Letture estive, Gioacchino da Fiore e la nuova Chiesa

Nato a Celico, alle porte di Cosenza, nel 1130 Gioacchino, dopo un viaggio in Terra Santa, giovanissimo aveva vestito il saio cistercense di san Bernardo di Chiaravalle alla Sambucina di Luzzi. Da qui, nel 1778 era stato chiamato a reggere il monastero di Santa Maria di Corazzo, presso Carlopoli, dove rimase per una decina di anni. Qui profuse tutte le sue energie allo studio della Bibbia scrivendo anche alcune delle sue opere quali la Cetra dalle dieci corde e l’ Interpretazione dell’Apocalisse che voleva fosse approvata dai pontefici, sebbene nell’ambito della Chiesa già si intravedeva qualche dubbio sull’ortodossia gioachimita.   Nel 1189, stanco e disgustato di doversi interessare quasi esclusivamente di questioni amministrative e di contese agrarie a discapito della vita ascetica, si ritirò nella solitudine di Pietralata presso Cosenza. Non ancora soddisfatto del tenore di vita, nel 1191 cercò luoghi più solitari ed impenetrabili nel cuore della Sila, raggiungendo la località Jure Vecchio (Fiore Vecchio), dove, col permesso dell’arcivescovo Bonomo di Cosenza, si fermò gettando le fondamenta del suo archicenobio di San Giovanni in Fiore alla confluenza del Neto con l’Arvo. Qui maturò e scrisse la sua Regola che sottopose al Papa, dopo che il Capitolo Generale dei Cistercensi nel 1192 lo aveva dichiarato escluso dall’Ordine. Il Papa Celestino III diede ragione a Gioacchino approvando la sua Regola di vita, dando così avvio al nuovo Ordine Florenze. Cosa che avvenne il 25 aprile1196.  La Regola, che nello spirito derivava da quella benedettina e dalla “Charta Charitatis” dei Cistercenzi, prevedeva un potenziamento della preghiera, una maggiore severità nelle architetture conventuali e  intensità del lavoro manuale; il nostro monaco vi aggiunse maggior rigore nella povertà, anche se dopo la sua morte avvenuta nel 1202 a Canale di Pietrafitta, il successore Matteo Vitari, avvertendo forse l’esigenza di propagare l’Ordine, alleggerì la vita monastica originaria del fondatore. Nella solitudine ed austerità silvana continuò la sua opera di profondo studioso della Bibbia e delle problematiche della Chiesa del tempo, dando vita ad una vasta produzione di testi e tra i più importanti, oltre ai già citati, si annoverano il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, e il Trattato sui quattro Vangeli che certamente non ebbero benevola accoglienza nell’ambito della Chiesa che condannò Gioacchino di triteismo, di adorazione, cioè, di tre Dei separati. Comunque sia, scrive Mons. Luigi Renzo, oggi Vescovo di Mileto – Nicotera – Tropea, “la riforma gioachimita piacque e nel breve volgere di una cinquantina di anni le fondazioni florenzi,  divennero più di 50, diffondendosi non solo in Calabria, ma in Lucania, Puglia, Campania, Lazio e Toscana.” Di sicuro  è stato il carisma del monaco di Celico a dare impulso e a richiamare interesse sull’Ordine soprattutto dopo la sua morte, tant’è che nel 1220 papa Onorio III definì Gioacchino “vir catholicus” e addirittura i Florenzi nel 1346 ne avevano chiesto la canonizzazione. Anche se nel Concilio Lateranenze del 1215 le idee propugnate dal monaco cosentino furono condannate e definitivamente dichiarate eretiche nel 1263 dopo che una commissione convocata nel 1254 da papa Alessandro IV ne aveva indagato i contenuti. Si può dire, però, senza voler essere blasfemi, che la forte notorietà a Gioacchino gli derivò da quel “di spirito profetico dotato” dettato al mondo da Dante nel suo Paradiso e ciò chiaramente ha indotto studiosi, storici e teologi a studiarlo e indagarlo continuamente perché latore della dottrina trinitaria ed ecclesiologica proiettata verso una nuova Chiesa all’insegna di un più alto grado di spiritualità e di perfezione evangelica. Insomma, finalmente, una Chiesa slegata dal potere temporale e tutta tesa ad affermarsi come autorità morale e guida spirituale dei popoli; una Chiesa al centro della storia e dell’età della “pienezza di Cristo” di cui parla san Paolo. Alla conoscenza più approfondita e alla riaffermazione del Gioachimismo ha contribuito, e continua a farlo, notevolmente, il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti istituito nel 1982 in San Giovanni in Fiore e fortemente voluto dal suo presidente lo zelante ed instancabile prof. Salvatore Oliverio. Il Centro continua a svolgere un’intensa attività scientifica ed editoriale, finalizzata all’approfondimento e alla divulgazione del pensiero gioachimita, e ciò anche con la collaborazione di prestigiose università italiane e straniere. In questo proficuo lavoro non sono mancati convegni, simposi di studio, pubblicazione di atti e riviste, nonché ben cinque seminari di specializzazione post-universitaria col contributo del C.N.R. italiano e la Deutsche Forschungsemeìnschaft. Anche recentemente il Florenze è stato ricordato dall’Ecole française di Roma con l’allestimento della mostra “Lo specchio del mistero – Le Tavole del Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore”. E negli stessi giorni a Palermo ha avuto luogo un congresso di spessore internazionale attorno all’opera gioachimita. Insomma l’Abate Gioacchino è stato sempre amato e continua ad esserlo fino ad essere definito Beato da molti, ma il processo che si doveva avviare nel 1346 si arenò e solo, negli anni scorsi, Mons. Giuseppe Agostino, quando ancora titolare della sede episcopale di Cosenza – Bisignano, in vista dell’ottavo centenario della morte, ha avviato le fasi preliminari del processo di Canonizzazione. E ad ottocento anni dalla morte perché si parla ancora di Gioacchino – profeta?  Perché, come scrive Mons.Luigi Renzo,“ha previsto una Chiesa libera dalle esigenze del potere proiettata a porsi come forza di coesione in vista di una unità più grande attuata dallo Spirito di Dio.La Chiesa‘profetizzata’ da Gioacchino, pur con i dovuti distinguo, non appare abbastanza in linea conla Chiesa‘sognata’ da Giovanni Paolo?” Ed ancora, come scrive il Cardinale Angelo Sodano, perché:” negli scritti come nella sua vicenda terrena Gioacchino appare persona innamorata di Dio[…]uomo della Parola. La sua opera esegetica – nonostante i problemi che pone – merita attento studio e può essere fonte di conoscenze utili, anche a motivo del suo spirito ecumenico.” E  concludo anch’io col Cardinale Sodano quando dice che il vissuto di Gioacchino: “ costituisce un potente richiamo a considerare i perenni valori evangelici come la via migliore offerta agli uomini per costruire un mondo giusto, fraterno, solidale e a costellare l’esistenza di spazi di raccoglimento e di orazione per ritrovare nell’incontro con Dio la possibilità di un’esistenza più piena e più autentica.”