La domenica di Rombiolo è in agorà per discutere dei problemi della comunità
L’uomo ritorna “animale politico”, secondo la definizione di Aristotele. Il luogo dove si è affermata la prima forma di democrazia, l’agorà della polis ateniese, a Rombiolo sta assumendo sempre più importanza politica e rinnova un’esperienza fondante per l’esercizio della democrazia e del pensiero. Sorta come la Fenice dalle ceneri dei partiti politici, l’agorà ormai è diventata un’istituzione. Ogni domenica mattina, da oltre un anno, un nutrito gruppo di cittadini (i partecipanti si aggirano a oltre 50, tra cui anche amministratori ed esponenti politici), con rinnovata passione e responsabilità etico-culturale e con spirito dialettico, si ritrovano a discutere di politica nel senso alto, nobile, della sua missione.
Ancora una volta da questa località, che nella sua storia ha sempre interpretato un ruolo d’avanguardia, lo sguardo procede oltre il cupo scenario che paralizza il presente e le menti. Rombiolo dimostra di avere un’anima antica e intanto medita sulle profetiche parole pronunciate da Dante nel VI canto del Purgatorio “Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/non donna di province, ma bordello!”. Proprio in un frangente storico-politico di interregno, dopo le dimissioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nocchiero che ha guidato la nave Italia nella gran tempesta che ancora sferza il mare le cui acque restano opache e agitate da tanta incertezza, in questo piccolo centro che disegna il dorso della collina che si eleva verso l’altipiano del Poro, riparte una nuova storia, sotto il segno dell’agorà. Il primo a dirigere il coro è stato l’architetto Raffaele Maccarone (ogni partecipante ha a disposizione cinque minuti con la possibilità di una breve replica). Si decide un tema o una questione sia locale che nazionale e poi, come il vento che trascina le foglie, così le parole trascinano la discussione in una danza che dà forma e corpo al verbo, libero di comunicare la propria vocazione, senza alcuna mediazione, nel breve spazio di un’ora, ma nell’immenso perimetro dell’agorà. In questo nuovo semestre il testimone è stato preso da Annunciato Larosa (con un lungo passato di amministratore comunale), dopo essere stato designato in una consultazione conviviale. Così come le favole si chiudono con la coda morale, anche l’agorà viene suggellata da un apologo in versi per mano di due poeti, Antonio Pontoriero e Michele Contartese, i quali raccolgono ciò che la parola dissemina nella piazza. Non spettatori ma attori. Non guerre di conquiste e di religioni, né battaglie e duelli, né logge occulte o riti iniziatici in luoghi oscuri e malsani, ma tutto splende alla luce del sole, di una luce nuova, che ha dato vita alla grande civiltà greca, dove la parola è l’ospite d’onore e gli uomini sanno darle udienza e testimonianza. Se a Pallade Athena, il mito ha assegnato la cultura e la guerra, non è un caso: la vera arma per conquistare il mondo è la cultura che unisce le differenze e le diverse opinioni e mette insieme il passato con il futuro, la conoscenza con la scienza, il sapere con il sapere di non sapere, la terra con il cielo. Nella sua identità originaria, la freccia scoccata in un tempo remoto dall’arco della parola ha fatto nascere la filosofia, l’epica, il mito, la politica, adesso la sua parabola prefigura una missione che restituisce all’uomo il ruolo centrale, quell’humanitas che ha generato prima l’Umanesimo e poi il Rinascimento. L’agorà è la risposta positiva alla profonda crisi che attraversa la nostra società e ai contenitori vuoti che sono diventati i partiti, con l’azione corrosiva di un neocapitalismo aggressivo, spietato e disumano, generato come un mostro per rendere il cittadino sempre più inerme, sempre più isolato e fragile socialmente, culturalmente e psicologicamente. Così il mondo si ritrova catturato nelle mani di pochi gerarchi-plutocrati che usano i mezzi di comunicazione per mistificare la realtà e per manipolare e anestetizzare la coscienza: è il linguaggio più evoluto con cui si esprimono i nuovi regimi totalitari, invisibili come i gas venefici e l’inquinamento che con grande maestria hanno iniettato nei battiti cardiaci.