il sole di aprile in questo Paese. O forse sì. Ed ecco, nel giorno di Pasqua, risorgere il Salvini in versione vetero testamentaria del “dio degli eserciti”, con un mitra tra le mani. Dall’alto del suo potere social si celebra come il nuovo difensore della cristianità, ispirato probabilmente dal franco Goffredo di Buglione (uno dei “capitani” della prima crociata nel 1096-99, ispirando la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso), ha deciso di sferrare l’offensiva della ennesima crociata contro gli infedeli, quei disperati che stanno invadendo la matripatria italicae che periscono o nei lager libici o nel nuovo cimitero marino che è diventato il Mediterraneo. L’immagine è carica di messaggi subliminalie richiama la simbologia fascista, il nuovo fascio littorio del dux Mussolini che divenne l’emblema dei Fasci italiani di combattimento fondati nel 1919. Non a caso è stata studiata dal suo spin doctor Luca Morisi per creare l’effetto social, come il top spin tennistico, il colpo ad effetto,corredato con un messaggio di pace: “Vogliono fermarci ma noi siamo armati e dotati di elmetto”. (Per chi non fosse al corrente lo spin doctor è un professionista capace di mostrare il leader come una persona normale con poteri straordinari se non addirittura, nel nostro caso, soprannaturali). Questa iconografia evoca quel periodo storico il cui epilogo lo traduce la parola lager: prima la disumanizzazione del diverso con la ghettizzazione razziale, attraverso la propaganda nazifascista antisemita, poi le leggi razziali fasciste per scongiurare ogni germe che potesse infettare la famigerata razza pura, oggi sostituita dal sovranista slogan “prima gli italiani”, ed infine i campi di sterminio. Lo spiega con lucidità profetica dopo l’esperienza terribile di Auschwitz Primo Levi in Se questo è un uomo: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”. Il 25 aprile si celebra la liberazione. Ma un Ministro della Repubblica, invece di garantire i valori fondanti e unificanti della Costituzione nati dalla Resistenza, oltre a disertare la Festa della Liberazione, lui che ha giurato di difendere la Carta che istituisce la Repubblica e i principi democratici, intima a tutti i suoi ministri di non partecipare alle manifestazioni e in pasto al popolo dei social offre il suo simulacro,emulando le oceaniche adunate per ascoltare il verbo assoluto del duce, e lancia una nuova offensiva contro ogni forma di resistenza alla deriva disumana e bellica. La tirannia e l’oppressione cambiano pelle. Il nuovo totalitarismo non ha più bisogno di manifestare la violenza con lo squadrismo.La strategia è diversa, ma il fine è lo stesso: manipolare, inquinare la coscienza, generare odio e paura, fomentare la caccia al diverso con lo stillicidiodei post nei social, iniettandonell’anima del popolo social potenti e invisibili anestetici, per renderlo insensibile e asettico e plasmarlo alla schiavitù volontaria. E ilpopolo sovrano è affamato di simulacri e di capitani, è in trepida attesa per adorare il vitello d’oro: si nutre di idoli sempre più rozzi, non ha più bisogno dei comandamenti incisi sulla pietra. Ed ecco, nel giorno del “passaggio”, della resurrezione, il dio degli eserciti si manifesta disincarnato, brandendo lo scettro del potere e inviando un messaggio urbe et orbi: pronto a difendere la gloria e l’orgoglio della razza eletta italica. Le armi come simbolo di potere e di terrore nello stesso tempo, di forza e di autorità, ma anche di distruzione, di annientamento. I vecchi simboli ritornano con una nuova carica, perché quel popolo con cui comunica è stato regredito allo stato brado, elementare, primordiale, per far partorire gli istinti primari, ormai incapace di utilizzare il logos, si affida al mithos nefasto dell’uomo barbarico. Non più homo sapiens, ma necans dementis, come aveva già intuito oltre cinque secoli addietro un certo Erasmo da Rotterdam, con il suo Elogio della follia. Ma l’obiettivo sono sempre loro, gli stranieri, quelli che papa Francesco ha identificato come i nuovi Cristi in croce dei nostri tempi. I moderni lager non sono più ubicati a Auschwitz, a Birkenau, a Dachau, Treblinka, ecc. ma si trovano in Africa, in Libia, sui barconi, dentro le viscere del Mediterraneo, nel corpo di questo sistema neocapitalista e neoliberista, fondato sul consumo anche di ogni sentimento umano, che produce scarti umani, crimini contro l’umanità, ma tutto legalizzato, come le leggi di Norimberga in Germania nel 1935 e quelle razziali in Italia del 1938. Eppurela vulgata che il problema degli italiani siano i nuovi deportati e disperati africani, passa nelle viscere del popolo populista e sovranista. Lo spiega con la sua incommensurabile profondità don Luigi Ciotti nella sua illuminante “Lettera a un razzista del terzo millennio” quanta propaganda, quanta menzogna, quanta ingiustizia, quanti crimini si celano dietro l’indegna campagna di odio e di xenofobia di cui sono responsabili tutti gli esponenti di questo Governo, compresii sostenitoriM5S che si sono resi complici con il loro semplice consenso. E’ il caso di richiamare la “banalità del male” di Hannh Arendt, per comprendere come si costruisce un potere totalitario, oppure richiamare ciò che ha scritto il filosofo Gunther Anders, in pagine epistolari che tutti dovrebbero leggere attentamente, redatte nel 1964, e che portano il titolo di Noi figli di Eichmann. Si tratta di una lunga lettera al figlio di Adolf Eichmann, il principale responsabile “tecnico” del massacro di milioni di esseri umani,dove il filosofo prefigura l’oscuramento della nostra visione a causa di una “frattura”, che man mano si allarga a dismisura, tra la capacità di produzione e quella dell’immaginazione, in quanto « la nostra capacità di produzione è illimitata, dato che l’incremento delle prestazioni tecniche non conosce limiti; mentre quella della nostra immaginazione è limitata per natura». E questo porta l’uomo a non avere più la percezione degli effetti che la tecnica produce: «Quanto più si complica l’apparato in cui siamo incorporati, quanto più si ingrossano i suoi effetti, tanto meno vediamo, tanto piccola si fa la nostra chance di comprendere i procedimenti di cui noi siamo parti o condizioni. Nonostante il nostro mondo sia fatto dall’uomo e sia mantenuto in movimento da noi tutti, a causa del fatto che esso si sottrae alla nostra immaginazione e alla nostra percezione diviene di giorno in giorno più oscuro. Tanto oscuro che non riusciamo a vedere il suo oscuramento. L’ingenua speranza ottimistica del XIX secolo, quella secondo cui la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la chiarezza dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in tale speranza, non solo è un semplice relitto dell’altro ieri, ma è anche una vittima degli attuali gruppi di potere; cioè vittima di quegli oscuri uomini dell’era della tecnica che hanno tutto l’interesse a mantenerci all’oscuro sulla realtà dell’oscuramento del nostro mondo, producendo ininterrottamente quest’oscurità[…]». Più avanti, richiamando la categoria della “mostruosità”, Anders esorta il figlio Klaus a riflettere «Poiché ora ci troviamo veramente di fronte ad una delle radici del “mostruoso”. L’inadeguatezza del nostro sentire non è un semplice difetto fra i tanti; non è neppure soltanto peggiore del fallimento della nostra immaginazione e percezione; essa è invece addirittura peggiore delle peggiori cose che sono già accadute; e con questo voglio dire che esse è persino peggiore di sei milioni. Perché? Perché è questo fallimento che rende possibile la ripetizione di queste terribilissime cose […] Infatti ad incepparsi non sono solo i sentimenti dell’orrore, della stima o della compassione, bensì anche il sentimento della responsabilità. Per quanto possa sembrare infernale, anche per quest’ultimo valgono le medesime cose che valevano per l’immaginazione e la percezione: esso si fa tanto più debole quanto più aumento l’effetto a cui miriamo o che abbiamo già raggiunto; diventa cioè uguale a zero. E questo significa che il nostro meccanismo d’inibizione s’arresta del tutto non appena si sia superato una certa grandezza massima. » Ecco perché Noi possiamo essere inconsapevoli figli di Eichmann: «Si accorge di qualcosa, Klaus Eichmann? Si accorge che il cosiddetto “problema Eichmann” non è un problema di ieri? Che esso non appartiene al passato? […] Che tutti noi, siamo ugualmente figli di Eichmann? O perlomeno figli del mondo eichmanniano? ». Di fronte alla “banalità del male” di cui siamo protagonisti inconsapevoli per difetto di percezione e immaginazione, si scatena la hybris, topos della tragedia e della letteratura greca che prefigura la tracotanza, la smisuratezza, l’empietà, la violenza, la dissacrazione.È quello che accade come si evince dalla lettera scritta dal fondatore e presidente dell’associazione Gruppo Abele e Libera, don Luigi Ciotti. E svela cosa accade dietro la nuova via crucis di milioni di esseri umani costretti a lasciare la loro terra, a sradicarsi, per la smisuratezza della mostruosità di questo sistema economico e produttivo che mette come dio assoluto il profitto, il mercato, il denaro, senza curarsi della sorte degli esseri umani. Don Luigi parte dalla vicenda di Sam, un bimbo nato tre giorni prima sulla costa libica dopo l’attraversamento del Sahara da parte della madre, salvato nel Mediterraneo dalla nave Ong. Prelevato con un elicottero assieme alla madre e trasferito a Malta. E poi focalizza lo sguardo sulla tragica immagine di una bambina yemenita morta di fame a sette anni, “come centinaia di altri bambini yemeniti travolti da una guerra combattuta con armi costruite nel nostro Paese. La sua fotografia, il viso reclinato con gli occhi persi, le ossa a malapena ricoperte di pelle, le mosche sulle mani, ha provocato l’indignazione di un giorno”.  Ma, “di fronte all’ingiustizia che monta di fronte a noi non si può stare zitti” dichiara don Luigi, perché“il razzismo e la mancanza di compassione e sensibilità per la sofferenza e il destino di altre persone preparano esiti bui”. E di fronte all’ipocrisia, alla manipolazione profonda delle coscienze, ai persuasori occulti che ormai hanno contaminato come un tumore inarrestabile le coscienze social, di fronte a quel mitra imbracciato dal nuovo “dio degli eserciti”, chi fino a poco tempo fa si indignava (come il popolo pentastellato), non si indigna più? Fa buon viso a cattivo gioco? O continua a scrutare la pagliuzza altrui e non vede la trave conficcata nelle proprie pupille?   Questo comportamento ipocrita testimonia che il potere ha radici antiche, è rimasto come la mitica Medusa, pietrifica con lo sguardo. E sappiamo come quello del potere, del dominio che si esercita attraverso il controllo, è un tema sempre attuale, non solo del passato, perché “chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato” (G. Orwell, 1984). È sempre Roberto Calasso a tracciare la sua evoluzione nell’età post-umana dei social:«Per tutto il Novecento l’ossessione ricorrente stata quella del controllo sociale. Una volta divenuta entità sovrana ed emancipata da qualsiasi vincolo, spettava alla società controllare e plasmare il proprio materiale. Le varie forme totalitarie furono altrettanti tentativi in questa direzione. Ma i soggetti operanti solo apparentemente erano gli Stati. All’interno di ciascuno Stato, si installava una compagine ristretta, aggregata allo Stato ma capace di pilotarlo (. …). Erano corpi settari che disponevano di poteri illimitati. (…)Ma non sarebbe stata l’ultima modalità del controllo. All’inizio del nuovo millennio, quando si stabilizzò l’impero digitale, divenne chiaro che controllo significava innanzitutto controllo dei dati. E la situazione si rovesciò. Quei dati non venivano più estratti a forza dall’alto, ma spontaneamente offerti dal basso, da innumerevoli individui. Ed erano la materia stessa su cui esercitare il controllo. Ci si chiese allora: quale sarebbe stato il potere controllante? I primi sospetti come sempre furono gli Stati. Ma qui è intervenuta la novità dirompente. Gli Stati non sono i soli a poter agire. A partire da loro si dà una sequenza che include innanzitutto le imprese dove affluiscono dati in ogni istante – e si estende fino alle banche informatiche  (di criminali? Di attivisti per qualche buona causa?) e al singolo, anonimo hacker, che potrebbe anche soltanto giocare con il suo potere.L’anonimità è il punto cruciale. Si compie così una sorta di ritorno all’origine: ogni società svincolata da osservazioni devozionali è inizialmente un’entità anonima. Poi si identifica con certe forme di Stato (…) poi con sette interne e infine con immani imprese che raccolgono e governano dati…». Il “Grande Fratello” immaginato da George Orwell è realtà con il controllo totale, sistematico, microscopico delle tracce digitali, degli enormi archivi informatici da cui vengono tarati chirurgicamente messaggi personalizzati attraverso il nuovo ordine di sua maestà l’algoritmo. Niente sfugge all’occhio onnisciente e onniveggente che scruta e prepara la nuova mutazione antropologica, grazie al nuovo confessionale dei social, dove ogni like è prezioso pane per i maestri che analizzano i big data.I nuovi regimi totalitari si sono dotati di potentissimi strumenti. Non hanno più bisogno di usare la violenza per dominarci. Ci danno l’illusione di esseri liberi ma la nostra libertà consiste solo la scelta della forma di schiavitù più congeniale alla nostra natura social, e di ciò ne siamo compiaciuti ed esibiamo il nostro narcisismo con i like. Tutto questo avviene in modo inconsapevole; ma quando la nostra coscienza si illumina, siamo ormai talmente assuefatti alla potente e invisibile droga che non possiamo più farne a meno: «Lo sviluppo dei media ci ha posto davanti a uno dei principali problemi etici, quello della verità e della menzogna. Nel Medioevo, il mezzo di comunicazione era la lettera. Se chi la scriveva mentiva, ingannava una data persona. Poi Hitler riuscì ad ingannare quaranta milioni e Stalin duecento. Oggi certi programmi televisivi vengono seguiti da un miliardo di persone. Se c’è dentro una bugia verrà moltiplicata miliardi di volte… Il pericolo sta nel fatto che i media, divenuti una potenza, hanno smesso di occuparsi esclusivamente di informazione. Si sono prefissi una meta più ambiziosa, quella di creare la realtà». Ma oggi, ci rammenta ancora R. Kapuscinski,“è impossibile immaginare la vita della società mondiale senza i media. C’è stato un tempo in cui l’uomo non poteva sopravvivere senza l’uso delle armi; poi senza quello delle macchine e dell’elettricità; oggi non può sopravvivere senza i media». (R. Kapuscinski, Autoritratto di un reporter, 2008). È questo il cambiamento atteso dal popolo della democrazia diretta, della disintermediazione. Ne svela i meccanismi occulti e manifesti ancora Roberto Calasso, ne L’innominabile attuale:  «Un giorno, all’alba del mondo digitale, non si profilò un termine fascinoso: disintermediazione… se questa valeva per un viaggio o una prenotazione di albergo, perché non doveva valere anche in politica?È una domanda che ha obnubilato non pochi – e continua a farlo, quanto più la digitalità è pervasiva e la disintermediazione offre a ogni passo una facile ebrezza. La quale, se osservata da vicino, si rivela fondata sull’odio per la mediazione. Che è fatale per il pensiero. Non c’è bisogno di rifarsi a Hegel per sapere che non solo il pensiero, ma la percezione sussistono grazie alla mediazione.Anche il vagheggiamento della democrazia diretta non discende ormai da una riflessione politica, ma dall’infatuazione informatica, che deprezzando la mediazione, finisce anche per deprezzare l’immediatezza, raggiungibile soltanto dopo aver attraversato il reticolo delle mediazioni».La “disintermediazione” e della democrazia digitale, è un mito perseguito con tenacia dalle cinque stelle cadenti. Stefano Rodotà (scomparso nel giugno del 2017), ne “Il mondo nella rete” (2014) lo ribadisce: «È evidente che sull’orizzonte originario di Internet si staglia nitido, il mito fondativo della democrazia: l’agorà di Atene. Infatti si è pensato che nel villaggio globale, nell’immensa piazza virtuale, sarebbe stato possibile ricostruire le condizioni della democrazia diretta».Ma le cinque stelle decadenti hanno mutato splendore, sembianze, pelle e anche gruppo sanguigno e preparato la nuova via al potere del dio degli eserciti. L’arma che viene esposta tra le braccia del Ministro degli Interni nonché erede di tutta una storia che risale a cento anni fa, con la rinascita delfascio littorio, ritradotta, a partire dagli anni Novanta, con la famigerata “discesa in campo” dell’allora Cavaliere paladino della corte di Carlo magno che aveva come emblema il biscione, per cantare “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori” per la bella mora Angelica Ruby.Ma tutto quelvile metallo si è trasformato, per virtù alchemica, dopo la nuova mutazione genetica, in oro nelle miracolose mani della nuova incarnazione divina del paladino Matteo, lo strenuo difensore della razza italica contro i Saracini. Quell’immagine col mitra, si tratta, con evidenza lapalissiana, di un’arma di distrazione di massa, per distogliere il popolo dei social dalle questioni scottanti che fanno parte del DNA di questo Paese, cioè quello della corruzione e del perverso intreccio tra ambienti mafiosi e istituzioni, e che hanno coinvolto il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri per le oscure trame conl’imprenditore dell’eolico Vito Nicastri, già agli arresti domiciliari, considerato “il re del vento” e arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la Dia, dietro la sua scalata economica, ci sarebbe la mano delcapo di Cosa Nostra e latitante da 26 anni Matteo Messina Denaro. E nonostante il quadro indiziario, il re del vento, avrebbe continuato a fare affari. Ma a creare questo intreccio ci sarebbe il docente di Ecologia (ironia della sorte)  PaoloFranco Arata, genovese come Siri, guarda caso ex parlamentare di Forza Italiae ora vicino alla Lega a tal punto che è stato uno dei creatori del programma di governo della Lega sull’Ambiente, il cui figlio Federico ha fatto lo spin doctor internazionale della Lega, al soldo del capitano Salvini, e assunto dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti a Palazzo Chigi. È proprio Paolo Arata, secondo le ricostruzioni, ad aver tessuto la tela dei rapporti dalla Sicilia fino al cuore del Governo, mentre un altro figlio di Arata, Francesco Paolo, è sotto inchiesta a Palermo. Non a caso Salvini ha dichiarato che il 25 aprile sarà in Sicilia “per la liberazione della mafia”: “Ognuno passa il 25 aprile come vuole, vestito come vuole, senza polemica. Ma credo che il ministro dell’Interno vada in Sicilia a combattere la mafia”. Improvvisamente si è rinsavito come Orlando dopo che Astolfo si è recato sulla luna a recuperare il suo senno, e si è accorto che in Sicilia esiste la mafia! La parabola della pagliuzza e della trave non finisce mai di ammaestrarci.  I duevicepremier, troppo impegnati a fare la radiografia all’altrui identità,in particolare ai migranti, hanno dimenticato di farla a Siri, dopo essere stato condannato per un reato gravissimo, bancarotta fraudolenta, nel 2014. Ma a garantire sulla integrità del sottosegretario è sempre il deus ex machina,“O capitano! Mio capitano! Risorgi, odi le campane… ”. Già lo cantava Walt Whitman. Ma “Non si sazia l’occhio di guardare /né l’orecchio è mai sazio di udire./ Quel che è stato sarà /E quel che si è fatto si rifarà./Niente di nuovo sotto il sole”. Diversi gli studiosi e gli analisti che confermano gli effetti nefasti che i social media producono nella “mente che mente” degli utenti. Lo spiega l’economista comportamentale C.R. Sunstein in  “#republic. La democrazia nell’epoca dei social media”: “Viviamo nell’era dell’algoritmo e gli algoritmi la sanno lunga. Con l’ascesa dell’intelligenza artificiale, gli algoritmi sono destinati a compiere enormi progressi. Impareranno moltissime cose su di voi, e sapranno cosa volete o cosa vi piace prima e meglio di voi. Conosceranno perfino le vostre emozioni, ancora una volto meglio e prima di voi, e saranno in grado di simularle”. Emerge forte il tema dei diritti evocati in particolare da Stefano Rodotà, che enuncia il timore che si instauri una sorta di «fascismo digitale», nuove forme di totalitarismo che definisce «dittatura dell’algoritmo»ancora più insidioso perché è sotterraneo, invisibile, quando si va a parlare di democrazia elettronica, come massima espansione del potere del cittadino: «Questo confidare negli algoritmi ne determina una presenza sempre più pervasiva, che sembra non conoscere confini. L’algoritmo disegna le modalità di funzionamento di larghe aree delle nostre organizzazioni sociali, e così redistribuisce poteri.  E nella vita quotidiana si insinua il germe di nuove discriminazioni, nasce il cittadino non più libero, ma ‘profilato’ prigioniero di meccanismi che non sa e non può controllare». (S. Rodotà, Il mondo nella rete). Il fenomeno che ha fortemente stupito non è solo l’enorme mole di dati che si possono trattare oggi con algoritmi o sistemi informatizzati, ma la precisione chirurgica attraverso la quale si riescono a profilare gli utenti. Per poi condizionarli. Con l’analisi dell’attività su Facebook e dei like si arriva a conoscere una persona meglio di quanto la conoscano gli amici e, soprattutto, si riesce a forgiare un tipo di messaggio – elettorale, commerciale o di altro genere – che si è certi possa condizionare le sue emozioni. Ad imperare «è la logica dell’audience: le notizie di qualsiasi origine, finiscono con il plasmare post-verità e conferire autorevolezza alla loro fonte in funzione della quantità di lettori» sostiene Antonello Soro,“Garante per la protezione dei dati personali”, che ha scritto un testo sul tema del condizionamento della democrazia attraverso i social media, Persone in rete. Spiega che «la manipolazione del consenso, resa possibile dal condizionamento delle opinioni dei cittadini profilati in base al loro comportamento in rete, costituisce un pericolo per la tenuta delle democrazie, che rischiano di regredire verso regimi plutocratici, fondati sul potere informativo». Il problema più grave è che non si è più in grado di interrogarsi profondamente sulle conseguenze delle proprie azioni nell’era della tecnica, come ha messo in luce Anders in Noi figli di Eichmann:viene meno una visione che possa spaziare nel tempo e nello spazio, perché lo sguardo è imprigionato nei labirinti dei social, creati per risucchiare il pensiero e le coscienze e schiavizzare gli esseri umani. Viene meno la consapevolezza etica, per non parlare di quella spirituale. Nell’era della post verità, si ha la libertà di scegliere come essere schiavizzati: è questa la nuova democrazia, che si è trasformata in tecnocrazia, in plutocrazia. Come ci ammonisce un grande storico fondatore dell’Ecoledes Annales, vittima dell’orrore nazista nel giugno del 1944, Marc Bloch, in un passaggio del suo libro postumo,Apologia della storia: «Avevo letto più volte, avevo spesso narrato racconti di guerra e di battaglie. Ma conoscevo davvero, nel significato pieno del verbo «conoscere », conoscevo proprio dal di dentro, prima di averne provato io stesso l’atroce nausea, che cosa sono l’accerchiamento per un esercito, la disfatta per un popolo? »; e spiega: «In verità, consciamente o non, al fin fine noi deriviamo sempre dalle nostre esperienze quotidiane, sfumandole ove occorra con nuove tinte, gli elementi che ci servono a ricostruire il passato» per concludere con una sorta di statuto etico per chi si dedica al mestiere di storico: «Ma l’erudito che non ami osservare intorno a sé né gli uomini, né le cose, né gli eventi, meriterà forse – come diceva Pirenne – il nome di utile antiquario. Farà bene a rinunciare a quello di storico». E’ un dettato che dovrebbe valere per tutti questi apprendisti stregoni dei social che hanno l’ambizione di fare politica attraverso il “nazionalsocialismo” dei like e che pensano di decidere sulla piattaforma Rousseau o  quella Twitter e di Facebook, il destino degli esseri umani. Come presagisce il filosofo Remo Bodei, nell’analisi che conduce in Vivere online, in cui evoca il rischio di uno «svuotamento dall’internodei contenuti della politica e di scadimento dell’informazione nella disinformazione, nella dissimulazione della realtà, con comportamenti che richiamano lo spirito dei più beceri totalitarismi» e afferma:«Con l’ampia diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, colpisce l’apparente incongruenza per cui nei sistemi parlamentari e nell’età dei diritti, la democrazia sembra servirsi sempre di più delle stesse armi di simulazione e dissimulazione «disonesta» usate dai regimi totalitari».   Il 22 aprile è il giorno dedicato alla salvaguardia di Madre Terra, ai temi fondamentali dell’ecologia. Questo appuntamentosi è intrecciato con la presenza in Italia della giovane attivista Greta Thunberg dal 17 aprile, giorno in cui ha incontrato papa Francesco che sul tema dell’ecologia ha scritto la sua enciclica “Laudato sii” diventato un tema centrale assieme alla questione dei diseredati, degli “scarti umani”, fin dal principio del suo pontificato. La sedicenne svedese ispiratrice del movimento mondiale “Friday for Future” dopo lo sciopero dei giovani di tutto il mondo del 15 marzo per richiamare l’attenzione dei Governi sui gravi problemi dell’inquinamento ambientale e – aggiungiamo noi – delle coscienze, è venuta in Italia per partecipare alla manifestazione che si è svolta a Roma il 19 aprile. Dal palco di piazza del Popolo ha lanciato l’appello “il futuro è la sola cosa di cui abbiamo bisogno” con la partecipazione di migliaia di ragazzi, bambini e adulti, riuniti con lo slogan “Con Greta salviamo il pianeta”. E l’auspicio che dall’etica dei principi si passi all’etica della responsabilità.Ma la necessità della cura verso l’ambiente e verso i nostri principi e sentimentiumani, significa anche un ritorno al contatto con la natura, uscire dalla realtà virtuale, incontrare le persone, per disintossicarsi da tutta questa patologia della rete.Un messaggio in questa direzione si trova nelle ricerche di uno psichiatra tedesco Manfred Spitzer, che ha dedicato al fenomeno dei social tre libri, in cui lega il mondo dei social alla crescente solitudine delle persone. I suoi studi scientifici sono stati condensati in tre opere: Demenza digitale, Solitudine digitalee di recente Connessi e isolati.In un’intervista(su Avvenire del 13 febbraio scorso) delinea cosa accade sui social media, così come aveva compreso già Vance Packard neI persuasori occulti nel 1956: «La reale funzione di Facebook, Twitter, Instagram, e tutti gli altri social network è la pubblicità, il loro è un modello commerciale (…)I social stanno ai rapporti interpersonali come i pop corn stanno alla sana alimentazione: ci si aspetta a provare gioia tra amici e ciò che in verità si ottiene è solo aria fritta». Lo psichiatra spiega anche che «i contenuti televisivi forniscono modelli sociali attribuendo fama non a chi si distingue nei vari campi, ma semplicemente a chi fa più apparizioni». Poi traccia un resoconto dei suoi studi scientifici:«Anch’io mi sono stupito dei dati scientifici. Fra i sempre connessi si diffonde una forma di solitudine da narcisismo che produce una patologia specifica con dolori e indebolimento del sistema immunitario. Solitudine e dolore vengono elaborati nella stessa area cerebrale. Questo significa che a parità di patologie, chi si sente solo soffro più degli altri». Infine Spitzer indica una via di uscita: «Per curare questo tipo di solitudine è importante migliorare i contatti diretti. Per questo è dannosa la frequentazione sui social per i giovanissimi: ostacola l’apprendimento delle competenze sociali, perché non avendo davanti l’interlocutore non si può misurare lo svolgimento di una relazione attraverso gli sguardi, le espressioni facciali e corporee che sono gli indicatori delle emozioni suscitate. Così non si impara a sviluppare l’empatia, una funzione profondamente radicata nella biologia umana, che è la vera ricetta per la felicità, perché è dimostrato che l’ego-riferimento, oggi così dilagante, non produce soddisfazioni autentiche e durature come succede nelle relazioni prosociali. Tutte le ricerche lo confermano: come già diceva Aristotele, l’uomo è un essere socievole, per stare bene ha bisogno di essere inserito in una comunità. Questo non vuol dire che sia sempre necessario stare in mezzo alla gente: basta il contatto con la natura ad alleviare la solitudine: è stato dimostrato che l’osservazione della natura mette in moto il sistema nervoso parasimpatico e provoca benessere».