Milano, Siriani in sei mesi accolte quattro mila persone, oltre mille sono bambini

Quattromila tra uomini e donne e 1.100 bambini, alcuni dei quali molto piccoli o addirittura di soli pochi giorni, ospitati nelle strutture del Comune di Milano gestite dal Terzo settore da metà ottobre ad oggi. È questo il bilancio di sei mesi della cosiddetta “Emergenza Siria”, che ha coinvolto Milano dalla fine di agosto con i primi arrivi alla Stazione Centrale, ed è culminata proprio qualche settimana dopo con centinaia di persone, tra cui decine e decine di minori, accampate nel mezzanino senza nulla. Da allora una unità di crisi è stata costituita dal Comune con operatori e volontari di diverse realtà per intervenire e soccorrere i migranti in attesa di una soluzione a livello nazionale e internazionale.

L’unico segnale giunto dal Governo è la convenzione sottoscritta con la Prefettura per il rimborso delle spese sostenute dai gestori delle strutture per l’organizzazione dell’accoglienza (30 euro per persona al giorno per 240 posti). Dietro l’’Emergenza Siria” la storia di migliaia di cittadini in fuga dalla guerra, giunti nel nostro Paese via mare dalla Libia, stipati su barconi, arrivati a Milano con il treno dalla Sicilia e dalla Calabria e diretti principalmente verso Svezia e Germania. Di tutti quelli transitati dalle strutture allestite in diversi quartieri della città e ripartiti mediamente dopo una settimana, solo in otto hanno fatto richiesta di asilo. Negli ultimi giorni sono state tra le 200 e le 240, a seconda dei flussi, le persone accolte nella struttura di via Aldini 74 e in quella di viale Toscana 31, allestita per gli ultimi arrivi. Oggi a Palazzo Marino i partecipanti all’Unità di crisi hanno tracciato insieme il bilancio di questi mesi. Sono intervenuti l’assessore alle Politiche sociali e l’assessore Sicurezza, i presidenti di Fondazione Progetto Arca, Alberto Sinigallia, e di Cooperativa Farsi Prossimo (espressione di Caritas Ambrosiana), Annamaria Lodi, e i rappresentanti di Albero della Vita, Giovani Musulmani, Fondazione Fratelli di San Francesco e Medici Volontari.

“A Milano da sei mesi – ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali – è attiva la convenzione con la Prefettura per l’accoglienza dei cittadini siriani in fuga dalla guerra Questo è stato l’unico segnale di attenzione da parte del Governo verso una tragedia umanitaria che ogni giorno attraversa il nostro Paese nella totale indifferenza delle istituzioni. Milano, suo malgrado, è diventata un modello, ma noi non abbiamo intenzione di essere lasciati ancora soli in questa situazione. Tra le persone accolte ci sono più di mille bambini, anche molto piccoli, una vera emergenza umanitaria che non può più essere ignorata o delegata esclusivamente alla nostra città, agli operatori e ai volontari. Il Governo ci dica con chiarezza che cosa intende fare. Lo dico perché l’emergenza non è finita e continuerà nei prossimi mesi. L’invito a dare una risposta è rivolto anche alla Regione Lombardia, che alla fine di agosto aveva sottostimato il numero degli arrivi, tacciando il Comune di fare allarmismo e, da allora, non ha mai risposto a nessuno dei nostri appelli. Siamo pronti a portare i bambini che arrivano alla Stazione direttamente a Palazzo Lombardia per capire se anche loro abbiano presente di che cosa stiamo parlando e chi stiamo soccorrendo”.

“In questi sei mesi abbiamo ricevuto la collaborazione di tantissimi operatori e di tantissimi milanesi – ha ricordato l’assessore alla Sicurezza – che non hanno fatto mancare aiuti concreti e solidarietà alle famiglie siriane e ai loro piccoli. Ringraziamo di cuore loro e tutti gli altri che hanno accolto con benevolenza la presenza di centri di accoglienza nei loro quartieri. A volte non è facile far convivere realtà diverse, ma abbiamo avuto una risposta davvero incoraggiante da tutti. L’ ultima considerazione – ha concluso l’assessore – la faccio sulla politica del Governo riguardo al Cie di via Corelli. Ne avevamo chiesto la chiusura definitiva e la trasformazione in un centro di accoglienza per senzatetto e invece sarà riaperto con le stesse funzioni. Da parte del Ministero dell’Interno una scelta che riteniamo sbagliata per molte ragioni, davvero una grande occasione persa”.

“L’unione di tanti soggetti – ha detto l’assessore alla Sicurezza – ha dato una risposta positiva nell’organizzare il soccorso, la protezione e l’assistenza di persone che sono fuggite da una guerra e si trovano nella nostra città di passaggio verso i Paesi del Nord Europa. Siamo intervenuti per dare un aiuto a donne, uomini, bambini rimasti senza nulla, e spesso in balia di delinquenti senza scrupoli pronti a sfruttarli per ottenere un vantaggio economico in cambio di un passaggio. Abbiamo collaborato con la Questura per evitare che questo succedesse e che famiglie con bambini cadessero in mano alla criminalità, anche grazie agli arresti effettuati a dicembre. Anche da parte mia il ringraziamento va a tutti coloro che hanno contributo a questo straordinario piano di accoglienza. Ora ci aspettiamo una risposta concreta e rapida dalla Regione, dal Governo e dall’Europa stessa, perché ci aiutino ad affrontare i prossimi mesi”.

 “Di fronte alla nuova emergenza dell’ultimo mese – ha detto Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca – i nostri operatori e volontari si sono subito resi operativi per rendere i centri adeguati a questa accoglienza di massa e per assicurare un servizio di accoglienza, 24 ore su 24, a tutte le famiglie che ci vengono affidate, in particolare ai bambini che rappresentano una buona percentuale del numero totale dei migranti. Ogni giorno, poi, in Stazione Centrale monitoriamo gli arrivi delle nuove persone (o delle persone che rientrano dopo un tentativo fallito di partenza), avvalendoci dell’aiuto di mediatori che parlano arabo, garantendo da subito l’orientamento della nostra accoglienza.

“La cooperativa Farsi Prossimo – ha spiegato la Presidente Annamaria Lodi – ha allestito gli spazi per i servizi che ritenevamo indispensabili realizzando un luogo ricreativo per i bambini; magazzini per alimenti, medicinali e capi d’abbigliamento. Oltre naturalmente alle stanze da letto, ai servizi sanitari e a un’infermeria. Ma il nostro sforzo principale, anche grazie a operatori che parlano correntemente arabo e inglese, è stato quello di creare le condizioni, umane e relazionali, indispensabili a restituire un minimo di serenità e di dignità a queste persone travolte da drammi inauditi”.