Con il decreto Salvini si vuole “disintegrare” il sistema di accoglienza diffuso

Con il recente decreto Salvini si vuole “disintegrare” il sistema di accoglienza diffuso (sistema Sprar) che ha il suo modello simbolo in Riace. Nel borgo si è ricreata una storia di uomini “senza confine”, ma in cui il mondo si conosce e ri-conosce l’eutopia del “buon luogo” dove si compie un altro possibile “essere al mondo”, con l’epifania della luce umana, come è accaduto nella scuola di don Lorenzo Milani. Per questo il ministro Salvini ha dichiarato che a Riace non ci metterà piede. “È bene ciò che dà maggiore realtà agli esseri e alle cose, male ciò che la toglie” aveva profetizzato nei suoi Quaderni la filosofa francese Simone Weil, innamorata del pensiero greco. Questa “irrealtà” del male l’aveva declinata in un’altra citazione tratta dal libro “La personne e le sacré” (tradotto per Castelvecchi con il titolo “La persona è sacra”). “In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente”. Simone Weil è stata vittima delle leggi razziali ed è morta a 34 anni nel 1943, dopo aver sperimentato direttamente le condizione degli oppressi e denunciato la disumanizzazione dei rapporti tra gli uomini, nell’età della mostruosità totalitaria. La dissacrazione dell’Altro e dell’Alterità è già in atto nelle nostre istituzioni. C’è un ritorno al passato, di quel retroterra incolto che alimenta la xenofobia. Con il Governo del cambiamento Cinquestelle e Lega, nell’esultante annuncio vox populi del decreto che prende di mira la protezione umanitaria e l’accoglienza dei migranti, la costruzione del capro espiatorio non è più una prova tecnica, come dimostra il principio della rana bollita di Noam Chomski, definita “strategia della gradualità”: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta. Ogni anno “decreti sicurezza”, ogni anno qualche diritto in meno… Nel “Mein Kampf” Adolf Hitler annotava: “Il metodo più efficace per prendere il controllo dei popoli e dominarli del tutto è quello di sottrarre un pezzettino della loro libertà ogni volta, così da erodere i diritti attraverso migliaia e quasi impercettibili riduzioni. In questo modo la gente non si accorgerà che diritti e libertà sono stati rimossi fino a quando sarà oltrepassato il punto in cui tali cambiamenti non possono essere invertiti”. A colpire l’immaginario collettivo è stato sicuramente lo stile istituzionale con cui è stato declamato il decreto, votato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, con l’ambizioso obiettivo di controllare l’immigrazione, creando l’associazione migranti-insicurezza. Il nuovo stile imposto dal Ministro Matteo Salvini è stato abbracciato in toto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Lo stile è l’uomo” affermava lo scienziato illuminista Georges-Luis Leclerc, “conte” di Buffon. Questa nuova “effigie” del Presidente del Consiglio e del suo vice ministro non sappiamo se definirla una folcloristica rappresentazione dei nuovi guru della comunicazione mediatica. È certo che abbiamo letto nella solenne espressione di Conte la personificazione della “contezza”, e per affinità elettiva, quella della “contentezza”, soprattutto per coloro che sono sempre “scontenti”. Che un presidente del Consiglio, docente universitario, dopo essersi immolato ai sacri altari della nuova ecclesia “facebook”, annunciando la rinuncia al concorso per una cattedra a professore ordinario alla Sapienza di Roma “per ragioni di personale sensibilità”, si presti a questi gesti, è il segno della nuova “sensibilità” verso il decoro istituzionale. Quell’immagine immortalata con il cartello sul petto e lo slogan “decretoSalvini” fa scuola. L’ondata salviniana ormai sta seducendo con il suo alto esempio, di eroe che sfida l’empio. L’empietà, si sa, nasce quando si oltraggia la sacralità degli dei. Per questa crociata il “divino decreto” prevede la protezione solo per tutti gli “xenoi”, gli immigrati, che fuggono dai teatri di guerra e per altri “casi speciali”, con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Si spera che il ministro Salvini spieghi agli italiani, a cui si ispira la sua sovrana e eroica impresa, dove si trovino questi teatri che oltraggiano la sacralità degli dei e quali paesi sono in conflitto. Ed è qui, come si suol dire, che casca l’asino! O per ignoranza, o perché vuol farsi burla del “popolo bue”, sa di non poter dire la verità, perché il Ministero degli Esteri non è in grado di fornirlo. A meno che il ministro Salvini non abbia dei poteri divini straordinari e il suo occhio onniveggente riesca a vedere tutte le guerre che si stanno combattendo (forse perché riconoscerà il marchio delle armi prodotte in Italia) e a prevedere quanti focolai bellici si appiccheranno nel futuro in tutto il globo terrestre. E come la mettiamo con le guerre commerciali, economiche e finanziarie? E con lo sfruttamento, la depredazione delle risorse ai Paesi più poveri ad opera dei cosiddetti Paesi civilizzati che continuano a colonizzare gli incivili? Tutti quei diseredati, i derelitti, gli scarti umani, gli avanzi sociali, gli esclusi da questo modello fondato sull’inequità, che calpesta la dignità della persona umana, come denuncia instancabilmente Papa Francesco, massacrati dalla miseria, dalla fame, dalle malattie, dalle crisi umanitarie; a loro niente protezione umanitaria? Saranno destinati a perire nel fuoco della geenna perché anche per loro Cristo si è fermato per sempre a Eboli?: “Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”. Spes ultima dea, decretavano i latini, senza dimenticare che summum ius summa iniuria, il sommo diritto è somma ingiustizia. E così, dall’oggi al domani, il popolo italico scopre che tutti i cronici drammi che hanno attraversato e afflitto la prima e la seconda Repubblica sono imputabili allo “xenos” che ha invaso o pronto ad invadere, come una nuova orda barbarica, le fertili campagne e gli ameni paradisi che l’Onnipotente ha concesso al popolo eletto. Adesso tutto sarà risolto. La criminalità, la corruzione, le ingiustizie, la povertà, i disagi, i disastri: il nuovo verbo populista compirà una nuova palingenesi. Probabilmente per questo motivo ancora stenta a partire la Commissione parlamentare Antimafia, forse perché non ci sarà più necessità di occuparsi del fenomeno criminale. Ci penserà il ministro degli Interni a confinare oltre agli immigrati, anche mafiosi, ‘ndranghetisti, camorristi, corruttori e corrotti, compreso il padre putativo “Senatur” Umberto Bossi che occupa uno scranno di Palazzo Madama, e il suo consigliere per le pari opportunità in Calabria, l’ex governatore della Regione Giuseppe Scopelliti, che invece si trova in vacanza tra le mura di una cella per monaci in clausura, con la possibilità, come tutti i certosini, di avere un giorno alla settimana di libertà. Improvvisamente questa terra ritroverà la sua agognata pax e felix. C’è sempre un nemico da combattere, un capro espiatorio che deve essere sacrificato sull’altare della propaganda e dell’ipocrisia. Niente di nuovo sotto il sole ammoniva Qoèlet nell’Ecclesiaste: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Con questo decreto, il modello Riace, fondato sull’accoglienza e l’integrazione, che ha dato risposte di umanità, come ama ribadire il sindaco Domenico Lucano, non avrà più pace. È finito il suo sogno? Nel reportage che Famiglia Cristiana ha dedicato proprio a Riace e a Lucano (nel numero uscito il 23 settembre a firma di Francesco Anfossi e Davide Lanzilao) ci sono delle parole che devono far riflettere chi ancora non ha smarrito il senso di umanità e la bellezza di avere dei sogni. Quello realizzato a Riace è un sogno che dà fastidio a tanti in quest’epoca di xenofobia crescente, si sottolinea. In primo luogo al Ministro Salvini, il quale ha dichiarato che non metterà piede nel borgo della Locride finché ci sarà Lucano definendolo “uno zero”. Ad agosto il sindaco di Riace ha fatto uno sciopero della fame, per protestare contro il taglio dei fondi all’integrazione. E adesso, come prevede il recente decreto, che i fondi per il sistema Sprar (l’accoglienza diffusa) verranno pesantemente ridotti, che destino avrà il modello Riace?. “Abbiamo dimostrato che il requisito è quello di rimanere umani. Non esiste altro. È inutile che ci giriamo attorno. Quando c’è l’empatia, la comprensione di entrare nei disagi degli altri, allora si può fare”, ribadisce Lucano. Non spegnere questo sogno significa rimanere umani, dare una speranza a chi nasce in terre disgraziate; una speranza che rimane come unica ancora di salvezza anche per la stessa vita di Lucano: “Se dovessi tradire la fiducia di chi ha creduto in questo sogno non mi rimarrebbe altro che finirla con la vita. Il mio unico modo per chiedere scusa sarebbe solo questo”. “Tutto il mondo è paese” è la fiction che racconta Riace e il sogno di Mimmo Lucano, “nato da un veliero carico di profughi curdi finito alla deriva sulla nostra spiaggia, una mattina di luglio”. Sono passati venti anni da quell’estate. Ma adesso alla deriva sono i sentimenti di umanità e “non tutto il mondo è paese” con il decreto Salvini. Se dovessimo immaginare l’epopea del migrante Ulisse naufrago sulle coste dell’isola dei Feaci, con un altro destino, invece di essere accolto veniva respinto da Alcinoo, il ritorno a Itaca avrebbe conosciuto un’altra storia. Ma ci avverte il poeta greco Costantinos Kavafis, “Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga,/ fertile in avventure e in esperienze… Sempre devi avere in mente Itaca -/ raggiungerla sia il pensiero costante. /Soprattutto, non affrettare il viaggio;/ fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio/ metta piede sull’isola, tu, ricco/ dei tesori accumulati per strada /senza aspettarti ricchezze da Itaca…”. Per tale motivo questa nuova epopea dei tanti odissei non si deve conoscere. Lo sceneggiato doveva essere trasmesso in due puntate in autunno, ma è stato sospeso a causa dell’apertura dell’inchiesta da parte della magistratura di Locri. Beppe Fiorello è il protagonista che incarna Lucano: “Riace non è un progetto di integrazione, è un progetto di umanità. Perché Mimmo aiuta prima di tutto i riacesi, non solo gli immigrati. Bisogna esportare questa umanità, questa modernità, facendo conoscere al mondo una Calabria diversa” auspica l’attore siciliano. Con questo decreto Salvini il Governo giallo-verde farà conoscere un Italia diversa, l’ostilità alla diversità, alle risposte umane, come emerge dalla grande spiritualità della filosofa Simone Weil, che riconosce nell’altro il bene e la sacralità, come è stato dimostrato a Riace. Perché Riace rima con Pace e si traduce con Accoglienza, Ospitalità, Xenia, la sacralità dello straniero(xenios era un attributo di Zeus come protettore dei viandanti e garante della xenia: il concetto era profondamente intrecciato nella spiritualità greca, come è insito nell’episodio in cui Ulisse viene accolto da Alcinoo nella sua reggia con tutti gli onori e poi concede una nave per il suo nostòs, ritorno a Itaca). Le parole sono sempre una traduzione: mettono in relazione e danno luce a ciò che si genera nell’ombra, nell’oscurità, o ciò che è sotterrato, per essere aperto e scoperto. Attuano la maieutica socratica e sono uno scavo archeologico. La nascita e la scoperta sono un emergere alla luce. Chissà quante lingue sono state parlate e tradotte a Riace… Se dovessimo immaginare un libro che traduca quello che è accaduto e accade in questo borgo, si potrebbe pensare ad un racconto che venisse tradotto nelle diverse lingue dei tanti migranti che sono approdati. E questo tessuto vocale e sonoro così colorato e variopinto, evoca la lingua franca del Mediterraneo, il “sabir” citata anche da Molière nel Borghese gentiluomo (Se ti sabir ti resopndir, se non sabir tazir, tazir), quella cioè, che parlavano marinai e commercianti che si incrociavano nei porti, quando nel mondo tutti migravano e la storia si riassumeva con la massima di Ugo da San Vittore (Ducato di Sassonia, 1096 circa – Parigi, 11 febbraio 1141): “L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero”. Il teologo e filosofo francese è citato opportunamente nel libro dell’antropologo-linguista Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro» (edito da Einaudi nel 1984), in cui, ricostruendo il massacro compiuto dagli europei dopo la scoperta del continente americano da parte di Colombo, testimonia come la nostra condizione esistenziale deve essere improntata all’incontro con l’Altro e non alla sua distruzione, al suo annientamento. Un “paese straniero” dove gli esseri umani non sono “estranei”, ma “xenoi”, esuli accolti nella terra declinata come “matria” e patria. A Riace è stata partorita la voce profetica che sa pronunciare la parola futuro, che sa spezzare la tenebra della meschinità, dell’ipocrisia, della menzogna, della disumanità, della viltà. Forse per questo il ministro dell’Interno Matteo Salvini non vuole mettere piede a Riace finché ci sarà Mimmo Lucano, perché ha paura di scoprirsi cittadino del mondo e ha timore di essere contaminato dalle civiltà che il Mediterraneo ha partorito nei tanti millenni. Il suo è anche il timore di sentirsi umano, come ha sentenziato nel II secolo a.C. (165), Publio Terenzio Afro, Homo sum, humaninihil a me alienum puto, “Nulla che sia umano mi è estraneo”; parole che hanno impregnato il messaggio di humanitas nell’Umanesimo e Rinascimento. In fondo tutti coloro che hanno scelto e scelgono come modello Salvini e non Riace, fanno molta fatica a guardarsi nello specchio e scoprire l’altro che alberga nel proprio inconscio. “Si deve essere pronti ad ardere nella propria fiamma: come è possibile rinnovarsi senza prima essere divenuti cenere?” ammoniva in Così parlò Zaratustra F. Nietzsche. A parte l’Introduzione alla psicoanalisi di Freud, e Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, consigliamo a Salvini e ai salviniani, quantomeno di leggersi Il Mediterraneo del grande storico Fernand Braudel e gli risparmiamo il Breviario Mediterraneo di Predag Matvejevic. Generare paure e alimentare sentimenti negativi e ostili è insito in chi ha brama di potere, in chi non ha la natura mediterranea aperta e non ama la scoperta e l’incontro con l’Altro, come è nello spirito mediterraneo evocato da Albert Camus (premio Nobel per la Letteratura nel 1957), in particolare ne L’uomo in rivolta. Famiglia cristiana Lucano In tempi non sospetti, il 22 dicembre del 2013, la Delegazione Vibonese di Italia Nostra con il compianto presidente Gaetano Luciano, si è recata a Riace e ha conferito a Mimmo Lucano il “Testimonial Umberto Zanotti Bianco”, per l’impegno umanitario verso i migranti, con il prezioso lavoro di accoglienza e di integrazione culturale che stava portando avanti. In quell’occasione, è stato presentato in anteprima il docu-film “Bellezze e rovine. Il Mezzogiorno. L’Italia di Umberto Zanotti Bianco”, realizzato dal regista Giovanni Scarfò. Ad essere presente anche la cantastorie Francesca Prestia, che ha musicato il docu-film e ha cantato la ballata “L’Italia che è dentro di me”, autrice di recente di una ballata dedicata a Riace. L’illustre filantropo e archeologo che ha speso la sua vita al riscatto dei diseredati e ai popoli oppressi ed esclusi con opere missionarie – definito monaco laico – ha aperto la strada all’accoglienza già nei primi decenni del secolo scorso nella Calabria più depressa, facendo costruire asili, scuole, istituendo corsi serali e biblioteche popolari, insieme a tante altre importanti operazioni culturali come i numerosi scavi archeologici insieme a Paolo Orsi. Zanotti Bianco si recava con mezzi di fortuna nei posti più poveri e sperduti dell’Aspromonte, per dare risposte ai bisogni materiali e umanitari delle comunità lasciate a se stesse dai poteri che dominavano le istituzioni dell’epoca. Testamento esemplare il bellissimo e drammatico racconto “Tra la perduta gente” scritto nel 1928, che descrive le condizioni di estrema miseria degli abitanti di Africo. Per sigillare questo excursus su Riace e cosa potrebbe evocare nel nostro immaginario tra presente e passato, per non restare nei luoghi comuni o nella ricerca del facile e superficiale consenso, come sembra ormai diventata l’umanità dei social con i like, il pensiero va a “Lettera a una professoressa”, alla scuola di Barbiana e a don Lorenzo Milani, al suo apostolato e allo straordinario valore della sua opera con le due lettere ai Cappellani e ai Giudici, testi fondamentali per ogni cittadino responsabile e onesto, che non ha messo in vendita la propria coscienza etica e la propria dignità umana. In questi tempi di post verità, dei post e di inimmaginabili menzogne, in cui le ingiustizie e i nuovi totalitarismi mascherati e ben mimetizzati, si sono insinuati nella mente e nell’anima degli “utenti consumatori”, con la mutazione antropologica e la narcosi anestetizzante del narcisismo e dell’esibizionismo mediatico di “bassa lega”, Riace può essere letta ed eletta come la nuova Barbiana, che accoglie gli esclusi, gli ultimi, quelli che la scuola di classe e dei privilegiati negli anni ’60 respingeva; tutti i disperati e gli oppressi che l’ideologia e la teologia del Pil oggi spinge a migrare nelle acque ostili del Mediterraneo. Nel “Prodotto interno lordo” si riproduce la più grande “immondizia” della Storia che la maggior parte dei “professoroni” economisti, con la camera dell’eco – e non certo dell’ecologia – delle “grandi” firme del giornalismo, ancora ha il barbaro coraggio di definirlo come il misuratore della crescita e della ricchezza, e non come fonte di profonde ingiustizie, di corruzione, di inquinamento, di guerre e di criminalità, perché colpevolmente dimenticano di citare il discorso sul Pil di Bob Kennedy del 18 marzo 1968 o la Lettera ai giudici di Lorenzo Milani). In questi due ultimi decenni, A Riace, grazie all’impegno di Domenico Lucano e di tutti coloro che lo anno seguito, si è ricreata una Storia di uomini “senza confine”, ma in cui il mondo si conosce e ri-conosce l’eutopia del “buon luogo” dove si compie un altro possibile “essere al mondo”, con l’epifania della luce umana, come è accaduto nella scuola di Barbiana con Lorenzo Milani.