Corigliano Calabro, Davide Morrone ha bruciato viva Fabiana Luzzi. Ora esce dal carcere

Aveva ucciso la fidanzatina di appena 16 anni accoltellandola e poi bruciandola ancora viva. Davide Morrone, l’assassino, da poco divenuto maggiorenne, ha tentato due volte il suicidio. Per questo il tribunale dei minorenni di Catanzaro ne ha disposto l’immediato trasferimento in una struttura sanitaria ancora da individuare. Il 25 febbraio presso il tribunale di Catanzaro è previsto il processo con il rito abbreviato, ma l’avvio del procedimento, dipenderà dalle condizioni di salute di Davide Morrone.

Fabiana Luzzi fu accoltellata e poi bruciata viva. Il 25 maggio 2013 il fidanzatino di 17 anni all’epoca, prima accoltellò la ragazza, poi le diede fuoco, mentre lei fino alla fine aveva cercato di resistere alla sua furia. Fabiana Luzzi aveva solo 16 anni. Il Tribunale dei minori di Catanzaro, con un’ordinanza, ha disposto che il ragazzo lasci il carcere Ferrante Aporti di Torino dove è rinchiuso per essere trasferito in una struttura sanitaria. Le sue condizioni sono incompatibili con il carcere. La decisione della magistratura si basa sul doppio tentativo del ragazzo, oggi maggiorenne, di suicidio. La prima volta avrebbe tentato di impiccarsi con un lenzuolo l’11 gennaio 2014 ; la seconda qualche giorno successivo.  Il giovane deve rispondere dell’accusa di omicidio premeditato aggravato dai futili motivi e di calunnia per avere in un primo momento scaricato su altri la colpa del delitto.

Il giovane uccise la fidanzatina al culmine di una lite, nata da una morbosa gelosia. La colpì con sette coltellate. Fuggì ma poi tornò. La ritrovò agonizzante e a nulla i tentativi di  Fabiana Luzzi di salvarsi. Le versò qualche litro di benzina addosso senza pietà. Lei cercò, infatti,  di versare per terra il contenuto della tanica, ma indebolita dalle coltellate, non ci riuscì. Indebolita dalle coltellate ricadde a terra.

Mentre la famiglia di Fabiana Luzzi ha preferito non commentare, i legali del ragazzo ribadiscono ai media che non si tratta di una strategia per evitare il processo. “Il nostro assistito è reo confesso e sarà giudicato, su nostra richiesta, con rito abbreviato. Se avessimo voluto perseguire intenti dilatori o fini reconditi avremmo seguito altre strade”.