La tragica morte di un migrante nel rogo nella tendopoli di San Ferdinando

Ciò che dentro di noi brucia è ancora un olocausto nell’inferno della tendopoli di San Ferdinando. L’ultimo sacrificio sull’altare delle politiche antimigranti, un ragazzo di 18 anni originario del Gambia, Suruwa Jaithe. Un incendio che si è propagato nella notte tra l’1 e il 2 dicembre, ha bruciato le sue speranze e i suoi sogni. Il 10 dicembre la ricorrenza della giornata mondiale dei diritti umani, ma con il decreto “Sicurezza e immigrazione”, il governo Lega-M5S, ha scelto la via della ghettizzazione e della disumanizzazione, distruggendo la rete umanitaria degli Sprar, violando la Dichiarazione universale dei diritti sanciti dall’Onu e i principi fondamentali presenti nella Costituzione italiana. In questi tempi di inquisitori e untori come non pensare a Giordano Bruno bruciato vivo nei roghi appiccati dalla furia eretica e profanatrice della Santa inquisizione in quel famigerato 17 febbraio del 1600. La sua statua bronzea in piazza Campo dei Fiori a Roma ammonisce il mondo. Non ha abiurato alla sua libertà di pensiero, al desiderio di viaggiare nell’universo aperto alla magnificenza degli “infiniti mondi”, del creato e delle sue creature. È lui è diventato un gigante di fronte alla meschina e oscura autorità dei suoi inquisitori. Rivolto ai giudici, dopo aver ascoltato la sentenza di condanna, pronuncia queste parole: “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”. Giordano Bruno ha testimoniato la potenza della libertà e di ogni Supremo Spirito che interroga il mistero della vita e che fa scaturire il fuoco della conoscenza, l’amore per la ricerca e per la giustizia. La notte tra il 1 e il 2 dicembre, un altro potenziale Giordano Bruno è stato consumato dalle fiamme nella tendopoli-baraccopoli di San Ferdinando. Aveva 18 anni. Tanti sogni e tante speranze andati in fumo. Era giunto dal Gambia Suruwa Jaithe, ospite dello Sprar di Gioiosa Jonica, gestito dalla rete dei comuni Solidali. Doveva iniziare un tirocinio di 4 mesi in questo mese. A gennaio era toccato a Becky Moses, una ragazza nigeriana di 26 anni. Un altro incendio aveva distrutto oltre 200 baracche. La donna era arrivata a San Ferdinando da pochi giorni perché costretta a lasciare lo Sprar di Riace in seguito alla seconda negazione alla sua richiesta di asilo. Non potendo più fare appello per la terza volta, dopo la modifica del regolamento voluto dall’ex ministro dell’Interno Minniti, Becky Moses è finita nel ghetto dove ha conosciuto quella orrenda fine. Chissà cosa starà meditando dalla rupe, dove è stato incatenato Prometeo, il titano che ha rubato il fuoco a Zeus per donarlo all’umanità, simbolo della tecnica e del progresso. Per chi ancora sente sgorgare dentro la linfa dell’umanità, della pietas, della fratellanza, ciò che ancora una volta sente bruciare e divampare dentro è l’indignazione, la ribellione, lo sconcerto per la disumanizzazione in atto in Italia e nel mondo, non certo la rassegnazione e lo sconforto. Ciò che ancora dentro non si spegne in questi tempi inquieti e in questa terra, è l’ennesimo olocausto. In Campania, nella terra dei fuochi, bruciano le immondizie che gli imprenditori del Nord generosamente hanno regalato ai campani in memoria della Terra Felix. In Calabria, nell’antica Italia a San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro e Rosarno, a bruciare sono i rifiuti umani, i migranti sfruttati e schiavizzati, peggio delle bestie. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, animato dal suo spirito ardente, voleva costruire un nuovo inceneritore per risolvere il problema dei rifiuti nella terra dei fuochi e ospitare i rifiuti delle fabbriche del Nord mischiati alla “spazzatura umana” del Sud. Un baratto con Di Maio. Ma poi ha deciso di immolarsi e di purificasi nel magma sotterraneo che sta covando dentro il Vesuvio e nell’Averno, con la supervisione del professore e presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha la vocazione di confessarsi nella chiesa di facebook. Nel mondo sono stati eretti tanti roghi, ma sono pochi i focolari che ardono, riscaldano e accolgono. Quest’altro rogo ha incenerito non solo la giovane vita di Suruwa Jaithe, perché ad andare in fumo sono soprattutto i sacri diritti di ogni essere umano enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Ironia della sorte o raffinata malvagità, si sta pensando di spostare la tendopoli di San Ferdinando in un’area adiacente all’inceneritore che si trova nel territorio della cosiddetta Zes, (Zona economica speciale) a Gioia Tauro. Rifiuti umani pronti per essere arsi. E chissà se rimorderà la coscienza a qualche fervente apologeta della purezza pentastellata! Agli Sprar infatti questo governo Cinquestelle-Lega ha preferito i ghetti delle tendopoli e dei Cpr (Centri per il rimpatrio) dopo aver abolito la protezione umanitaria, oltre alle tante restrizioni per accogliere questi disperati che fuggono dall’inferno e si ritrovano in un altro inferno. Che fine ha fatto quella folta schiera degli indignati social che si scagliava contro i corrotti, gli usurpatori e i disonesti della Casaleggio & associati? Non si indigna più di fronte all’immane inceneritore sociale dove a bruciare sono i principi sanciti dalla Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti umani? In questa impresa Di Maio e company sono forse sono stati illuminati dalla fiamme della geenna. E hanno fatto un ottimo lavoro, non in nero, perché con il decreto “sicurezza e immigrazione” sta bruciando la “spazzatura umana” che gli Sprar, e le tante Riace e i gli utopisti alla Lucano, avevano accolto per restituire dignità e valore alla differenza, contro l’indifferenza e il razzismo disseminati con oculatezza e spregiudicatezza. Il sistema di accoglienza e di ospitalità nelle varie comunità era stata la risposta di umanità, riconosciuta a livello internazionale, ai tanti “Odissei” che hanno osato oltrepassare le Colonne d’Ercole e sfidato il fato con il loro folle volo alla ricerca di “virtute e canoscenza” (XXVI canto dell’Inferno). Tutto quello che si è costruito con enorme fatica, con pazienza, con amore, con responsabilità umana, etica, sociale, è andato in fumo. Riace è stata già bruciata, ma non estinto il suo fuoco. Come Fenice risorgerà. Non passeranno i mitici Cinquecento anni, perché nessun Salvini, nessun Di Maio, potranno fermare il sentimento che spira sulla rosa dei venti della storia e dello Spirito umano: non ci riusciranno le cinque stelle cadenti e le truppe corazzate leghiste a far scomparire la bellezza del Firmamento: non avranno la forza di estirpare le profonde radici dell’accoglienza, della Xenia, che in millenni è stata coltivata contro la barbarie umana. Un sentimento indefinibile percorre l’esistenza. Lo attraversa e lo apre. E dentro appare l’abisso di una umanità dove l’orrore si rinnova. Quanti esseri umani trattati peggio delle bestie, reclusi, schiavizzati, che vivono nelle discariche della cosiddetta civiltà, diventano essi stessi rifiuto. Nuovi lager e alti muri sono edificati con le pietre dell’egoismo, della paura e dell’odio! Il 10 dicembre ricorre la giornata internazionale dei diritti umani. Quest’anno sono 70 anni dall’approvazione da parte Onu. L’articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione, di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Ma questo Governo ha sancito la negazione, la sistematica violazione. Si rinnova il processo di rimozione sulla tremenda responsabilità da parte dell’Europa e dell’Italia verso il destino di questi esseri umani. Si dimentica che i paesi africani, da dove arrivano la maggior parte dei migranti, sono stati depredati delle loro risorse e della loro terra e in cambio, le nostre società opulente, civili, figlie dell’età dei Lumi, hanno offerto con magnanimità armi e distruzione. Ci sono fatti che dovrebbero scuotere le coscienze come una tempesta di vento che agita gli alberi e solleva tutto ciò che si trova nel suo impeto. Ma in questa società dei post è la corsa sfrenata al consenso, al successo personale, al puro autocompiacimento, al potere per il potere, alla propria vanagloria e vanità, che impera e crea la furia disumana. I social hanno fatto scoppiare, come una emorragia inarrestabile, la narcisistica ostentazione del proprio ego. Ormai quest’onda è diventata una droga invisibile, seducente, di cui adesso la stragrande maggioranza non ne può fare a meno. Ed è su questa epidemia, una sorta di peste nera che si è dilagata in poco tempo ormai in tutto il mondo, che alcuni movimenti e personaggi in cerca d’autore si sono costruiti il loro consenso. Ma il consenso, in questo caso, è il riflesso del fumo che esce dai tanti roghi, dalle tante ciminiere, e inquina, ammala e ammalia. La cenere viene poi spacciata come preziosa polvere per far brillare gli occhi ottusi di qualche maschera di cartapesta. Questo scenario ci riporta ad un pioniere del futurismo, Aldo Palazzeschi, il quale aveva creato con la sua fervida immaginazione “l’uomo di fumo” nel romanzo “Il Codice di Perelà” (1911), vissuto per trentatré anni nella cappa del camino di una villa, vicino al quale stavano sedute tre vecchie, Pena, Rete e Lama. Le donne alimentavano il fuoco e parlavano e i loro lunghi discorsi avevano educato l’uomo di fumo. Quando, d’un tratto, il chiacchierio delle tre donne cessa, dopo aver atteso tre giorni, Perelà decide di scendere dal camino. Trova un paio di stivali e si reca in città, attirando la curiosità di tutti per il suo modo ondeggiante di camminare, per la materia impalpabile di cui è fatto…”. L’intuizione squarcia il tempo come lo strappo dentro il cielo di carta del Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello (1904): “Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei. – Non saprei, – risposi, stringendomi ne le spalle. – Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.– E perché?– Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta”. Niente di nuovo sotto il cielo di cartapesta italico e sotto il sole che nel frattempo è diventato sfumato di gialloverde, mentre la terra si sta avviando verso il solstizio d’inverno. E si spera che la nuova luce del Natale possa illuminare le tante – troppe! – coscienze oscurate e inquinate che, come le marionette del Fu Mattia Pascal, o come i prigionieri incatenati protagonisti nel mito della caverna di Platone, ancora credono ai miracoli della stella polare apparsa per guidare i Re magi che portano al posto di oro, incenso e mirra, odio, indifferenza e disumanità, per omaggiare il “bambinSalvin”, che per la furia infanticida di Erode, si manifesta nelle grotte grottesche dei social. Ma i nuovi ammiratori di Perelà hanno altri camini per la testa. Sono rimasti ancora bambini e si divertono sapendo che si tratta di un gioco, ma nello stesso tempo prendono sul serio quella finzione, e litigano e si azzuffano. Solo che nell’età puerile tutto questo ha l’impronta ludica dell’innocenza e della beata inconsapevolezza, di contro gli adulti-bambini conducono un gioco che annienta realmente sentimenti e vite umane, interpretato nei tetri teatri dei poteri oscuri e occulti. Si pensi a tutte le guerre. Quanti illuminati e illustri imprenditori dell’arte bellica godono nel produrre armi e vendere il massacro, con l’ausilio di colti scienziati! Questo mondo tragicomico va in scena nel tetro teatro della Terza Repubblica. Sono cambiate le pedine sulla scacchiera ma il gioco non muta. L’uso del potere è identico: il fine giustifica i mezzi. La novità è che si è dato la stura ai peggiori istinti che questa società aveva dentro il proprio corpo dopo essersi ubriacata e intossicata di mutazione antropologica con l’ideologia dei consumi e con la propaganda di pregiato fumo prodotto con maestria dall’illusionista mago di Arcore. Forte di quella luminosa eredità Salvini ne trae il meglio del peggio, memore di quanto aveva dichiarato Benito Mussolini in una delle ultime interviste: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Ed è quello che sta avvenendo con l’onda anomala salviniana, mentre con il sistema Rousseau i pentastellati hanno scoperto la sovranità assolutista di Luigi XIV, il re sole. Adesso che hanno degustato come raffinati sommelier, nella reggia di Versailles, le pregiate proprietà del vino che seduce, pensano di orientare la nave verso altre rotte, forse un po’ corrotte, ma pronti a virare la chiglia quando si accorgono che si impiglia nelle maglie stesse del popolo della rete. “Per correr miglior acqua alza le vele /omai la navicella del mio ingegno,/che lascia dietro a sé mar sì crudele…” esortava il Sommo Dante dopo essere uscito dall’Inferno. Noi invece lo percorriamo ogni giorno negli occhi dei tanti bambini disperati, abbandonati, che muoiono di fame e trucidati nelle tante guerre, o delle madri angosciate per il futuro dei loro figli, mentre i capitani delle flotte si sono fatti beffa di tutti i galeotti rivoluzionari che hanno creduto nel mito del cambiamento, e la rivoluzione è diventata reazione e restaurazione, come aveva fatto Napoleone, facendosi incoronare imperatore. Con il decreto Salvini la “disumanità è diventata una virtù” per parafrasare con infelice sarcasmo ciò che aveva affermato don Lorenzo Milani nella “Lettera ai giudici”, “l’obbedienza non è più una virtù”. E i tanti cavalieri erranti nei social sono orgogliosi di queste imprese – non certo don Chisciotte della Mancia – perché il consenso aumenta e anche l’obbedienza. Quanta miopia – se non cecità – si annida in questo perverso e mefistofelico gioco! È come prendere una dose di veleno sempre più alta per assuefarsi. Lo aveva sperimentato nel suo corpo Mitridate per paura di essere avvelenato. Ed è proprio questa tutta la strategia utilizzata dai poteri sia quelli istituzionale che quelli criminali, per avvelenare e assuefare il corpo e le coscienze dei navigatori solitari alla ricerca dell’identità perduta. Allo stesso modo della propaganda e della persuasione occulta di un tempo, questi nuovi strumenti mediatici sono stati inventati per rendere schiave le persone in modo democratico, più sottile e invisibile, con l’iniezione di micidiali anestetici che narcotizzano i pensieri e i sentimenti degli “utenti” e dei “consumatori”, ma con la geniale novità che il “demos” nelle agorà digitali si sente protagonista e libero di scegliere la propria schiavitù, come aveva prefigurato Étienne de La Boétie nel suo “Discorso sulla servitù volontaria”, quasi cinque secoli fa (1576). Questo vortice e spirale populista, per creare il vuoto, si serve di “stru-menti” che non si interrogano, che non riflettano, che non pensano, che non camminano per incontrare e scoprire la bellezza del mondo, contemplarla e farla partorire, come avviene con le parole vive e con le persone in carne e ossa, quando il loro linguaggio traduce l’autentica luce dello sguardo e non certo l’oscuro mondo di cui si nutre la menzogna della post-verità. In questa agorà mediatica ormai dominata dai tweet, dai selfy e dai like, che esaltano e che insultano (come è toccato a Silvia Romano la volontaria rapita in Kenia) che fine hanno fatto i fondamentali temi della cultura e dell’ambiente? Nell’agenda politica di questo Governo è un oltraggio di lesa maestà parlare di cultura e di tutela dell’ambiente. Basta solo vedere quello che prevede il decreto su Genova: la possibilità agli industriali del Nord di poter inquinare alla luce del sole, come sancisce l’art. 41, che consente di smaltire in agricoltura fanghi pesantemente contaminati da idrocarburi, diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico, e alle costruzioni abusive di Ischia di essere condonate. Che lungimiranza! Che responsabilità etica per la giustizia, per l’onestà, per la salute dei cittadini! La crescita culturale e la tutela dell’ambiente, insieme alla solidarietà, sono gli unici investimenti che guardano con responsabilità al futuro delle nuove generazioni. I cambiamenti climatici e il flusso migratorio sono strettamente interconnessi. Tutto questo è stato ribadito dai tanti rapporti e lo si sta affrontando in Polonia nella Conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite per fare il punto sui problemi, le sfide e le possibili soluzioni per affrontare il riscaldamento globale. Che cosa stanno facendo i pentastellati e i leghisti per promuovere la crescita della sensibilità verso la cultura, l’ambiente e la dignità degli esseri umani? Al momento, l’unico impegno è stato quello di costruire il capro espiatorio, cioè drogare le coscienze, come nei migliori regimi autoritari. Tutto questo accade perché impera la miopia a furia di interrogare i social, il nuovo oracolo del tempio di Delfi. Cultura significa, in primo luogo, apertura verso l’Altro, L’Altrove e l’Aperto oltre che verso la conoscenza, il confronto e il dialogo, prendere coscienza del perché accadono determinati fenomeni e impegnarsi con sensibilità etica ed estetica per dare risposte sia ai bisogni materiali che alle istanze spirituali di ogni essere umano, cioè lavorare e coltivare il campo con dedizione e onestà per seminare i semi del bene, della bellezza, e propiziare la riconoscenza, il rispetto, il dono. Quindi agire con responsabilità nel creare le condizioni migliori, in una visione collettiva, sia per il proprio bene che per quello altrui, perché c’è un legame inscindibile tra l’io e il noi, tra l’uomo e la natura. Ma per questi nuovi assertori delle “magnifiche sorti e progressive”, esiste solo l’ego e il consenso. È il sistema mediatico che crea il messaggio. Lo aveva già dimostrato, negli anni Sessanta, uno dei più importanti studiosi dei media, M. McLuhan, che “il medium è il messaggio”: “In una cultura come la nostra, abituata da tempo a frazionare e dividere ogni cosa al fine di controllarla, è forse sconcertante sentirsi ricordare che, per quanto riguarda le sue conseguenze pratiche, il medium è il messaggio. Che in altre parole le conseguenze individuali e sociali di ogni medium, cioè di ogni estensione di noi stessi, derivano dalla nuove proporzioni introdotte nelle nostre questioni personali da ognuna di tali estensioni o da ogni nuova tecnologia”. (M. McLuhan, “Gli strumenti del comunicare”). Lo abbiamo sperimentato, prima dei due nuovi illusionisti sul palcoscenico mediatico italico, con Matteo Renzi, al secolo Lorenzi il Magnificus. E per chi ha tempo e voglia, su queste pagine, potrà godersi la storia magnifica della sua ascesa e discesa, come nella famosa ode manzoniana con l’incipit “Ei fu” (Il Cinque maggio). Infine, per suggellare questo affresco sulle antiche pareti della Storia annerite dai fumi tossici dei roghi e delle ciminiere social, rammentando la locuzione latina “Respice post te. Hominem te memento” (Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo), la pennellata di Umberto Eco: “I social permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”. E come sono folte queste schiere di legioni sui diversi fronti! Eco in quell’occasione (10 giugno 2015), ricevendo la laurea honoris causa in Comunicazione e Culture dei Media all’Università di Torino, aveva difeso la carta stampata, citando Hegel: “La lettura del giornale è la preghiera quotidiana dell’uomo moderno. Si tornerà all’informazione cartacea”. Ma l’obiettivo dichiarato dal nuovo re sole Luigi il Pentastellato, è quello della controriforma in versione M5S, con l’intento di mandare al rogo non solo i nuovi Giordano Bruno, ma le stesse radici della bio-diversità delle idee e della cultura, comprese quelle delle “humanae litterae” che affiorano dai manoscritti che hanno dato vita all’Umanesimo e al Rinascimento, per creare il nuovo codice di Perelà, imponendo il verbo assoluto del sistema Rousseau. Così si vorrebbe ridurre la sovranità popolare, concepita dall’illuminato Jean Jaques Rousseau, nel fumo del rogo appiccato dalla santa inquisizione del sovranismo populista. “Beate le marionette, su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato.” (L. Pirandello, Il Fu Mattia Pascal)