Tu, di me

Tu, di me ( … u nostru mari ) di Vincenzo Calafiore 4Giugno2017Udine “ … se pensi ai suoi occhi smarginati pensi al mare, occhi che sanno come condurti là dove il tuo cuore vuole starci sempre… è profumo di vita, profumo di donna! “ Era già nell’aria il ritorno, fin’ora è stato solo che un temporeggiare una conclusione naturale di un percorso fatto più di salite che di tratti pianeggianti. All’inizio forse anche a dare retta alla mia incoscienza o meglio al mio desiderio di non rimanere più del giusto nello stesso posto, quando m’incamminai seguendo sin dall’inizio un percorso da cui avrei comunque guardato il mare, era per me di primaria importanza raggiungere la meta o meglio l’altrove. Furono anni duri, anzi durissimi, solo ed inesperto navigante, in mezzo a quel mare che non era uguale al mio di luce e calore, di colori pastellati da mani esperte; quando quella sera di maggio mi recai sulla spiaggia a salutarlo ci siamo raccontati quei nostri segreti, poi ci fu silenzio mentre un nodo stringeva sempre più la gola. Rimasi lì accanto agli scogli fino a quando il sole vi si tuffò dentro come fosse amore, morirgli dentro e rinascere al mattino seguente più radiante e luminoso che mai; se lui muore in esso e rinasce perchè io ho la sensazione di non rinascere più? Questo pensavo mentre mi avviavo a testa bassa verso casa. Tuttavia quella notte non riuscii a prendere sonno sentendolo battere furiosamente contro gli scogli, dal balcone potei vedere le barche all’ormeggio sollevarsi tutte assieme e ricadere sbattendo una contro l’altra e i gabbiani alzarsi in volo e posarsi sul braccio alto del porto; una tempesta così a sentire mio padre non la si vedeva dal lontano 56′ quando il mare entrato nel porto si portò via tutte le barche per lasciarle ammucchiate contro gli scogli di ponente. Scesi in spiaggia fin dove le onde arrivavano piano e ritornare sempre più rabbiose, così fino al mattino, quando per incanto cessò il vento ed il mare si placò lasciando tutto il palcoscenico al sole che cominciò a levarsi piano, infuocando dapprima il mare tanto da non poterlo guardare, poi alzandosi piano piano comincio ad entrare nelle case, superò i tetti e le colline fino a raggiungere la cima del monte più alto. Mio padre mentre si beveva assieme i caffè, mi disse: “ Così hai deciso di andare via!, abbandonare tutto per un qualcosa che neanche tu conosci. “ Spezzava a piccoli pezzi il pane dentro la sua tazza di orzo e latte, era come un cerimoniale suo, fatto con gli stessi gesti di sempre e mentre lo faceva pensava, meditava, non parlava con nessuno e quando aveva finito aveva una risposta o un consiglio, un insegnamento da darmi. “ Sarai solo in mezzo a quel mare della vita più grande, più oceano, di te; ma se terrai le mani ben salde sul timone la tua barca andrà sicuramente in porto, troverà sempre un riparo. Devi pensare più alla tua barca che a te, badare che i remi taglino l’acqua sempre alla stessa maniera, altrimenti non potrai andare da nessuna parte e resterai prigioniero di un mare che potrebbe farti annegare in un momento..” Con questo dialogo fatto a mezza voce, ci salutammo. Dopo tutto, dopo tanto mare, oggi dalla mia mezza altezza, non riesco a vedere e lo immagino nelle mie notti in solitaria il mio mare; posso sentirne l’aspra salsedine che mi fa lacrimare gli occhi, a volte … eppure di tanta solitudine si è contornata la mia traversata come fosse uno Stretto che avvicenda vite e destini con i suoi ritmi che non conoscono sosta nel susseguirsi di sogni e immaginazioni ove ancora s’annuncia l’alba di un altro giorno strappato al tempo, un altro giorno che si colma agli orli di quel senso di pienezza che è l’Amore. L’Amore che fa sognare e moltiplicare le emozioni come un nodo scorsoio alla gola, e questo sarebbe un morire dolce tra le sue bramosie, tra le sue elemosine, tra i suoi no. Ecco se questo Stretto un mattino non dovesse esserci che senso dare allora alla vita? Ma più, che senso dare al mio essere dietro una finestra ad immaginare una melodiosa risacca, quando invece è quello di una solitaria sirena che corre veloce come un treno che in certi Natali, veloce mi portava giù dopo una lunga traversata di confini di altrove distanti dalla mia anima: è finalmente mare!