Vibo Valentia, le testimonianze del deportato partigiano Adelmo Franceschini e dei partigiani Carmine Fusca e Domenico Mazzitelli

Ridare vita alla memoria: diventa sempre di più importante e indispensabile man mano che quel 27 gennaio del 1945 si allontana dai nostri orizzonti storici ed etici. E affinché il “giorno della memoria” non sia una sorta di sacralizzazione rituale e retorica svuotata di senso e di peso morale, i testimoni di quelle che sono le pagine più tragiche che la storia dell’umanità abbia conosciuto, con la shoah e i lager nazisti, e che si riassume nel l’espressione “male assoluto”, assumono un’importanza sempre più alta da un punto di vista umano e storico. “L’uomo è definito dalla sua memoria individuale – ha affermato Elie Wiesel, sopravvissuto dal lager di Auschwitz e premio Nobel per la pace nel 1986 – legata alla memoria collettiva. Memoria e identità si alimentano reciprocamente. Per questo dimenticare i morti significa ucciderli una seconda volta, negare la vita che hanno vissuto, la speranza che li sosteneva, la fede che li animava”.

Venerdì scorso, nella sala della Biblioteca comunale di Vibo, questa voce è risuonata forte, intensa, commovente. Nord e Sud, nel nome della libertà e dei valori della Resistenza si sono uniti. Sono stati i partigiani i veri protagonisti di una giornata che resterà memorabile, perché a parlare, in una sala gremita di cittadini, c’erano tre partigiani che hanno ricordato la loro epopea ma anche l’orrore toccato con mano e visto con i loro occhi. Ospite il deportato-partigiano Adelmo Franceschini di Bologna, il quale ha raccontato la sua scelta di stare dalla parte della Resistenza in quei tragici momenti che seguirono l’8 settembre.  Alla sua età (aveva 19 anni) ha fatto una scelta fondamentale: quella di non aderire alla Repubblica di Salò e come lui ben 600 mila giovani hanno compiuto questa drammatica decisione perché sono stati tutti deportati nei campi di concentramento della Germania .  Ma grazie anche alla loro “resistenza” è stato possibile sconfiggere le forze nazi-fasciste.. Il deportato bolognese, proseguendo il suo racconto, ha ricordato le sue esperienze scolastiche sotto il regime fascista, l’obbligo di studiare anche la cultura fascista, con un evidente intento di plasmare la loro prima formazione con l’ideologia e la propaganda fascista, si è fatto portavoce di un appello: lo studio della Costituzione nelle scuole.

 Altri due partigiani hanno unito la loro voce a quella di Franceschini. Il primo, Carmine Fusca (vive a San Nicola de Legistis nel comune di Limbadi) ha combattuto nelle brigate Garibaldi in Val di Susa e tra le tante altre vicende vissute, ha raccontato l’episodio di un suo incontro assieme al suo comandante di brigata con l’avvocato Agnelli nella sua residenza di Torino. Fusca ha voluto omaggiare i presenti con un tipico canto della Resistenza, rievocando così quell’atmosfera in cui è maturata la sua esperienza a fianco dei partigiani; lo stesso ha fatto Domenico Mazzitelli. Quest’ultimo si è commosso tantissimo tanto da mettersi a piangere perché ha ricordato quei frangenti in ha rischiato la vita. Si trovava a Carpignano Sesia, vicino Novara, quando dopo l’armistizio nel ‘43, insieme ad altri compagni che componevano un gruppo del genio guastatori scelti, hanno visto l’avviso che li intimava ad arruolarsi alla Brigate nere; il loro comandante Moscatelli, che già aveva deciso di schierarsi con i partigiani, li ha consigliati di iscriversi alla Brigate nere per non essere deportati, per  poi scappare sulle montagne. Da quel Mazzitelli è diventato partigiano. Nel 1946 ha ricevuto un attestato, firmato dal Comandante supremo  Harold Rupert Leofric George Alexander (Londra, 10 dicembre 1891 – Slough, 16 giugno 1969, generale e politico britannico, ministro della Difesa e governatore del Canada e  uno dei grandi protagonisti della seconda guerra mondiale come capo del corpo di spedizione alleato che sbarcò in Sicilia) e dallo stesso Moscatelli, in cui viene certificato l’eroismo di Mazzitelli:  “Nel nome dei governi e dei popoli delle Nazioni Unite, ringraziamo Mazzitelli Domenico di aver combattuto il nemico sui campi di battaglia militando nei ranghi dei patrioti, tra quegli uomini che hanno portato le armi per il trionfo della libertà, svolgendo operazioni offensive, compiendo atti di sabotaggio, fornendo informazioni militari. Con il loro coraggio e la loro dedizione i patrioti italiani hanno contribuito validamente alla liberazione dell’Italia e alla grande causa di tutti gli uomini liberi. Nell’Italia rinata i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l’onore e la libertà”.

Il presidente della sezione Anpi di Vibo Silvestro Scalamandrè ha conferito a loro la tessera ad honorem, ma anche ad altri due partigiani assenti per motivi di salute, Salvatore Staglianò ( Vibo Marina) e Francesco Restuccia  (Tropea).

La viva voce di questi protagonisti della storia ha riacceso i sentimenti e la memoria per quelle tragiche vicende che oltre agli ebrei (si calcolano oltre 6 milioni di vittime) chiamano in causa tutti noi, affinché, come afferma  lo stesso Primo  Levi (Se questo è un uomo, Sommersi e salvati), quell’orrore non si ripeta mai più. Il pericolo è anche  l’indifferenza che ha generato quella zona grigia complice diretta o indiretta di quell’immane carneficina ed oggi, questa area si sta allargando, non solo con il revisionismo e il negazionismo, ma con lo svuotamento dei valori e degli ideali che hanno dato vita alla Resistenza e alla Costituzione. Nell’attualità storica si registrano  fenomeni simili a quelli che si sono verificati negli anni ’20. Questo deve far riflettere. Lo ha sottolineato con grande energia Franceschini, richiamando quanto aveva affermato Gramsci, “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”; ma anche una partigiana di Savona, Adriana Colla, che in una intensa e appassionata lettera fatta recapitare a Carmine Fusca (in seguito ad un’intervista che quest’ultimo ha rilasciato sulla rivista “Patria”, anche lei partigiana in Val di Susa), rievocando quell’esperienza e sottolineando il ruolo delle donne,  afferma con tristezza e amarezza: “ Sa Carmine, per me quei mesi, dal settembre ’43 all’aprile ’45, racchiudono un periodo meraviglioso, pieno di passione ed entusiasmo. Forse per i maschi non è stato così, perché per voi è stato un obbligo, per noi una scelta di libertà. Ma oggi do’è finito il nostro sogno di un futuro libero, democratico, dove tutti dovevano essere rispettati? Io ho ormai ho novant’anni e questo non è più il mio mondo”.  E in un intervento di carattere pubblico ha ricordato che “il male peggiore per una società democratica sia l’indifferenza dei suoi cittadini verso la vita politica”; e con tanta preoccupazione, a nome di tutta la sua generazione, ha espresso per la disastrosa situazione politica italiana cosi simile a quella che, negli anni ‘20, diede origine alla tragedia della dittatura fascista.

Importanti sono stati gli interventi nel corso dell’incontro. Ad introdurre Scalamandré, mettendo in rilievo il ruolo dell’Anpi sul territorio per ravvivare nelle giovani generazioni  la difesa dei principi costituzionali, simbolo della liberazione e della più alta civiltà democratica a cui ancora oggi dobbiamo guardare con orgoglio per costruire il futuro di fronte a fenomeni inquietanti che mettono in discussione quei valori. Aspetti questi che sono stati ripresi e approfonditi da Luigi De Nardo (segretario provinciale Cgil) alla luce del ruolo del sindacato che ha sempre affiancato l’azione dell’Anpi a livello nazionale condividendone lo spirito, ma anche in relazione alla realtà sociale e politica nazionale e locale, esprimendo la preoccupazione per il venir meno dell’attenzione etica e per i diritti conquistati con il sacrificio delle generazioni passate.

Inoltre Giacinto Namia (saggista), ha messo in rilievo il valore della testimonianza e della memoria; anche il prof. Antonio Pugliese (Università di Messina) autore di un libro testimonianza sull’esperienza del padre sopravvissuto (“Mio padre nel lager “da cui è stato tratto l’omonimo docufilm realizzato dal regista Enzo Carone) ha ribadito l’importanza di queste ricorrenze per rendere viva la memoria. Emozione ha suscitato l’intervento di una studentessa, El Alfia Marua, che ha espresso con grande sensibilità i suoi sentimenti sull’orrore della shoah e il valore della memoria per le nuove generazioni. Infine ha concluso lo storico Saverio Di Bella (prof. emerito Università di Messina) , il quale ha ricostruito il contesto della Resistenza e il ruolo di tanti giovani calabresi che hanno sacrificato la loro vita per la libertà, valore assoluto, che lo stesso Di Bella ha descritto nel libro (insieme ad Anna Maria Garufi e Placido Currò) “Il sangue e il sole. Partigiani del Mezzogiorno 1943-1945”(edizioni Zaleuco). In merito ha sottolineato come quell’eredità viene ancora tradita perché il Sud subisce una depredazione non solo della memoria ma anche delle risorse. Per Di Bella la “questione meridionale” è sempre un problema irrisolto che si pone a livello politico e culturale.  Il riscatto della Calabria e del Sud non possono prescindere da un’analisi attenta delle strategie e delle dinamiche che vengono pianificate dai poteri forti come le banche e  il ruolo delle fondazioni bancarie, ha ribadito lo storico, e bisogna smascherare l’inganno del federalismo fiscale che depreda ancora di più il Sud a favore del Nord, non dimenticando il peso della criminalità organizzata che oltre a destabilizzare le istituzioni democratiche (la trattativa stato-mafia e l’uccisione di Falcone e Borsellino sono i fatti che dimostrano questa connivenza), investe enormi  flussi di denaro macchiato di sangue nelle banche (a livello mondiale circa 2 mila miliardi di euro) e come i provvedimenti operati dal governo Monti abbiano rafforzato questi poteri e approfondito il divario tra Nord e Sud (il caso del Monte dei Paschi è l’ultimo esempio di fondazioni che prelevano al Sud senza fare alcun intervento nel sociale e nella cultura) tradendo di fatto i principi fondamentali della Costituzione.

La manifestazione organizzata dall’Anpi (sezione di Vibo) in collaborazione con la segreteria provinciale della Cgil, è stata caratterizzata dalla proiezione del docu-film “Anna, Teresa e le Resistenti” del giovane regista (originario di Monasterace) Matteo Scarfò dedicato al ruolo delle donne calabrese nella Resistenza, in particolare di Teresa Talotta Gullace di Cittanova che è stata interpretata da Anna Magnani nella famosa scena del film di Roberto Rossellini” Roma città aperta”, considerato un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale e il manifesto del Neorealismo italiano. Si tratta di un genere sperimentale denominato “fusionale”, un risultato di una fusione tra cinema, teatro e letteratura, che ha avuto diversi riconoscimenti. A spiegare le finalità del lavoro il direttore della Cineteca della Calabria Giovanni Scarfò (la pellicola è stata realizzata grazie al contributo del Consiglio regionale della Calabria).