Pizzo. Sul caso Riace interviene Carmen Manduca portavoce comunale M5S

Sul caso Riace interviene Carmen Manduca, portavoce comunale di Pizzo. È la prima esponente del M5S in Calabria ad esprimersi in merito. La vicenda del sindaco di Riace Domenico Lucano, con le reazioni a distanza di una settimana dalla manifestazione “Riace non si arresta”, continuano ad alimentare il dibattito. Due le posizioni dominanti “l’un contro l’altro armati”: gli integralisti sia da una parte che dall’altra: o si è con Lucano o contro; Lucano andava arrestato perché ha violatola legge. Poi ci sono voci autonome, che hanno una posizione di attesa, e fanno prevalere la riflessione. La vicenda di Riace e l’arresto di Domenico Lucano, scuote le coscienze e alimenta il dibattito. A sentirsi sotto attacco in particolare gli esponenti pentastellati, accusati di essere allineati o assuefatti alle posizioni di Matteo Salvini. Il ministro dell’Interno e vicepremier non ha risparmiato strali nei confronti di Lucano, prima affermando che non metterà mai piede a Riace finché ci sarà il sindaco Lucano e lo ha definito “uno zero”; poi al suo arresto ha esultato, e si è anche affidato ad un pregiudicato con un video per gettare ombre sull’operato dell’ex sindaco di Riace. Fatto alquanto grave per un Ministro dell’Interno che dovrebbe garantire l’ordine pubblico, tutelare tutti i cittadini onesti, la legalità e la giustizia ed essere al di sopra di ogni faziosità ad personam. Ma evidentemente Salvini, in virtù del tanto evocato consenso degli italiani, diventati la sovranità assoluta – senza spiegare a quali italiani si rivolga – si sente al di sopra delle funzioni istituzionali. E viene il sospetto che al fine di gridare “al lupo al lupo”, qualcuno poi si sente autorizzato a sparare contro il lupo, come sta avvenendo. Tra le tante reazioni in questo acceso dibattito, a volte pretestuoso e a volte strumentale, emerge quella di una donna, Carmen Manduca, esponente del M5S e portavoce comunale di Pizzo. Contro chi cerca una presunta identità perduta, coprendosi con i diversi vessilli in base a come spira il vento, o diventando vassallo mentre sbandiera il simbolo di libertà, la Manduca rivendica il rispetto delle idee altrui in base a quel “sacrosanto” principio che sta alla base della democrazia, che è la libertà di pensiero. L’esponente pentastellata si fa portavoce di un clima, di una temperatura che si respira, di un sentimento vivo e vitale che agita le diverse voci e le diverse anime presenti nel M5S. La sua presa di posizione, la prima in Calabria dopo l’arresto di Lucano, vuole essere una riflessione meditata, più che una difesa d’ufficio, per il patrimonio di valori umani, culturali, etici e spirituali che hanno improntato la sua scelta di responsabilità politica e democratica. Ma le sue parole sono maturate anche alla luce della sua diretta esperienza della realtà di accoglienza e di integrazione che è nata a Riace in questi due decenni, recandosi in visita diverse volte. Richiama tutti, anche nel Movimento, al rispetto verso chi ha posizioni diverse sul un caso “molto delicato”, come quello di Lucano, che merita la massima attenzione, nel pieno rispetto delle istituzioni democratiche, senza rigurgiti viscerali, come è accaduto in questi giorni, dopo il clamoroso arresto. La portavoce napitina difende il “Modello Riace”, che ha fatto scuola in tutto il mondo e che ha dato delle risposte alla dignità degli esseri umani, di cui è stato protagonista Domenico Lucano. Questo modello, per la Manduca, “non deve morire, ma continuare a pulsare come riferimento ed esempio di umanità e magnificenza dell’accoglienza pura, genuina e giusta, capace di restituire a questa umanità “disperata” e oltraggiata, dignità e speranza”. In virtù di questo appello, l’esponente Cinquestelle denuncia l’ipocrisia di coloro che si ritengono i detentori assoluti della libertà di pensiero, ma intolleranti verso la libertà altrui. Si riferisce ad una certa “sinistra” integralista e manichea, che sente di essere la depositaria della verità, additando i pentastellati di assuefazione alla linea dettata da Salvini o addirittura controllati e indirizzati dai vertici del Movimento affinché non venga esternato “nessun punto di vista personale”. Il caso Lucano, spiega allarmata la Manduca, ha fatto venire fuori una equazione pericolosa sotto il profilo etico e politico: se non sei per Lucano sei contro il modello Riace. A tal proposito è bene ricordare che a giugno nel borgo di Riace si è recata l’eurodeputata Laura Ferrara del M5S, su sollecitazione dell’attivista del meetup di Torano Castello Romolo Perrotta, e in quell’occasione l’europarlamentare ha avuto parole di encomio nei confronti del sindaco Lucano, anche per il ruolo che ha nella Commissione europea con il compito di redigere il nuovo piano di accoglienza degli immigrati. Perrotta, che all’interno del meetup cerca di stimolare la riflessione con laboratori su alcune questioni importanti, come quello dell’accoglienza e dei migranti, ma anche sulla scuola, in questi mesi ha tenuto un rapporto costante con il sindaco di Riace, da quando Lucano si è sentito stretto in una morsa da diverse indagini. Per la ricorrenza dei 20 anni dal primo sbarco dei curdi del 1 luglio 1998, ha promosso la campagna “Staffetta per Riace” ancora aperta sulle pagine del Quotidiano del Sud – dove la stessa Ferrara è intervenuta. La “staffetta” è stata inaugurata da Mario Capanna, e tra gli interventi anche un’intervista con l’unico curdo rimasto a Riace di quello sbarco. Proprio per la ponderata riflessione e per il messaggio esemplare sotto il profilo democratico che esprime la Manduca, in cui rivendica il rispetto degli esseri umani, la difesa del modello Riace, e infine il rispetto delle istituzioni e della libertà, non ad uso e consumo dei pochi “eletti e privilegiati” schierati sotto l’etichetta della “sinistra”, si allega il testo integrale dell’intervento dell’esponente Cinquestelle di Pizzo.

Terra di Riace

“In determinati frangenti che definirei “storici” e ci coinvolgono anima e corpo, come la vicenda del Sindaco di Riace Domenico Lucano, è necessario riflettere, meditare, comprendere, per poter esprimere un giudizio ponderato e non affrettato, non dettato da viscerali posizioni e pregiudizievoli estremizzazioni che sfociano in forme strumentali, che stanno contaminando il dibattito. La vicenda Riace si presenta, non solo a noi calabresi, ma all’intero Paese ed Europa, come una questione “molto delicata” e deve essere trattata con discernimento e oculatezza. In questi giorni, come militante del M5S, ho sentito la pressione e l’irruenza di chi ha preteso di schierarsi dalla parte di Lucano con una fede assoluta, sebbene le indagini siano ancora in corso. Mi spiego meglio: non giudico e né credo tocchi a me farlo, ma ho sentito violata e calpestata la mia libertà di pensiero, perché si è creata una linea di confine estrema, che evoca un atteggiamento manicheo: o tutti con Lucano, oppure sei “assuefatto alla politica di Salvini”; o peggio ancora, “il Movimento vi ha indirizzati a non esternare nessun punto di vista personale”. Mi viene da pensare che la politica del diktat e “autoritaria”, in questo caso, sia stata adottata dallo schieramento che rivendica la propria libertà, ma assumendo di fatto una posizione esclusiva eassolutista. Se è vero come è vero che ognuno abbia il sacrosanto diritto di pensare e di esprimersi liberamente, paradossalmente i detentori di questa “dottrina”si dimostrano intolleranti verso la libertà altrui, etichettando chi la pensa in modo libero. Il modello Riace è risuonato persino oltreoceano: ha attraversato l’Europa e si è affermato come un esempio illuminante di integrazione e accoglienza che rimarrà nella storia del nostro Paese. È certo che non può esser preso in considerazione colui il quale si sia espresso contro questo modello, senza mai averci messo piede. Proprio perché eccezionale, unico nel suo genere, non può sottoporsi a giudizi di politici o intellettuali che non abbiano visitato Riace almeno una volta. Così facendo appaiono ipocrite, sterili, infondate, ridicole e blande le loro critiche. Immigrazione, accoglienza e integrazione, un rapporto utopico, ancora lontano dal realizzarsi, ma verso cui dobbiamo ispirarci ed aspirare. La cronaca ci ha raccontato trattamenti ignobili perpetrati nei Centri di Accoglienza, o esperienze nel sistema Sprar, la cui gestione non sempre è stata oculata ed efficace. Senza considerare il “business dei migranti” che ha “disintegrato” i diritti dei richiedenti asilo e la loro dignità umana. Si pensi a quante donne siano state costrette a prostituirsi, a diventare le nuove schiave del sesso; oppure al crescente traffico di droga, ed altri fenomeni in cui la condizione umana conosce forme di violenza e di degrado. Solo alcuni “eletti” tra loro, solo quei fortunati baciati dalla sorte, dal destino, dal caso, hanno potuto godere dell’accoglienza con la “A” maiuscola. Così hanno potuto ricomporre la loro unità familiare dentro case rimesse a nuovo, hanno rianimato un paese che stava morendo, lasciato nell’abbandono e nella solitudine. L’economia è ripartita, trasformando le risorse artigianali dei due mondi che si incontrano e rinascono insieme dando vita ad una nuova realtà di umanità senza confine. Spirito di collaborazione, riconoscenza reciproca, solidarietà e armonia, sono stati gli ingredienti su cui si è costruito il “MODELLO RIACE”: mattone dopo mattone è diventato un luogo di accoglienza e integrazione che ha del miracoloso, suscitando ammirazione in tutto il mondo. Proprio qui in Calabria, terra depredata, violentata, “terra maledetta” come qualcuno l’ha definita (l’antropologo Vito Teti in un suo libro). Un riscatto Riace, per tutti noi, un degno riconoscimento che ci ha liberati da anni di grigiore, piattezza e mediocrità nell’ambito delle iniziative sociali e culturali. Al di là dei riscontri delle indagini, che auspico fortemente si rivelino infondate, o meno gravi di quanto siano apparse, credo che il modello Riace non debba morire, ma continuare a pulsare come riferimento ed esempio di umanità e magnificenza dell’accoglienza pura, genuina e giusta, capace di restituire a questa umanità “disperata” e oltraggiata, dignità e speranza”. Il caso Lucano, il dibattito che si è determinato, l’accusa che la Manduca ha rivolto verso chi si sente detentore di una sorta di certificato di garanzia o copyright sui valori che hanno dato vita storicamente alla cultura e che hanno contrassegnato la cosiddetta “intellighenzia” di sinistra, sembra evocare il clima politico che ha visto come protagonista Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta. E’ importante richiamare la sua esperienza di uomo di sinistra osteggiato dagli stessi intellettuali comunisti che non si erano accorti “della scomparsa delle lucciole”. L’Articolo delle lucciole (scritto l’1 febbraio del 1975 e pubblicato sul Corriere della Sera, inserito ne Gli scritti corsari), racconta la “mutazione antropologica” ed ecologica e il “genocidio culturale” avvenuti con l’irrompere del potere dei consumi che ha cambiato radicalmente la pelle delle idee e il modo di pensare e interpretare le vicende culturali e sociali in Italia, a partire dagli anni Sessanta, con l’apparizione della televisione. Le categorie con le quale si interpretavano i fatti, i comportamenti sociali e politici, erano ormai antiquate per definire e identificare una realtà trasformata. Tutto questo emerge proprio nella polemica che Pasolini ha fatto nei confronti di quegli intellettuali di sinistra che si sentivano impegnati a difendere le classi più deboli ma che in realtà non facevano altro che alimentare l’ipocrisia della classe borghese e il potere dei consumi, che intanto stava modificando radicalmente l’anima delle persone e la stessa natura del Potere. È il caso di accennare brevemente al contrasto con Italo Calvino. Questa sua sofferenza emerge in particolare nell’articolo pubblicato su Paese sera l’8 luglio 1974, in risposta alle accuse di Calvino, che porta il titolo di “Lettera aperta a Italo Calvino: quello che rimpiango”, ( negli Scritti corsari viene riportata con il titolo Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino). E’ importante cogliere alcuni passaggi per comprendere quanto dramma si è consumato nello scontro con gli intellettuali che si dichiaravano apertamente di sinistra come Italo Calvino. Ma è anche una fotografia di come si sono consumati le capacità di analisi del presente rispetto a certi valori fondanti la visione politica e culturale, in quanto è assente una sensibilità culturale per far emergere il primato della coscienza etica, perché inconsapevolmente si alimentano meccanismi che vanno a nutrire determinati poteri occulti o manifesti, come quel potere dei consumi che nel frattempo si è ulteriormente trasformato e raffinato, come i virus. Così, allo stesso modo in cui la civiltà contadina era stata emarginata e sfruttata, rileva lo scrittore e regista friulano, anche la sua storia culturale e spirituale si tendeva come una corda fino alla rottura. Di fronte all’accusa da parte di Calvino di rimpiangere “l’Italietta”, Pasolini risponde: “L’Italietta è piccolo-borghese, fascista, democristiana; e provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare: vuoi che io rimpianga tutto questo? per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no. Può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l’angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l’arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose sulla sua persona, ma tutto questo posso dimenticarlo io, non devi però dimenticarlo tu…”.