Lapsus in fabula: l’asino Buridano secondo l’ultima parabola del Fu Matteo il Magnificus

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,

che per mare e per terra batti l’ali,

e per lo ’nferno tuo nome si spande!

(Inferno, Canto XXVI)

“… e tu prima, Firenze, udivi il carme/ che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,/ e  tu i cari parenti e l’idioma/ desti a quel dolce di Calliope labbro/ che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma/ d’un velo candidissimo adornando,/ rendea nel grembo a Venere celeste:/ ma più beata, ché in un tempio accolte/ serbi l’itale gloria…”(Dei sepolcri, vv. 168-181).

Siamo ritornati ai versi delle fabule o al “lapsus” in fabula. Con una coda morale piuttosto inedita però. Come al solito, in questi tempi super, capita che l’apologo venga continuamente ricodificato. Il personaggio che ci ha accompagnato nel regno che fu di Re Giorgio, ha cambiato identità, come Mattia Pascal. Molti ricorderanno che alla fine portava fiori sulla sua tomba e al curioso che gli chiedeva chi fosse, rispondeva: “Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal”. E così, dopo essere stato Lorenzi il Magnificus, Matteo adesso è ritornato a passeggiare tra i sepolcri di Santa Croce; e mentre sparge petali invoca: “O bella Musa, ove sei tu? Non sento/ spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume/ fra queste piante ove io siedo e sospiro/ il mio tetto materno…” (Dei sepolcri, vv. 62-65).

Nella tradizione letteraria favolistica i protagonisti erano quasi sempre gli animali, allegoria dei vizi e delle virtù degli umani. Ma si sa che oggi il mondo si è trasformato, in particolare nella “parabola” che ha vissuto in questi ultimi trent’anni l’italo regno, cambiando pelle, subendo una metamorfosi radicale come quella raccontata da Franz Kafka. La sorte a volte “gioca” brutti scherzi anche con i nomi, i nominati o gli innominati, soprattutto quando si tratta di Chimere, o di centauri come Chirone, o dell’enigmatica Sfinge o del mostruoso Minotauro, che ci riportano ai tempi mitici della doppia natura. Insomma: c’è da essere un po’ matterellum in questo millenium che ha compiuto la maioris etate.

L’ultima parabola è uscita fresca fresca dalle urne proprio il 4 marzo. Non è bastato il 4 dicembre…C’è di mezzo sempre il numero quattro nella cosmologia del Magnificus: come i quattro vangeli canonici o le quattro stelle splendenti nel Purgatorio, simbolo delle virtù cardinali, o il tetrastico greco. Questa volta però il nuovo vangelo è fuori dal canone, è ritenuto apocrifo. Come il dubbio – o il paradosso – dell’asino di Buridano che non sa decidersi e sceglie di morir di fame e di sete: “Vado a destra o a sinistra? No… meglio restare al centro”. Ma è lui, solo lui che sa rompere ogni indugio e creare un altro prodigio, anche se pare che adesso ci sia un altro Matteo ad averlo disarcionato e si avventura a recitare il Pater con il rosario in mano. In questa terra, “bella d’erbe famiglia e d’animali”, in cui vive il popolo italico, il buon Dio prodigo di doni e beni, ha ispirato ancora la fantasia dei suoi profeti. Si narra infatti che si è apertala Terza Repubblica e che siamo stati dirottati nella nuova costellazione dei Pentastellati che hanno annunciato un altro Sidereus Nuncius dopo quello dell’eretico Galileo Galilei. Ma l’esordio sembra un rebus o un dilemma amletico: “Essere o non essere… andare a destra, a sinistra o restare al centro?…”. Lo spettro si è ripresentato e ha rivelato un’altra verità. Il genio fiorentino, figlio della volpe e del leone, come ci ha fatti scaltri nel De Principatibus il curiale Machiavelli, ha iniziato a interrogare un altro oracolo e il gigliato cerchio si tinge di giallo, cioè lilium flavo. Secondo una leggenda un tempo i gigli erano gialli. Quando la Vergine Maria si chinò per raccoglierne uno, al suo tocco il fiore cambiò colore diventando di un bianco candido. Nel linguaggio dei fiori il lilium flavo simboleggia la falsità ma anche l’idea della sospensione, quella di camminare per aria, e della gaiezza. E sicuramente c’era tanta gaiezza e levità quanto cantava Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia… Tuttavia amiamo pensare che la falsità si addica ad altro fiore, rammentando la splendida e incomparabile immagine evangelica del giglio “che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”.

Non si finisce mai di imparare e di meravigliarsi in questo lungo interregno della nostra Res Pubblica che ha visto sulla scena il mattarellum, il porcellum, ed infine il rosatellum, dopo l’aborto dell’Italicum. Ci auguriamo ci sia anche un somarum, magari simile a quello di Giordano Bruno, che possa trasportare al mulinum il nostro raccolto ma cum grano salis, come consigliava Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Così possiamo completare il rarissimo corredo da portare in suffragio tra i Campi elisi, dove è assisa quella bella dama “non donna di provincie” (Purgatorio, VI canto) che ha partorito cavalieri, predatori, mercenari, accattoni, migranti, santi, curati, poeti, magnati e pirati… per non parlare della casta dei potenti filantropi che recitano sui quadrati della scacchiera nisi caste, saltem caute, “se non castamente, almeno cautamente”, prima di compiere le loro mistiche mosse. Persino Sant’Agostino aveva prefigurato la predazione dei regni e di come si mantengono i principati, le nazioni e gli imperi, a cui molto probabilmente si sarà ispirato il gigliato segretario fiorentino: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell’impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta. (Agostino, De civitate Dei, IV)

Lo rivela il Santo d‘Ippona, colui che si è confessato! Bisogna credergli se il vero pirata si permise di rinfacciare al grande Alessandro che anche lui era in fondo un falso pirata vestito da condottiero che aveva infestato il mondo con la sua flotta. “Il giuoco delle parti!” avrebbe gridato Pirandello. Altri pirati intanto, sotto mentite spoglie, dopo aver solcato le “Chiare, fresche et dolci acque,/ove le belle membra/ pose colei che sola a me par donna…, con i loro navigli sostano sulle rive del Tevere pronte a salpare con tutti i tesori che si trovano nelle segrete stanze del Quirinale, per trafugarli in porti sicuri. Il popolo sovrano non deve sapere: è meglio che rimanga all’oscuro. Ci pensano i servizi segreti, appena nominati, a tessere la ragnatela.

Forse – è prudente usare l’avverbio – siamo giunti ai titoli di coda. Nell’attesa del congedo, proviamo ad immaginare che pensieri e che desideri si agitano in queste notti insonni. Ci chiediamo: che strategie saprà escogitare lontano dal trono il Magnificus? Farà come Napoleone in esilio? Scriverà le sue memorie dalla più vicina isola d’Elba “… al tacito/morir d’un giorno inerte…?

La sua è stata felix culpa. Voleva cambiare l’Italia con i suoi petali che ormai sembravano appassiti, così come le cortigiane del cavaliere orante nell’epopea picaresca dell’hidalgo don Chisciotte da cui ha tratto ispirazione. Ricordate alcune parole diventate delle pietre miliari nella sua intemerata praedicatio? Rottamarerottamare! gridava l’angelo del castigo; cambierò l’Italia! prometteva il prode capitan. Forse voleva dire “fare rotta verso il mare?…”Poi ha cambiato veramente rotta: e invece della piaggia diserta ha scelto il pelago perché voleva guardare negli occhi il Leviatano. E questa “belle d’erba famiglia e d’animali” ha ‘scambiato’ la sua vocazione profetica con l’ambizione temporale, perché ripeteva “vòlli, e vòlli sèmpre, e fortissimaménte vòlli”, come aveva ardentemente agognato il titano Alfieri.

A egregie cose il forte animo accendono/ l’urne de’ forti… e quante volte si sarà recato tra le tombe dei grandi per essere ispirato ai patri numi come l’irato Vittorio, per raggiungere la sua Vittoria! Chissà se avrà letto con diletto, quello che, qualche millennio prima, Seneca aveva osservato nelle sue “Questioni naturali”: “La natura non ha generato niente che fosse immobile, qualcosa cade un giorno, qualcosa un altro giorno e, come nelle grandi città, si puntella ora questa casa ora quella, così in questo globo terrestre va a pezzi ora questa parte ora quella” (VI,1,12). A furia di amare la sua rotta ha compiuto un naufragio: “Come sul capo al naufrago/ l’onda s’avvolve e pesa,/ l’onde su cui del misero,/ alta pur dianzi e tesa,/ scorrea la vista a scerner/ prode remote invan;/ tal sul quell’alma il cumulo/ delle memorie scese!”. (Manzoni, Il cinque maggio)

Anche il Magnificus è stato parte del disegno provvidenziale divino nella storia, perché in lui volle “… del creator suo spirito / più vasta orma stampar.” Ma è bene ricordare che Kronos, dopo aver evirato il padre Urano e divorato i suoi figli per paura di essere detronizzato, è stato proprio il figlio Zeus a sfuggire al suo disegno e a incatenarlo insieme agli altri titani. Ci sarà sempre un figlio ribelle che detronizzerà il proprio padre. Rammentate come, Re Giorgio Napoleon, prima di disporre il diluvio universale, abbia chiamato Noè dai Monti dei Pascoli per approntare la sua parca arca e salvare tutta quella specie in estinzione, che aveva giurato fedeltà alla patria sotto il motto “pecunia non olet”. E poi quando è sorto l’arcobaleno la colomba ha portato, come segno di pace, un giglio splendente fiorentino, invece del ramoscello d’ulivo. Ma in questa terra italica, anche se ci sono infinite colpe irredimibili da espiare, nonostante i tanti sacrifici e i decreti divini che hanno provocato diluvi, impeti e tempeste, ancora, per virtù dei doni prodigati dal buon Dio, resistono tante maestose piante di ulivi… Aspetteremo che sortirà un altro Messia affinché si possa immergere in un mare di olio extravergine di origine controllata e garantita per raccontare altre fabule e parabole, se le colombe nel frattempo non saranno sterminate dai falchi.