Taranto, Ilva 700 lavoratori in ferie forzate a causa della crisi di mercato

Stop anche per il tubificio due dopo il rivestimento tubi e la produzione lamiere che erano stati fermati lunedì scorso. Il ricorso alle ferie forzate si è reso necessario in quanto ad oggi l’Ilva non ha più ordini di lavoro per questi settori dell’area a freddo dello stabilimento. L’azienda nei giorni scorsi aveva chiesto il ricorso alla cassa integrazione ordinaria per un massimo di 2 mila unità di questi reparti ma due incontri avuti con i sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm si sono conclusi con un nulla di fatto. I sindacati hanno chiesto all’Ilva di soprassedere alla cassa integrazione e l’azienda, per ora, ha scelto l’alternativa delle ferie forzate. Per il 29 novembre, intanto, il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, ha convocato il coordinamento sindacale nazionale dell’azienda per fare il punto della situazione.

Il coinvolgimento delle rappresentanze degli altri siti produttivi sia da mettere in relazione più che con la crisi di mercato, con le vicende di Taranto che sono giunte ad un punto delicato. A giorni il Gip Patrizia Todisco (lo stesso che il 25 luglio scorso ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo per il reato di disastro ambientale) dovrebbe pronunciarsi sull’istanza di dissequestro presentata dall’azienda insieme al piano attuativo delle prescrizioni impiantistiche e ambientali dell’Aia e ad una controperizia dove la stessa Ilva smentisce le conclusioni cui sono giunti nei mesi scorsi i periti chimici, medici ed epidemiologi incaricati dal Gip. Secondo questi ultimi, infatti, l’inquinamento dell’Ilva, nei sette anni esaminati, ha causato numerosi casi di malattia e di morte, tumori soprattutto. Secondo i periti dell’Ilva, invece, queste responsabilità non sono da imputare all’azienda siderurgica, i livelli di diossina sono nella norma, i livelli di pm 10 (le polveri sottili) sono più bassi di quelli riscontrati in molte città italiane e nella pianura padana, i casi di tumore, soprattutto quelli legati al mesotelioma, sono dovuti al largo uso di amianto fatto da altri comparti produttivi presenti a Taranto con riferimento alla cantieristica e alla navalmeccanica. L’Ilva ha poi motivato la richiesta di dissequestro con la necessità di avere la responsabilità e l’agibilità degli impianti da risanare, oggi invece affidata ai custodi giudiziari, e di ricorrere al credito bancario per finanziare i nuovi investimenti senza vincoli di sorta, evidenziando che è impossibile che le banche finanzino un’industria che è in gran parte sottoposta a sequestro penale.