La misteriosa Milady del Pellegrini, restaurata in mostra a Belluno

A Palazzo Fulcis giunge, dalle collezioni di Fondazione Cariverona, un prestito di rilievo particolare: l’affascinante tela di Gian Antonio Pellegrini popolarmente conosciuta come il Ritratto di Milady, musealmente classificato invece come “Ritratto di signora in un giardino con ancelle al pozzo”. E’ un’opera straordinaria per qualità della pittura e per l’atmosfera tipicamente inglese che trasmette. La grande tela si è vista davvero raramente. Molto nota agli esperti, da tempo non è più visibile al pubblico. Per questa mostra bellunese, Fondazione Cariverona ha deciso di concederla, dopo che il capolavoro del Pellegrini è stato sottoposto a restauro. In Palazzo Fulcis, per la prima volta il pubblico potrà ammirare il dipinto in tutta la sua ritrovata magnificenza. Il restauro, condotto dal laboratorio fiorentino di Debora Minotti ha ridato alla celebre Milady l’incarnato roseo che le apparteneva e ha riportato l’intero dipinto alle tonalità delicate originali.  Nel corso dell’intervento, si è inoltre scoperta la presenza di una sagomatura semicircolare nella parte inferiore, al centro: circostanza che conferma come, ad un certo punto della sua storia, il dipinto sia stato utilizzato a mo’ di sovrapporta in posizione rialzata. Il mistero intorno alla nobile dama protagonista del dipinto resta fitto. Non c’è infatti ancora alcuna certezza su chi sia la Milady rappresentata da Antonio Pellegrini, nel suo eccezionale ritratto, riconducibile al secondo periodo inglese del Maestro, intorno al 1719. “Certamente una donna che cercò di farsi rappresentare come una dea agreste, in un grande dipinto di formato orizzontale dal taglio ‘eroico’ e monumentale benché realizzato con una pittura impalpabile e di grande leggerezza”, afferma Denis Ton, curatore della mostra in Palazzo Fulcis. Accompagnata dal fido cane e dalle ancelle che versano acqua da una brocca (probabile allusione alle sue virtù di fedeltà e castità), la donna è raffigurata adagiata in mezzo a un paesaggio boscoso che si intravede in lontananza. “Pur conservando l’indeterminatezza propria dei ritratti pellegriniani, si nota – sottolinea di curatore – una maggiore caratterizzazione nel volto della donna rappresentata. Mentre le comparse e così il paesaggio sono concepiti con una lievità quasi impalpabile tipica dell’arte del maestro, creando effetti quasi di sfocatura, il personaggio principale si impone con forza. La gentildonna qui rappresentata non è estranea a una certa aria matronale, subito addolcita dai tratti del volto idealizzati, nella stesura dei quali Pellegrini, come confermato dall’intervento di restauro, pare impiegare una tecnica assai differente, molto più accurata, ricercando effetti più simili al pastello che alla pittura ad olio, avvicinandosi a modelli della ritrattistica dell’affezionata cognata, la grande Rosalba Carriera”. La concezione del dipinto suggerisce una finalità decorativa prima ancora che di documentazione ritrattistica, confermando come Pellegrini fosse considerato come un maestro capace di proiettare le sue figure, anche quando tratte dalla vita contemporanea, in una dimensione senza tempo.