I Surianiti rievoca l’incredibile laboriosità della comunità di Soriano
Una straordinaria presenza di pubblico ha contrassegnato la presentazione del libro “I Surianiti”, che racconta e rievoca l’incredibile laboriosità e dinamicità della comunità di Soriano che ha dato vita a tanti arti e mestieri nei campi più disparati. L’autore Gaetano Luciano, è scomparso prematuramente un anno fa. Il richiamo delle origini, le memorie familiari, la storia di una comunità, l’evolversi della società, l’emigrazione, i mestieri e i saperi degli artigiani, i viaggi dei mercanti nelle fiere. “I Surianiti”, scritto da Gaetano Luciano, racconta le vicende di una comunità in un arco temporale che va dal ventennio fascista fino agli anni 80. A distanza di un anno dalla sua prematura scomparsa è avvenuta la sua pubblicazione e la presentazione. L’iniziativa si è svolta nella sede della Camera di Commercio (sala Murmura) nei giorni scorsi (lunedì 19), sostenuta dal presidio vibonese di Italia Nostra e dalla Fondazione Lico, nella persona del suo presidente, Michele Lico e voluta dalla vedova Anna Gagliardi per la ricorrenza dell’anniversario della perdita del consorte. È stata intensa la commozione vissuta, perché ha seguito tutto l’iter della stesura compiuta dal marito e la passione con cui ha rievocato le vicende della comunità di origine della sua famiglia, prima che vivesse il dramma della malattia. Per questo motivo la Gagliardi ha voluto che il testo rimanesse senza modifiche, per rispettare questa sorta di sacralità che si è venuta a creare. Tanta emozione hanno vissuto anche le due figlie, Francesca e Vittoria e i rispettivi mariti, Emanuele e Sergio. La ricorrenza dell’anniversario (20 novembre) ha così riunito la famiglia, per condividere insieme ai parenti, ai tanti presenti, amici e conoscenti, la moltitudine di sentimenti e di ricordi che sono emersi dal libro e che hanno fatto affiorare la vita stessa dell’autore. Un partecipazione straordinaria e inusuale ha caratterizzato la presentazione. Una attestazione per l’uomo, per il suo impegno culturale, sociale e umano; ma soprattutto per la responsabilità etico-politica che ha sempre contrassegnato la sua attività sia come amministratore, e sia, nell’ultima fase della sua vita, come attore nella salvaguardia e tutela dei beni storico-culturali e ambientali in Italia Nostra, assumendo per oltre 15 anni la carica di presidente del presidio di Vibo Valentia. “I Surianiti” sono un affresco in cui si intrecciano diversi generi: dal memoriale ad una autobiografia trasfigurata, dal racconto al lessico familiare come nell’omonimo libro di Natalia Ginsbug: è descritta l’epopea di una comunità in moto perpetuo, quella dei Surianiti, attraverso un doppio viaggio, nella memoria collettiva e in quella familiare, con i protagonisti principali, il padre Nino, voce narrante, e Vittoria, madre che ha avuto cura di 8 figli maschi, particolarmente attenta sia nell’educazione che nella conduzione dell’economia familiare, ma anche previdente, intuitiva e discreta. Il figlio ne traccia il suo profilo con delicatezza: emerge il suo profondo legame con la madre, trasfigurata come nume tutelare della casa. Luciano ci restituisce queste memorie che riportano alla luce anche la sua storia interiore e culturale. Una preziosa eredità che va interrogata, recuperata e disseminata per i significati e i messaggi che porta dentro di sé, sia nella concezione che nello stile con il quale è stata raccontata, e sia per la ricchezza straordinaria di personaggi, di esperienze, di espressioni idiomatiche, che rivelano un mondo carico di esperienze e di vitalità. Ma alla luce della prematura scomparsa, questo libro rappresenta fondamentalmente un testamento spirituale che l’autore lascia ai suoi familiari, alle nuove generazioni e alla comunità sia di Soriano che di Vibo Valentia, per il legame che si è intrecciato, a partire dagli scambi economici e per le tante famiglie che si sono trasferite da Soriano nella città capoluogo. La sua personalità, il suo ruolo, la sua attività di scrittore, sono emersi durante la discussione che ha visto come protagonisti Vito Teti (docente ordinario di Antropologia all’Unical), lo scrittore Francesco Bevilacqua e Giuseppe Battaglia (geriatra). Ad illustrare per primo il profilo dell’autore e il contenuto del libro il direttore editoriale dei Quaderni Adhoc, don Filippo Ramondino, che si è soffermato sull’impegno intellettuale e culturale dell’autore e sul valore letterario e umano di un libro come “I Surianiti”. Invece Bevilacqua si è soffermato sull’importanza del ruolo di Luciano nel dibattito socio-politico, in particolare nel cogliere e prefigurare i problemi, le istanze, le attese che hanno caratterizzato il territorio, mettendo in luce l’impegno costante, la sua coerenza intellettuale ed etica, non dimenticando mai la sensibilità umana nei rapporti, ma anche la passione nella denuncia del degrado verso cui il Vibonese è stato destinato, come si evince nel suo pamphlet “La città degli accomodamenti”. Lo scrittore – tra le sue numerose pubblicazioni si segnala il recente “Le fantasticherie del camminatore errante – inoltre ha ricordato l’esperienza comune della rivista degli anni 80, Chiaroscuro, con la collaborazione, tra gli altri, di Santino Salerno e di Vito Teti. Ancora, nel rammentare la lunga amicizia con “Ninì”, come affettuosamente veniva chiamato dagli amici, Bevilacqua ha ricordato l’idealità e la passione culturale che hanno contrassegnato il suo impegno nella costruzione del futuro di questa terra, nonostante i fallimenti dei progetti e le contraddizioni che hanno condizionato, se non pregiudicato, il riscatto della Calabria. Per questo “I surianiti”, ha spiegato infine Bevilacqua, dopo aver segnalato ascendenze con il capolavoro di Marquez “Cent’anni di solitudine”, è un libro fondamentalmente politico, nel valore più nobile della parola: come impegno per il bene e la bellezza della polis. Anche Vito Teti si è soffermato sull’impegno intellettuale e politico di Luciano. Il suo è stato un lungo e appassionato intervento in cui ha delineato il senso dell’esperienza che ha attraversato la vita dell’autore e come questa esperienza si sia coagulata nel libro “I Surianiti” con un esito originale e significativo sotto diversi profili. L’antropologo e scrittore – si ricordano oltre al fondamentale testo “Il senso dei luoghi”, sempre sul tema dello spopolamento e dell’abbandono, i recenti “La terra inquieta” e “Quel che resta” – ha spiegato che “attraverso la vicenda del padre Nino, figura emblematica dell’umanità mobile ed errante di Soriano Calabro, Gaetano Luciano ricostruisce l’epopea, la poesia, la fatica di artigiani e commercianti laboriosi, inquieti e fantasiosi”. Ecco perché il libro – ha rilevato ancora Teti – “più di tante analisi sociologiche e antropologiche, ti permette di conoscere gli splendori, i limiti, la vitalità e l’erosione di un universo ancorato alla terra, ma i cui protagonisti sono stati uomini e donne dove ‘ogni casa era un laboratorio’ che si spostava e si apriva al mondo. Uno sguardo affettuoso e lucido su un paese-mondo che diventava mondo-paese”. Quello che emerge è la capacità dei Surianiti di aprirsi al mondo, di mettersi in gioco, di lasciare Soriano ed emigrare nei luoghi più disparati, tanto che è stata costruita la favola dei “Surianiti sulla luna” (come racconta lo stesso Luciano nell’epilogo del libro, intitolato emblematicamente “I Surianiti dalle Calabrie alla luna”). Per questo, lo ha sottolineato in diversi passaggi Teti, si è di fronte ad un lavoro importante: “A un anno della sua prematura scomparsa, Ninì Luciano ci regala un’opera letteraria di qualità, che è una sorta di libro-testamento (che non a caso dedica ai nipoti e alle nipote) di memorie, riflessioni, considerazioni socio-politiche che confermano come egli sia stato e resti una delle figure di intellettuali e studiosi, oltre che docente, con costante impegno civile e politico, tra i più originali e aperti del territorio Vibonese e della Calabria (e non solo) dell’ultimo cinquantennio”. Nel suo articolato intervento il docente inoltre si è soffermato sul suo rapporto personale e ha ricordato un aneddoto, quando lo incontra a piazza Municipio una mattina dell’inverno ’69: “Lo vidi – rammenta Teti – con il suo loden verde muoversi con la sua inconfondibile camminata, il suo sorriso che sapeva oscillare tra l’ironia e la tenerezza, l’entusiasmo e anche il disaccordo. Questo sorriso che comunque affiorava sempre ha reso Ninì capace di tanti rapporti. A distanza di 50 anni – dopo un giro lungo – Ninì ci consegna un libro, davvero, rivoluzionario, altamente politico. Perché, adesso, è il mio pensiero, abbiamo capito che la rivoluzione consiste nella capacità di fare convivere tradizione e tempo presente, casciuni e valigia, memorie e speranze. Abbiamo capito che rivoluzione non è sovvertimento ma anche capacità di custodire memorie, di raccoglierle conservarle, di tutelare le storie, la bellezza, l’ambiente e di non tenerle chiuse nel casciuni ma metterle in una valigia e affidarle alle nuove generazioni, ai figli, ai nipoti. Questo libro racconta un’intimità privata e familiare, ma anche collettiva, comune, e in questo senso mi sembra uno dei migliori frutti di una stagione politica e della vita che, pure tra tanti limiti, fantasie e ingenuità, alla fine ha saputo mettere assieme casciunie valigia, memoria e futuro”. A definire il valore del quadro che ci è stato consegnato da Gaetano Luciano, il passionale ricordo di Giuseppe Battaglia, anche lui erede dell’epopea dei Surianiti, e memoria storica di diverse vicende e personaggi che sono stati rievocati da Luciano. In particolare ha voluto mettere a fuoco alcuni episodi legati a personaggi come Pasquale Luciano e Vincenzo Campitelli, “capo indiscusso dei comunisti che circondavano il vibonese”. Un altro episodio interessante che ha ricordato Battaglia, è quello relativo al catastrofico sisma del 1783 che ha distrutto il convento domenicano. In merito significativa è l’interpretazione che viene rievocata nel libro, attraverso le parole del sarto comunista Pasquale Luciano, nel capitolo “All’intrasatta”: “Caro Nino, ogni impedimento è giovamento. Il crollo del convento e la fuga precipitosa dei domenicani che portavano in salvo i tesori nella capitale del Regno, hanno messo in moto forze ed energie nuove. Il terremoto ci ha liberato dall’ordine vecchio e conservatore facendo rifiorire le mille attività che hanno arricchito e arricchiscono i mercanti surianiti. Guarda la maestosità di queste mura e la barocca porta principale; esse servivano a incutere soggezione. Tutti noi ci siamo inchinati per qualche secolo al cospetto di tale grandiosità consentendo che un potere politico assoluto fosse considerato come un dono di Dio”. Altro tema messo in luce da parte del medico geriatra è l’intreccio che si è creato tra Soriano e Vibo di cui è stato protagonista il padre dell’autore che, in concomitanza con il suo fidanzamento, aveva programmato di trasferire la sua attività a Vibo(1929). Tante famiglie, ha sottolineato Battaglia, da Soriano si trasferiscono nella vecchia Monteleone, e danno vita a diverse attività che hanno rappresentato la parte più dinamica nel tessuto urbano della città; mentre i vibonesi preferivano dedicarsi a lavori meno impegnativi, meno rischiosi, e occupare impieghi negli uffici.