Soriano Calabro, in ricordo di don Francesco Bevilacqua i canti dell’anima, sangue e carne dell’io profondo di ogni persona

Ieri, 7 febbraio, nella sua eletta Soriano Calabro, si è spento don Francesco Bevilacqua. A me, che gli fui devotamente amico, piace ricordarlo rileggendo una delle sue raccolte poetiche, “I canti dell’anima” edita (2009) dall’Accademia Internazionale dei Micenei di Reggio Calabria.

“Sulla tua bianca tomba / sbocciano i fiori bianchi della vita. / Oh quanti anni sono già spariti / senza di te – quanti anni? / Sulla tua bianca tomba / ormai chiusa da anni / qualcosa sembra sollevarsi: / inesplicabile come la morte. / Sulla tua bianca tomba, / Madre, amore mio spento,/ dal mio amore filiale / una prece: / A lei dona l’eterno riposo.”

Sono i versi della lirica Sulla tua tomba bianca di Karol il Grande, il nostro amato Papa Giovanni Paolo II, una delle tante che costituiscono tutta la sua ricchezza poetica e con esse il poeta – sacerdote che scala, naturalmente con la partecipazione degli uomini, dei fedeli, verso Dio facilitato dalla Fede e trasportato dall’amore, per lodarlo dovunque esso si trovi ed in tutte le creature. Una di queste, risorsa primaria per la storia dell’uomo, è la “madre”.

Alla sorgente della vita tutti noi attingiamo forza per andare avanti, per credere nel cammino, così per don Francesco Bevilacqua: “Mamma, al tramonto di questo giorno / mi sento solo,/ come una creatura lasciata/ al suo triste destino./ Quel corpo che stringevi tra le braccia, / quel viso che baciavi / da bambino, / è avvolto da un’ombra di tristezza. / Vieni incontro al tuo figlio, madre mia, / non sento più la tua voce, / cerco il tuo volto, / il tuo sguardo ancora./ Mi sento solo,/ ma dentro di me una voce / che grida, che chiama, che invoca: / “Ma perché, ma perché ti sei allontanata?” / I miei occhi stanchi / fissano nel vuoto./ Il tuo volto / è prostrato./ Ti dico sempre: ti voglio bene, / o mamma!”

Si perché quando tante volte sprofondiamo nel deserto della quotidianità traviata, tutto diventa arido, arida è ogni nostra esperienza vitale ed allora diventa sempre più urgente l’esigenza di accostarsi anche solo col pensiero a ciò che corrisponde alle radici della nostra esistenza, alla reciprocità dell’amore. La “madre” è la goccia d’acqua inesauribile nel deserto della nostra anima e della nostra vita che ci disseta e ci soddisfa più di un fiume travolgente quando il percorso della nostra storia diventa ansioso. Come dire che in fondo basta poco per sprigionare grande amore.

La “madre” non è poco, il suo amore, il suo ricordo, il suo essere sempre accanto a noi, non costano nulla.

Questo vuol significare don Bevilacqua  nei succitati versi che sono l’incipit della fluida, semplice, coinvolgente e ricchissima silloge poetica I canti dell’anima.  Francesco Bevilacqua, sacerdote in meritato riposo, fino ad ieri, nella sua eletta Soriano Calabro, è nato a Pizzo e giovanissimo è entrato in Seminario completando gli studi classici e teologici al Regionale Pio XI di Reggio C. Si può dire che da sempre ha vissuto l’apostolato sacerdotale e di educatore nella città di San Domenico, amato e stimato da tante generazioni perché anticipatore di quella che poi diverrà la “pedagogia della soglia” e “pedagogia dei gesti” che ricordano l’alta missione di don Tonino Bello. Questo complesso patrimonio è un bagaglio che non pesa, metabolizzato progressivamente e scompaginato com’è nella personalità di ciascuno: aspetta solo di non essere dimenticato in soffitta, abbandonato in quella landa di superficialità esistenziale dove non trovano posto né riflessione, né stupore, né gratitudine, né richiesta d’aiuto, né responsabilità.

È questo l’anelito di don Francesco nel lasciarci i suoi versi, i suoi “canti dell’anima”: “perché non vadano perduti.”  Per questo auspicio, prima di questo lavoro, alla fine del 2004, ci aveva anche regalato “Il cielo nel tempo”, ultimi pensieri del fratello Rosario e poi La memoria e il tempo (2006), Dal visibile all’invisibile (2007) e Spigolando nel vissuto nel 2008.

Leggendo qua è là tra lo scrigno poetico di don Francesco, non si può non affermare di trovarci di fronte ad un tesoro, non solo letterario ( chè comunque non è questo il fine), ma spirituale. Insomma un complesso di idee, sensibilità, esperienze che progressivamente si deposita nell’esistenza di ogni uomo e che deriva dalla “mater”: la Fede e la madre.

Leggiamo ancora altri versi: “Speranza: Tu sei per noi dono divino, / porgi la mano a chi vive insicuro,/ a chi lotta con fede per vincere il male,/ per un insieme di gioia su strade di pace.” ; “ Resurrezione: La vita che passa e più non ritorna/ è accetta dall’uomo con tutti i suoi sogni / cha cadono il giorno del duro trapasso / e di lui vi resta appena un ricordo….”; “ Confido in te Signore:…Tu che al ladrone/ il paradiso hai promesso,/ nel giorno aspettato / tua presenza invochiamo / e la morte a noi apra / un gioioso passaggio / alla pasqua infinita / insieme a chi crede / nel grande Mistero.”; e più avanti “ Alla Madonna pellegrina:…Chiediamo che il mondo ritrovi unità / che ai giovani arrida un giorno migliore, / …pace e concordia strada d’amore.”; infine “Abbi fiducia in te:… La favola è finita:/ dolori, delusioni, amarezze tante,/ conflitti cocenti e mai finiti/ rendono triste/ l’esistenza tua./ Nelle ore buie dei giorni falsati, nel vuoto che ti lascia la speranza,/ va’ avanti / non arrenderti mai,/ abbi fiducia in te./ L’ipocrisia che domina la scena,/ la menzogna padrona del parlare,/ idoli a cui l’uomo si prostra/ deturpano il senso della vita./…Non sei solo,/ il Signore t’ascolta,/ cammina con te/ e la vittoria un dì ti arriderà.”

Ogni lirica è testimonianza di alto e sentito senso religioso, di un grido d’angoscia, di un ardente desiderio di approdo finale. Lo stile è caldo, l’espressione sobria e chiara; la parola viva e pregna.

Sono versi che riassumono il sangue e la carne dell’io profondo di ogni persona; sono la sostanza preziosa accumulata nello snodarsi rapido delle stagioni della vita. Sono l’esperienza con i suoi traguardi felici e le sue sconfitte, l’insieme dei doni ricevuti e delle delusioni accumulate, gli snodi significativi maturati nel modo di vedere le cose e di comprendere attraverso la fatica, la riflessione personale, gli incontri con il prossimo.

Sono canti e pensieri, questi di don Francesco, che racchiudono, rappresentano e dipingono un “ paesaggio… di una vita trascorsa all’insegna del dono e della testimonianza, dove non tutto è passato e non tutto passerà”, come scrive in prefazione Michele Alemanno.

È poesia, al postutto, che fa ricondurre tutto al motore vero, a Dio, al rispetto delle creature e dell’uomo. Non c’è un solo verso, nelle poesie di don Francesco Bevilacqua, che esprima dolore, anzi tanta speranza del domani sicuro di pietà da parte di chi tutto può e al quale ogni uomo deve tendere.