Letture estive, Emilio Argiroffi il medico- poeta prestato alla politica

 

Era nato a Mandanici, in provincia di Messina, nel 1923. Dopo aver conseguito la laurea in Medicina, nel 1950 si era trasferito a Taurianova, nella provincia reggina, dove vi morì nel 1998 e dove per tutti questi anni fu apprezzato medico nonché sindaco. Egli ha avuto un ruolo importante non solo come medico ma anche come poeta, scrittore, saggista, critico d’arte e pittore. Aveva aderito al Partito comunista italiano e successivamente era confluito  nel Partito democratico della sinistra e senatore, per tre volte consecutive, dal 1968 al 1979.

Particolarmente abbondante e ricca la sua produzione letteraria e poetica e molti i prestigiosi premi attribuitigli. Tra le sue tante opere ricordo: I grandi serpenti miei amici, Epicedio per la Signora che si allontana, Le stanze del Minotauro, L’imperatore e la notte, Gli usignoli di Botonusa, Il cimento della parola sconosciuta, La grotta di Endimione, Trenodia per la morte di Abele, Viaggio a Micene, Apollo e la notte di Ganimede e altre ancora. Per alcuni anni è stato anche animatore ed ospite degli incontri letterari del Rhegium Julii di Regio Calabria dove ha lasciato, scrive Enzo Zito, “inesauribili e affascinanti pagine di alta cultura scritta e parlata, di fronte ad un pubblico silenzioso e sempre più attento, quasi calamitato dalla sua vibrante capacità di oratore”. Tutta, o quasi, la produzione poetica di Argiroffi, prende linfa vitale dagli anni ’50, gli anni delle lotte contadine, gli anni in cui il medico- poeta non poteva non occuparsi delle disumane condizioni dei braccianti e soprattutto delle raccoglitrici di ulive come denunciato nel saggio “La condizione medica e umana delle raccoglitrici di olive in Calabria”, una monografia che, scrive ancora Zito, “suonò come commosso richiamo ad una dolorosa realtà nel panorama di un’Italia che sembrava avere come strategia la rimozione di tali problemi”. Stessa eco l’ebbe l’altra monografia “Fare un ospedale in Calabria”. Un poeta e un medico del Sud per il Sud, che vive il drammatico percorso della sua gente senza mai pensare, neanche un attimo, di doversi allontanare da questa valle di lagrime che è stata la Calabria e particolarmente l’area di Taurianova dove altissime sono state, negli anni di particolare attenzione come lo sono stati gli anni ’50, le criticità come l’analfabetismo, l’emigrazione, le malattie sociali, la mortalità infantile e la criminalità. È lo stesso Argiroffi  ripeteva spesso che “alcuni di noi devono avvertire non tanto il dovere quanto la necessità di rimanere nel Sud proprio in paesi come quello nel quale ho lavorato per tutta la vita dove più evidenti e dolorose si esprimono le condizioni di sofferenza di coloro ai quali l’opera di un medico si rivolge. Il Mezzogiorno costituisce una scelta esistenziale e prima di me altre presenze -certo esemplari- hanno compiuto questa scelta. Alla diaspora dell’intelligenza, che ha fornito contributi illuminanti al Paese, vanno contrapposti coloro che, rinchiusi nell’antica solitudine del Sud, lo hanno vissuto e cantato poiché partecipi di una sofferenza collettiva che ha trovato in loro il peso di un valore profetico”. In Argiroffi si evidenzia, perciò,  come ha ricordato in più di una circostanza Walter Mauro, un duplice percorso della poesia, da un lato è proiettata verso quell’impegno di partecipazione sempre rivolta alla costante e vivace difesa dei diritti umani e della dignità della persona e dall’altro versante scava dentro i sentimenti più intensi e segreti dell’uomo. Insomma una poesia ed una vita intesa come totalità dell’essere rappresentata dalla parola poetica mai enfatizzata piuttosto permeata, con semplicità, da struggente afflato dei sentimenti. Un verseggiare “volutamente disadorno, e per ciò stesso prezioso e impeccabile nella sua studiata semplicità, nonché togliere vigore alle immagini, ne accresce ed esalta la drammaticità”. (Isabella Scalfaro) Al postutto, faccio mio il pensiero di Gualtiero Canzoni che definisce Emilio Argiroffi “un uomo furi dal comune, quasi come un albero d’olivo dai mille occhi piantato nella terra della Piana, pronto a cogliere ogni segnale dell’umanità violata proveniente da ogni parte del mondo. Aveva una visione cosmica della vita e del suo tempo, ma stava nella storia del mito a cogliere il legame antropologico con un territorio che ha avuto le radici nell’arte, nel pensiero, nella sacralità della simbologia che ha forti legami con la divinità e la trascendenza”.