Per San Rocco, fede, arte e tradizione in tutta Italia testimoniano una devozione sincera

Tempi neri, di peste, di pellegrinaggi con bisaccia e bastone; tempi in cui mercanti borghesi abbandonavano le loro ricchezze, avventurandosi lungo strade sconosciute per soccorrere poveri e malati. Sono i tempi del buon san Rocco di Montpellier, vissuto nel lontano ‘300 e attorno al quale nei secoli successivi si è accompagnata una fede sincera verso uno dei modelli più venerati della Cristianità. E’ il Santo che accomuna genti del nord e del sud, dalla Francia alla Sicilia e trova il massimo della venerazione a Piacenza, città che si trovava sulla via Francigena, passaggio obbligato per i pellegrini che dall’Europa si portavano a Roma e a Gerusalemme.

L’appellativo di “francigena” o “francesca” deriva dall’essere via di collegamento verso l’Oltralpe. I pellegrini venivano dalla Francia, attraversola Via Tolosanache portava al grande santuario mariano di Santiago di Compostela, e dal nord Europa. Valicate le Alpi al Moncenisio e al Gran San Bernardo, si scendeva nella pianura padana per poi tagliare, all’altezza di Parma, gli Appennini. Dal passo di Monte Bardone (nella Cisa) si arrivava in Toscana. Dopo i centri maggiori di Lucca, San Gimignano, Siena, Bolsena e Viterbo, si giungeva alla meta: Roma. Verso sud i pellegrini potevano proseguire verso l’Appia Traianea fino ai porti pugliesi, ove si imbarcavano perla Terra Santa.La Francigenarisulta quindi in posizione centrale nel traffico delle tre “peregrinationes maiores” (Roma, Santiago, Gerusalemme). Lungola Vianascono e si organizzano varie Confraternite e Ordini Ospedalieri per dare ristoro e aiuto ai pellegrini. Aprono ospedali e centri di soccorso, controllano le strade tenendo segnati i percorsi e combattendo il brigantaggio, assicurano assistenza spirituale e sepoltura in terra benedetta al pellegrino meno fortunato. Nel medioevo molti si mettevano in viaggio entrando nella dimensione dell’ “homo viator”. Lasciavano famiglia ed averi, facevano testamento e partivano. Roma era una delle mete allora più frequentate a causa delle alterne vicende di Santiago e Gerusalemme minacciate o in mano agli Arabi. Vescovi e Abati che si recavano dal Papa erano viaggiatori abituali sulla Via. Se ne servirono anche i Crociati che nell’XI sec. Si recarono alla conquista del Santo Sepolcro. Il movimento sulla Francigena non si fermò mai del tutto, raggiungendo le sue punte maggiori durante gli Anni Giubilari: basti pensare all’enorme afflusso per il primo Giubileo della storia, quello del 1300. Tornando a san Rocco, è proprio nella città emiliana di Piacenza che  si ammala di peste e, nelle sue vicinanze, guarisce.  Rocco era nato tra il 1345 e il 1350 da una ricca famiglia di Montpellier, città della Linguadoca, sede vescovile, importante per l’antica università ed il commercio marittimo. Dopo aver assistito alle terribili pestilenze del 1348 e del1361, avent’anni lascia la città natale  ed ogni suo avere. Si porta verso l’Italia attraverso i vecchi sentieri della Gallia Cisalpina, l’Emilia e l’Umbria, soccorrendo ammalati ed appestati negli ospedali come negli ospizi. Nel 1368 lo troviamo a Roma, dove cura e guarisce miracolosamente dalla peste, che allora infuriava, molti personaggi anche illustri e un prelato. Nel viaggio di ritorno a Piacenza, nel 1371 si ammala di peste. Il doloroso bubbone all’inguine lo spinge nei boschi di Sarmato dove viene salvato dalla fame da un cane che gli porta ogni giorno una pagnotta. Rocco guarisce, continua a far miracoli e seguaci, sino alla morte tra il 1376 e il1379 aVoghera, incarcerato come spia per non aver voluto svelare la propria identità, grazie ad un voto di anonimato. Un angelo lo avverte della morte e lui se ne va col volto raggiante. Una vita come tante, forse, tra realtà e fantasia. Ma negli ultimi anni del ‘400 il rinnovarsi della peste in tutta Europa ed anche in Italia, con episodi continui nei due secoli seguenti, stimola alcuni studiosi e biografi, come Domenico da Vicenza e Francesco Diedo, a scrivere l’agiografia di san Rocco. Nasce così una particolare iconografia del Santo, che lo raffigura come un giovane barbuto, vestito col mantello da pellegrino “il sanrocchino”, cappello a larghe falde, bastone, stivali e la famosa piaga, trasferita per pudore, dall’inguine alla coscia. E con lui, vengono descritti, di volta in volta, l’angelo, il cane, le conchiglie dei pellegrini e tutti gli attributi tipici del pio viandante. In quei due secoli è un vero e proprio boom di immagini, richieste da committenti privati, confraternite ed ordini religiosi vari. Sono tanti gli artisti, grandi e meno talentuosi, che fermano ed eternano su affreschi, pale, sculture, altari, la vita e i miracoli dell’uomo di Montpellier. Si va dal Procaccini al Pordenone, dal Tintoretto al Parmiggianino al Tiepolo, passando per i meno illustri, ma altrettanto devoti, artisti del Napoletano, del Salento e della Calabria come gli scultori e i pittori Barillari, Regio, Scrivo, Pisani e De Francesco di Serra San Bruno, i Drosi di Satriano , il Paparo di Vibo V ed il Santanna che ha operato anche a Mesoraca e Petilia Policastro. Ma la fede e la devozione verso san Rocco non si ferma solo all’arte figurativa, va oltre. Troviamo, infatti, in tutta Italia, un vasto catalogo e panorama di espressioni popolari tra il sacro e il profano. È stato il ‘600 che ha visto il grande fiorire del culto verso “l’Uomo della peste” in tutta Italia ed anche in Calabria che di certo non fu risparmiata dalle ricorrenti pestilenze naturali, per non parlare di quelle feudali e vicereali. Percorriamo insieme questo itinerario, fermandoci soltanto in Calabria dove, nel mese di agosto, la festa di san Rocco, per dirla con le parole di Domenico Logozzo, “costituisce un significativo esempio di come si possa raggiungere un momento di aggregazione nel segno della fede e della gioia di stare insieme: di esserci. Una presenza non solo fisica, ma affettiva.”   A Serra San Bruno, appena all’ingresso della cittadina vi è un’antica chiesetta dedicata al Santo con tanto di bosco e giardino attorno e qui la sera del 16 agosto, dopo la grande abbuffata dei festeggiamenti dell’Assunta, la popolazione si ritrova per assistere alla messa all’incanto degli ex voto, per grazia ricevuta, raffiguranti le varie parti del corpo miracolati e fatti alla maniera dello “’nzullo” serrese o del “mastazzolo” sorianese e di poi tutti allegri e festanti attorno al ballo del “ciuccio”, struttura pirotecnica, portata a spalle dal devoto di turno, che brucia e scoppia in mezzo alla folla. A Stelletanone di Laureana di Borrello, la devozione per san Rocco si materializza in un particolare pellegrinaggio popolare, che abbraccia anche le migliaia di emigrati oltreoceano che vi ritornano per l’occasione, per non dimenticare il villaggio raso al suolo dal disastroso terremoto del 1783 che devastò la Piana reggina ed anche la locale chiesa del Santo. È un pellegrinaggio, davvero singolare, che si fa precedere dal suono dei tamburi, dei tamburinari più bravi della Calabria, e poi fanno seguito le offerte: animali da cortile, prodotti della terra come cocomeri, meloni e zucche anche grandi, addirittura gigantesche, come quella offerta nel 2002, del peso di ben 120 chili; ed ancora si offrono vitelli, agnelli e capretti fino ai lavori di ricamo delle donne. Sul versante ionico, poi, a Gioiosa Jonica dove il san Rocco è il protettore dei malati e dei carcerati, lo si ringrazia ballando, ore e ore, attorno alla sua statua durante la accalcatissima processione agostana perché la danza è il sinonimo della libertà. È un rito che si ripete da ben 400 anni, insomma “un saltello che nelle vecchie è fervore di contrizione e nelle madri ripete il ballo con cui calmano il pianto. E c’è chi chiede di essere liberato dai maligni spiriti, chi scioglie un voto per grazia ricevuta, chi lo contrae per una grazia richiesta. Due ore e mezza dura questa esaltazione sacra e trafelata, per vie in salita e discesa, sotto il più cocente sole estivo.” Così riferiva la vecchia “Settimana Incom” di Sandro Pallavicini. E sempre sul “ballo di san Rocco” di Gioiosa Jonica si è pensato anche ad uno “spettacolo africano” alla luce del gran danzare al ritmico rullare dei tamburi. Sono comunque moltissimi  i paesi della Calabria come Girifalco, Simbario, Stilo, Cutro, Pizzo ed altri che celebrano il Santo tra fede e religiosità riprendendo i temi e i contenuti della festa come prima descritti. Negli ultimi anni, poi, è nata l’Associazione degli “Amici di san Rocco” voluta a Caccuri dal parroco del tempo don Gerolamo Ronzoni che raccoglie testimonianze ed esperienze di moltissimi paesi sparsi nel mondo che hanno in comune la venerazione verso san Rocco. E non solo. Il Santo è un continuo oggetto di studi ed incontri culturali come quello tenutosi, alla vigilia del Ferragosto a Pizzo. Qui si son riuniti studiosi e storici attorno al tema “Il culto di san Rocco nella storia e nella devozione popolare di Pizzo”. Al postutto, perché tanta accoglienza verso un santo piuttosto che verso un altro? Forse la risposta sta nel desiderio innato in ognuno di noi, quello di avere vicino chi ci aiuta fisicamente. La risposta sta anche nei versi di Padre David Maria Turoldo. Leggiamola: “Se una religione,/ o meglio una fede,/ non si propone per prima cosa/ la salvezza dell’uomo, una salvezza che/ sia concreta, tempestiva,/ operante perfino dentro la/ cronaca più nera;/se una religione non ha come scelta/ la partecipazione umana -/ come Cristo che si fa uomo- / e questa non sia una scelta/ primaria, partecipazione alla/ sorte dell’uomo più/ emarginato e colpito/ che religione e fede saranno mai?”