Bagnoregio, tre euro per visitare Civita la città che muore

Il luogo in questione è il borgo “incantato” che sovrasta la Valle dei Calanchi nel Viterbese. Civita è una frazione del comune di Bagnoregio famosa per essere denominata “La città che muore”. Situata in posizione isolata, è raggiungibile solo attraverso un ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1965. Il ponte può essere percorso soltanto a piedi, ma recentemente il comune di Bagnoregio, venendo incontro alle esigenze di chi vive e/o lavora in questo luogo, ha emesso una circolare in cui dichiara che, in determinati orari, residenti e persone autorizzate possono attraversare il ponte a bordo di cicli e motocicli. La causa del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi e che continua ancora oggi, rischiando di far scomparire la frazione, per questo chiamata anche “la città che muore” o, più raramente, “il paese che muore”. La frazione è attualmente abitata da sei persone.

In tempo di crisi succede anche che per “entrare” in un borgo storico bisogna pagare una tassa. Un ticket resosi necessario per finanziare le opere necessarie a contrastare il cedimento che lo sta interessando. Questi fenomeni costituiscono un rischio per Civita di Bagnoregio. Oltre alle frane già attive da anni che ad ogni inverno si ampliano interessando settori sempre più estesi sui versanti, i geologi hanno rilevato anche alcuni nuovi fenomeni che si sono attivati negli ultimi mesi.

Il sindaco di Bagnoregio Francesco Bigiotti segue da tempo le segnalazioni dei geologi e prova a correre ai ripari. “Anche questo anno il trasferimento di fondi dallo Stato per il Comune subirà una ulteriore rilevante riduzione; appare evidente come mai prima d’ora che Bagnoregio – spiega ai media locali – deve trovare autonomamente nuovi fondi che consentano di agire tempestivamente ed autonomamente. Occorre quindi intervenire e affrontare la situazione con risolutezza ed efficacia: tra pochi giorni sarà istituito l’ingresso a pagamento a Civita, e i proventi potranno così essere usati per gli interventi più urgenti”.

Il biglietto sarà di 3 euro, ma con numerose categorie di riduzione per gruppi e fasce di età e di gratuità; nel biglietto di ingresso a Civita sarà compresa anche la visita al “Museo Geologico e delle Frane”, così che i visitatori potranno informarsi su quanto accade in questa area e su cosa si è fatto e cosa si sta facendo per affrontare la situazione.

Civita venne fondata 2500 anni fa dagli Etruschi. Sorge su una delle più antiche vie d’Italia, congiungente il Tevere (allora grande via di navigazione dell’Italia Centrale) e il lago di Bolsena. All’antico abitato di Civita si accedeva mediante cinque porte, mentre oggi la porta detta di Santa Maria o della Cava, costituisce l’unico accesso al paese. La struttura urbanistica dell’intero abitato è di origine etrusca, costituita da cardi e decumani secondo l’uso etrusco e poi romano, mentre l’intero rivestimento architettonico risulta medioevale e rinascimentale. Numerose sono le testimonianze della fase etrusca di Civita, specialmente nella zona detta di San Francesco vecchio; infatti nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco vecchio è stata ritrovata una piccola necropoli etrusca. Anche la grotta di San Bonaventura, nella quale si dice che San Francesco risanò il piccolo Giovanni Fidanza, che divenne poi San Bonaventura, è in realtà una tomba a camera etrusca. Gli etruschi fecero di Civita (di cui non conosciamo l’antico nome) una fiorente città, favorita dalla posizione strategica per il commercio, grazie alla vicinanza con le più importanti vie di comunicazione del tempo. Del periodo etrusco rimangono molte testimonianze: di particolare suggestione è il cosiddetto “Bucaione”, un profondo tunnel che incide la parte più bassa dell’abitato, e che permette l’accesso, direttamente dal paese, alla Valle dei Calanchi. In passato erano inoltre visibili molte tombe a camera, scavate alla base della rupe di Civita e delle altre pareti di tufo limitrofe che purtroppo furono in gran parte fagocitate, nei secoli, dalle innumerevoli frane. Del resto, già gli stessi Etruschi dovettero far fronte ai problemi di sismicità e di instabilità dell’area, che nel 280 a.C. si concretarono in scosse telluriche e smottamenti. All’arrivo dei romani, nel 265 a.C., furono riprese le imponenti opere di canalizzazione delle acque piovane e di contenimento dei torrenti avviate dagli etruschi.