La Primavera Araba ed il fondamentalismo islamico

Fondamentalisti islamici hanno ucciso ieri a Bengasi l’Ambasciatore statunitense in Libia. Un omicidio compiuto quasi sicuramente da cellule di Al Qaeda che dimostra come la Primavera Araba stia aprendo le porte ad un fondamentalismo islamico organizzato in gruppi che applicano precise tattiche militari prepianificate. L’evento di ieri, infatti, non è stato casuale. Non un atto sconsiderato indotto da un’improvvisa esaltazione di un gruppo di manifestanti, ma un vero e proprio episodio militare condotto con un perfetto coordinamento sul terreno come l’efficacia dei risultati hanno dimostrato. Un’azione possibile solo se sviluppata da nuclei addestrati ad interoperare e che per azzerare la probabilità di insuccesso hanno probabilmente svolto in precedenza cicli simulati della stessa operazione. Un attacco sferrato contro il simbolo degli USA in Libia, che evidenzia anche un’attenta gestione politica dell’azione. L’omicidio è, infatti, avvenuto in concomitanza di tre momenti significativi. L’undicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York; le manifestazioni della folla contro l’Ambasciata americana al Cairo quasi a voler creare un falso scopo ed, infine, la dichiarazione del Capo di Al Qaeda Al Zawahiri che proprio ieri ha ufficializzato la morte del suo vice, il libico Abu Yahaha al Libi, avvenuta nel Warziristan pakistano dopo un raid di Drone americani. I fatti di Bengasi rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno strisciante di emergente fondamentalismo che da tempo caratterizza tutta l’area che ha ospitato la Primavera Araba nata come riscossa di una democrazia laica secondo la visione ottimistica di molti del mondo occidentale, ma che di fatto ha portato a ben altro. L’estremismo islamico si sta appropriando, infatti, delle aspirazioni di quelle popolazioni e le manipola sotto lo sguardo disinteressato del mondo occidentale. Un Occidente che ha permesso l’esecuzione sommaria di Gheddafi mente fuggiva. Un massacro definito negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia come “ una vittoria del popolo libico”, mentre il Governo di Bengasi si affrettava a riaffermare la sharia coranica come base fondamentale della nuova Costituzione libica e nominava Comandante militare di Tripoli tale Abdel Hakim Bellhady, un tempo molto vicino a Bin Laden e già ospite per lungo tempo di Guantalamo. Alla stessa stregua, in Egitto è stata favorita la deposizione del dittatore Mubarak aprendo la porta ai Fratelli Mussulmani sicuramente non laici ed a Tunisi che venisse cacciato il tiranno Bel Alì spianando la strada all’affermazione degli Ennahda, movimento “moderato” che si propone la rinascita attraverso l’affermazione di una Tunisia islamista ed ha imposto di nuovo il velo alle donne. Le cellule di Al Qaeda, presenti da tempo nel Maghreb ed in Cirenaica, hanno approfittato della situazione. Dapprima dando man forte ai ribelli e poi riorganizzando il loro network locale che sta trasformando l’organizzazione eversiva presente in Africa in un organismo sempre più globalizzato. Strutture strettamente collegate fra loro dal Corno d’Africa fino alle rive del Mediterraneo, in cui i Salafiti, da tempo operativi nell’area e collegati alle cellule eversive dislocate nello Yemen, rappresentano lo “zoccolo duro”. Una trasformazione che l’Occidente sembra ignorare con il rischio che improvvisamente possa essere ricattato da gruppi estremistici che si siano impossessati del controllo dell’arteria strategica che dal Golfo di Aden ed il Canale di Suez sbocca nel Mediterraneo, veicolando le risorse energetiche verso l’Occidente,. Segnali allarmanti arrivano, inoltre, dalle parole del portavoce americano di Al Qaeda, Adam Gardhan, che in occasione dell’anniversario dell’11 settembre ha contestato i contenuti delle parole Obama quando afferma che gli USA combattano Al Qaeda e non l’Islam. Adam ha, infatti, definito la posizione americana come una “chiara opposizione all’Islam come sistema politico” minacciando “un prossimo olocausto contro New York e Los Angeles” per vendicare i mussulmani uccisi dagli attacchi dei Drone americani nello Yemen. Un escalation che se non affrontata immediatamente è destinata a favorire l’affermazione nella Regione di gruppi estremistici che fanno della loro bandiera un’interpretazione esasperata e distorta dei contenuti del Corano, favorendo ancora una volta l’affermazione del ricatto del terrore piuttosto che una pace duratura. Qualche segnale sta già arrivando dallo Yemen e da tutti i Paesi del Golfo Persico dove è più radicata l’islamizzazione. 13 settembre 2012, ore 14,00 Fondamentalisti islamici hanno ucciso ieri a Bengasi l’Ambasciatore statunitense in Libia. Un omicidio compiuto quasi sicuramente da cellule di Al Qaeda che dimostra come la Primavera Araba stia aprendo le porte ad un fondamentalismo islamico organizzato in gruppi che applicano precise tattiche militari prepianificate. L’evento di ieri, infatti, non è stato casuale. Non un atto sconsiderato indotto da un’improvvisa esaltazione di un gruppo di manifestanti, ma un vero e proprio episodio militare condotto con un perfetto coordinamento sul terreno come l’efficacia dei risultati hanno dimostrato. Un’azione possibile solo se sviluppata da nuclei addestrati ad interoperare e che per azzerare la probabilità di insuccesso hanno probabilmente svolto in precedenza cicli simulati della stessa operazione. Un attacco sferrato contro il simbolo degli USA in Libia, che evidenzia anche un’attenta gestione politica dell’azione. L’omicidio è, infatti, avvenuto in concomitanza di tre momenti significativi. L’undicesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York; le manifestazioni della folla contro l’Ambasciata americana al Cairo quasi a voler creare un falso scopo ed, infine, la dichiarazione del Capo di Al Qaeda Al Zawahiri che proprio ieri ha ufficializzato la morte del suo vice, il libico Abu Yahaha al Libi, avvenuta nel Warziristan pakistano dopo un raid di Drone americani. I fatti di Bengasi rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno strisciante di emergente fondamentalismo che da tempo caratterizza tutta l’area che ha ospitato la Primavera Araba nata come riscossa di una democrazia laica secondo la visione ottimistica di molti del mondo occidentale, ma che di fatto ha portato a ben altro. L’estremismo islamico si sta appropriando, infatti, delle aspirazioni di quelle popolazioni e le manipola sotto lo sguardo disinteressato del mondo occidentale. Un Occidente che ha permesso l’esecuzione sommaria di Gheddafi mente fuggiva. Un massacro definito negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia come “ una vittoria del popolo libico”, mentre il Governo di Bengasi si affrettava a riaffermare la sharia coranica come base fondamentale della nuova Costituzione libica e nominava Comandante militare di Tripoli tale Abdel Hakim Bellhady, un tempo molto vicino a Bin Laden e già ospite per lungo tempo di Guantalamo. Alla stessa stregua, in Egitto è stata favorita la deposizione del dittatore Mubarak aprendo la porta ai Fratelli Mussulmani sicuramente non laici ed a Tunisi che venisse cacciato il tiranno Bel Alì spianando la strada all’affermazione degli Ennahda, movimento “moderato” che si propone la rinascita attraverso l’affermazione di una Tunisia islamista ed ha imposto di nuovo il velo alle donne. Le cellule di Al Qaeda, presenti da tempo nel Maghreb ed in Cirenaica, hanno approfittato della situazione. Dapprima dando man forte ai ribelli e poi riorganizzando il loro network locale che sta trasformando l’organizzazione eversiva presente in Africa in un organismo sempre più globalizzato. Strutture strettamente collegate fra loro dal Corno d’Africa fino alle rive del Mediterraneo, in cui i Salafiti, da tempo operativi nell’area e collegati alle cellule eversive dislocate nello Yemen, rappresentano lo “zoccolo duro”. Una trasformazione che l’Occidente sembra ignorare con il rischio che improvvisamente possa essere ricattato da gruppi estremistici che si siano impossessati del controllo dell’arteria strategica che dal Golfo di Aden ed il Canale di Suez sbocca nel Mediterraneo, veicolando le risorse energetiche verso l’Occidente,. Segnali allarmanti arrivano, inoltre, dalle parole del portavoce americano di Al Qaeda, Adam Gardhan, che in occasione dell’anniversario dell’11 settembre ha contestato i contenuti delle parole Obama quando afferma che gli USA combattano Al Qaeda e non l’Islam. Adam ha, infatti, definito la posizione americana come una “chiara opposizione all’Islam come sistema politico” minacciando “un prossimo olocausto contro New York e Los Angeles” per vendicare i mussulmani uccisi dagli attacchi dei Drone americani nello Yemen. Un escalation che se non affrontata immediatamente è destinata a favorire l’affermazione nella Regione di gruppi estremistici che fanno della loro bandiera un’interpretazione esasperata e distorta dei contenuti del Corano, favorendo ancora una volta l’affermazione del ricatto del terrore piuttosto che una pace duratura. Qualche segnale sta già arrivando dallo Yemen e da tutti i Paesi del Golfo Persico dove è più radicata l’islamizzazione. 13 settembre 2012, ore 14,00