L’Aquila 2030, una strategia di sviluppo economico

Penso si debba smettere di posticipare il tempo di un nuovo Piano Regolatore Generale, poiché continuare a spostare l’orologio in avanti, significa semplicemente cedere agli interventi “in deroga”, dettati da interessi privati, e rendere impossibile una riforma in senso pubblico della città e del suo territorio, e, in ultima analisi, rendere impossibile una seria strategia di sviluppo economico, rendendo reale quello che il Documento chiama uno “scenario senza intervento”, cioè uno scenario di declino irreversibile. La vittoria sui disequilibri fisico-spaziali della città e del suo territorio, pre e post terremoto, è, di per sé, già una strategia di sviluppo economico. Il Documento ministeriale, mi scuso della semplificazione, prefigura per L’Aquila, un futuro da “Città universitaria”, su cui investire. Mi pare però che non indaghi abbastanza su due possibili implicazioni di questa scelta. Da una parte, vi è tutto il tema del legame tra Università e Sanità, che coinvolge, indirettamente le questioni dell’Assistenza e del Welfare ( anche tenendo conto della composizione demografica del Territorio ), ma anche i possibili sviluppi in tema di Ricerca e di Tecnologie. Dall’altra, il tema del rapporto tra Università, Ricerca e Imprese del Territorio, che, lungi dall’essere “orientato al mercato”, come il Documento presupporrebbe con grave attacco alla stessa autonomia della Ricerca e dell’Insegnamento, dovrebbe ovviamente evitare di essere collocato in torri d’avorio inaccessibili alle concrete esigenze delle Imprese.

La Città Universitaria, dovrebbe essere luogo anche di “scambi fisici” tra Ricercatori. Di comunicazione. E penso sia qui il caso di inserire un ragionamento del riuso delle caserme cittadine per campus, non per studenti, ma di residenzialità per Ricercatori, Dottorandi, Docenti, e anche Tecnici e Ingegneri, legati ai processi di Ricostruzione e alle Imprese hi-tech del Territorio. Così come lo spazio ex Italtel, di proprietà del Comune, potrebbe divenire uno straordinario luogo fisico di accoglienza per persone e imprese e Enti Formativi che leghino la Ricostruzione all’innovazione tecnologica, nelle comunicazioni, nell’energia, nelle tecniche costruttive e di restauro e che comunichino con l’Università anche per esperienze di incubazione d’impresa. Pur se accennato dal Documento del Ministero, un altro grande tema mi pare urgente e necessario. Ed è quello del rapporto con i flussi migratori legati ai processi di ricostruzione. Questi flussi cambieranno la composizione sociale e demografica della città e del territorio. Non è qui il luogo per un ragionamento complesso sui processi di integrazione. Ma una cosa è certa: non ci si può limitare a pensare che gli immigrati possano essere la chiave per risolvere il tema dello spopolamento dei centri minori o delle frazioni. Questo significherebbe la costruzione di sostanziali ghettizzazioni e separatezze, pericolosissimi per il futuro. E la questione andrebbe affrontata a partire dalle scuole. Di ogni ordine e grado, la cui ricostruzione e riallocazione è tema decisivo anche in questo senso e non possiamo permetterci di non discuterlo fino al 2030.

Resta assente dallo scenario prefigurato dal Documento il tema del rapporto tra giovani in particolare, e nuove forme di comunicazione, di arte, di cultura. Spazi non utilizzati già oggi permetterebbero, con il concorso anche delle Istituzioni Culturali presenti in città, di immaginare nuovi percorsi di accumulazione e confronto di saperi, di esperienze, di laboratori di idee. Ciò dovrebbe riguardare ovviamente anche gli spazi pubblici da recuperare e dedicare allo sport e allo spettacolo. Non sarebbe sufficiente un “Urban Center” per la partecipazione democratica reale ai processi di trasformazione della città e del territorio; sarebbe necessario un “Media Center”, che anche per questa via accorci le distanze con Roma, in funzione di decentramento e di scambio ad esempio. Il Documento del Ministero per la Coesione Territoriale è un documento molto serio, da non liquidare con le mie poche parole. E propone analisi e soluzioni dotate di fondamento. E però, se si vuole davvero accompagnare il processo di ricostruzione/costruzione, il rapporto tra L’Aquila e il Governo nazionale, non può limitarsi al controllo delle risorse stanziate e ad uno stimolo “culturale”, ma deve strutturarsi in una “camera di compensazione” dei processi e delle normative, tra pari, si potrebbe quasi dire. Altrimenti quel che accadrà sarà solo la ricerca costante di sponde per affinità politiche nelle diverse stagioni e la lamentazione per le insufficienze che potranno verificarsi.

E su questo, il tema delle risorse disponibili, in particolare in una fase di crisi, resta decisivo, anche alla luce della concreta possibilità che l’Abruzzo, e l’Aquila, escano dal sistema degli aiuti europei con la prossima programmazione comunitaria. Con il che, invece di realizzare un laboratorio per un modello di ricostruzione urbana e territoriale in una zona altamente sismica del Paese, e di possibile sviluppo economico, ci ritroveremmo, da qui al 2030, davvero a diventare semplici custodi di “ruderi”. Grazie dell’attenzione.

 

Luigi Fiammata

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